di Luca Capponi
Due partite, a distanza di poche ore una dall’altra, raccontano meglio di tante parole quanto l’eredità di Carletto Mazzone resti viva nel calcio, ad ogni latitudine. Giovedì sera in Champions League si gioca Napoli-Manchester City, sabato al “Picchi” la sfida di Serie C Livorno-Ascoli.
24 novembre 1968, momento storico: la prima partita da allenatore di Mazzone alla guida dell’Ascoli, con Rozzi al fianco. L’avversario era lo Spezia primo in classifica, che venne sconfitto per 2-1 con reti di Scichilone e Tarantini
Mondi solo apparentemente lontani, ma uniti da un filo comune: il decano degli allenatori italiani, scomparso il 19 agosto 2023, romano verace che ad Ascoli aveva piantato le sue radici umane e professionali. Il “Sor magara“, l’uomo del calcio di una volta, quel calcio lontano dal business esasperato, dai lustrini e dagli eccessi malati. Ma vero, genuino, sincero. Quel calcio che oggi ci manca tanto.
La partita di sabato, Livorno-Ascoli, assume un valore fortemente simbolico. Ascoli fu la prima panchina ufficiale da allenatore di Mazzone (il 24 novembre 1968, Ascoli Spezia 2-1), sotto la presidenza di Costantino Rozzi. Il duo dei miracoli, che portò il Picchio dalla Serie C fino alla A. E Livorno fu la sua ultima panchina, nell’annata 2005-2006, quando subentrò a Roberto Donadoni alla guida degli amaranto; 14 maggio del 2006, per la precisione, in un match in trasferta contro il Siena.
Un cerchio che si chiude, dunque, racchiudendo una vita intera dedicata al pallone: 1.278 partite ufficiali tra campionati e coppe; un primato assoluto con 795 presenze in Serie A come allenatore, imbattuto e forse destinato a rimanere tale. Anche con il suo Ascoli i numeri parlano forte: 580 presenze complessive, di cui 211 da calciatore (a partire dal suo arrivo in bianconero nel 1960) e 369 da allenatore.
Guardiola con indosso la t-shirt che raffigura l’iconica corsa di Mazzone sotto la curva dell’Atalanta in occasione di Brescia-Atalanta 3-3
«Mio padre è rimasto sempre legatissimo a tutte le città in cui ha allenato ma tutti sappiamo quanto con Ascoli abbia avuto un rapporto speciale – racconta il figlio Massimo -. Una frase più di tutte lo testimonia: “Ogni volta che rientrerò in uno spogliatoio al termine della partita in tutti gli stadi italiani, chiederò cosa ha fatto l’Ascoli”».
Massimo, che ha seguito il papà in ognuna delle sue partite in giro per la penisola, ricorda anche come «appena risaliva in macchina chiedeva dell’Ascoli, voleva sapere com’era andata e come avessero giocato i bianconeri, cose che fanno capire come lui fosse rimasto sempre un tifoso del Picchio».
Al di là dei colori del cuore, Carletto è patrimonio nazionale, e Massimo lo sa: «È bellissimo ascoltare ancora oggi durante le cronache delle partite i suoi insegnamenti, le sue frasi storiche tipo “Difensore scivoloso, difensore pericoloso” o “Mi piace il tridente, ma guai a farlo diventare stridente”, molte delle quali impresse negli spogliatoi del centro sportivo a lui intitolato a Trastevere».
Anzi, patrimonio internazionale più che nazionale. In Manchester City-Napoli, infatti, la sua eredità vive attraverso i suoi “allievi”. Pep Guardiola, che Mazzone allenò al Brescia (insieme a Baggio e Pirlo) nella stagione 2001-2002 e poi di nuovo a inizio 2003, ha mantenuto negli anni un rapporto di grande stima e affetto con lui tanto che, tra le altre cose, ai tempi di Barcellona Pep lo invitò alla finale di Champions, la sua prima, vinta poi contro il Manchester United.
Conte, invece, fu lanciato nel Lecce da Mazzone nei tardi anni ’80; giocò sotto la sua guida, con il mister che contribuì in maniera importante alla sua maturazione.
La bellezza però non è solo nei ricordi: la famiglia Mazzone ha istituito un premio in sua memoria, che viene consegnato ogni anno il 19 agosto, anniversario della sua morte. Il premio è stato assegnato a Guardiola nel 2024 e quest’anno, 2025, è andato proprio ad Antonio Conte.
Così, tra il palcoscenico scintillante della Champions e un campo di Serie C, il nome di Mazzone resta al centro della scena. Proprio come sarebbe piaciuto a lui. Un ponte ideale che parte da Ascoli, passa per Napoli e Manchester, fino a Livorno. Perché il calcio, quello vero, continua a parlare la lingua semplice e autentica di Carletto.
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