Regionali 2025, c’è poco da salvare: la metà non è andata a votare

ELEZIONI - L’affluenza definitiva si ferma al 50%, dieci punti in meno rispetto al 2020. Un dato allarmante, frutto di disaffezione, spaccature praticamente in ogni partito, appelli vuoti e infinite guerre di corridoio. Facendo due conti, con questo ritmo, fra qualche legislatura non ci sarà più bisogno di seggi, scrutatori e urne. La distanza tra istituzioni e cittadini, almeno a livello regionale, appare sempre più incolmabile
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di Luca Capponi

 

Le Marche hanno scelto. O meglio, metà delle Marche ha scelto. L’altra metà ha preferito restare a casa a fare l’uncinetto, le faccende, magari a sorbirsi stupidi programmi tv, oppure uscire nonostante il cattivo tempo, col rischio di beccarsi un acquazzone o di constatare con amarezza che sì, l’estate è proprio andata. Insomma, tutto tranne che votare, tanto che allo stato attuale sembra avere più appeal una sessione di tortura medievale autoinflitta che le urne delle elezioni.

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L’affluenza definitiva alle regionali 2025 si ferma infatti al 50%, dieci punti in meno rispetto al 59,74% del 2020. Hanno votato 662.845 persone su 1.325.689 aventi diritto. Un calo netto rispetto a cinque anni fa, drastico. Che la dice lunga su tante cose.

 

Perché, diciamolo chiaramente: quando una persona su due non vota, chi si occupa di politica, a tutte le latitudini di qualsivoglia schieramento, dovrebbe quantomeno sobbalzare sulla sedia, anziché escogitare modi su come occuparla per un tot di anni. È un dato allarmante, frutto di disaffezione, spaccature praticamente in ogni partito, appelli vuoti e infinite guerre di corridoio.

Gli stessi che invitavano all’unità e a “non mancare all’appuntamento con la democrazia”, sono quelli che, probabilmente già da prossimi giorni, continueranno a litigare anche solo per decidere l’ordine del giorno di una riunione, completamente scollati dalla realtà. Sono quelli che per mesi si sono fatti la guerra interna per questo nome o quell’altro, salvo poi trovarsi a sorridere davanti alle telecamere millantando unità d’intenti, strette di mano, in una recita costante a cui in pochi ormai credono ancora. Sono i transfughi, i migranti da un partito all’altro, quelli con la faccia tosta di chi sa che l’unica cosa che contano sono i numeri, i “pacchetti di voti”, le promesse, i tuffi carpiati, le arrampicate sugli specchi. E non le idee. Figurarsi la coerenza.

 

E così gli slogan pieni di retorica hanno fatto la fine che meritavano: ignorati. La distanza tra istituzioni e cittadini, almeno a livello regionale, appare sempre più incolmabile, e la gente – semplicemente – non si sente rappresentata da nessuno dei pretendenti. Salvo gli ultrà della politica, che sono un po’ come quelli del calcio, una razza a parte: gliene puoi fare di cotte e di crude, vendere fumo, piroettare, cambiare casacca, tanto loro li troverai sempre lì, matita alla mano, eccitati, pronti a barrare il simbolo che gli viene suggerito dalla convenienza.

 

Passateci l’ironia: facendo due conti, con questo ritmo di meno dieci punti ogni cinque anni, fra qualche legislatura non ci sarà più bisogno di seggi, scrutatori e urne, perché l’affluenza sarà zero. E chissà, magari quello sarà il vero atto liberatorio di questa politica da reality.


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