di Bruno Ferretti
Quella del direttore sportivo, nel calcio di oggi (completamente diverso rispetto a qualche anno fa), è una figura che sta perdendo sempre più peso e…. ragione di esistere. Un tempo il cosiddetto diesse aveva ampi poteri decisionali nella sfera tecnica, era colui che consigliava l’allenatore (in qualche caso anche sulla formazione da schierare), nonchè il presidente sulle operazioni da fare, sia in entrata che in uscita, per potenziare l’organico. Il direttore sportivo, insomma, aveva funzioni molto importanti, diciamo pure fondamentali, in seno alle società.
Adesso non è più così. Il calcio è profondamente cambiato in tutti i suoi aspetti: amministrativo, organizzativo, gestionale, disciplinare. Sono cambiate perfino alcune regole del gioco, una per tutte è quella del portiere che non può più raccogliere con le mani il pallone sul retropassaggio di un compagno. Oppure il Var che induce l’arbitro a cambiare una decisione già presa. E’ cambiata anche la maniera di fare mercato. I calciatori si affidano ai propri agenti (o procuratori che dir si voglia) i quali provvedono ad avviare – e spesso concludere – le trattative di acquisti e cessioni direttamente con i presidenti delle società senza altri interlocutori. Presidenti che poi devono anche pagare una parcella ai procuratori per la mediazione effettuata. Ecco perché lo spazio dei direttori sportivi si è molto ridotto e continuando su questa linea, rischiano di scomparire oppure saranno costretti a riciclarsi in altri ruoli, magari trasformandosi in osservatori alla ricerca di nuovi talenti oppure in impiegati dietro una scrivania nella sede sociale. E’ scontato che di fronte a un ridimensionamento così radicale di funzioni e responsabilità, diminuiranno anche gli stipendi. Con il rischio, sempre più concreto, di estinzione della categoria.
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