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«Diamo un letto a chi non ce l’ha»,
il vescovo inizia la raccolta fondi

SOLIDARIETA' - Durante l'omelia pronunciata a Santa Maria Intervineas, in occasione della Giornata dedicata ai poveri, monsignor D'Ercole ha lanciato la proposta di una raccolta fondi per aiutare chi non ha un letto in attesa della nascita del Polo dell'accoglienza e della solidarietà
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Nel corso dell’omelia pronunciata in occasione della giornata dedicata ai poveri, monsignor Giovanni D’Ercole ha lanciato la proposta di una sorta di “autotassazione”, incominciando dallo stesso vescovo, per dare un alloggio a chi non lo ha in attesa della realizzazione del Polo dell’accoglienza e della solidarietà. Riportiamo il testo completo del messaggio del Vescovo.

di Giovanni D’Ercole*
A conclusione dell’Anno Santo della Misericordia, Papa Francesco ha voluto istituire la Giornata Mondiale dei Poveri.  Così egli scrive nel messaggio per l’odierna prima Giornata.

“Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata Mondiale dei Poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi. Alle altre Giornate mondiali istituite dai miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità, desidero che si aggiunga questa, che apporta al loro insieme un elemento di completamento squisitamente evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri. Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. Questa Giornata intende stimolare in primo luogo i credenti perché reagiscano alla cultura dello scarto e dello spreco, facendo propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri in ogni forma di solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il dono originario destinato all’umanità senza alcuna esclusione” (dal Messaggio per il 19 novembre. 2017). Anche la nostra Diocesi risponde all’appello del Papa con l’odierna iniziativa promossa dalla sinergia di varie associazioni e movimenti, laici e d’ispirazione cristiana, operanti nel nostro territorio. I segni di questa comunione di testimonianza umana e cristiana, seguendo il tema della Giornata “ Non amiamo a parole ma con i fatti”, sono la celebrazione eucaristica seguita da una cena preparata e condivisa tra tutti. Abbiamo scelto questa chiesa di Santa Maria intervineas perché vicina alla mensa “Zarepta”. La pagina del vangelo che la liturgia ci propone oggi, la parabola dei talenti, si presta opportunamente per una riflessione attinente al senso e al valore di questa Giornata. Iddio dona a tutti, secondo un suo progetto imperscrutabile, dei talenti (5,2,1), cioè dona beni materiali e spirituali, e attende che essi siano fatti fruttare per il bene dell’intera comunità. Varie sono le letture che possiamo dare di questi “talenti” (che all’epoca costituivano somme in denaro esorbitanti): carismi spirituali e attitudini culturali e artistiche, ricchezze, beni immobili e denaro. La domanda che emerge dalla parabola è duplice: Perché Iddio dona questi talenti? E come vengono fatti fruttare da chi li riceve? Fermiamoci a considerare semplicemente il talento del denaro, che poco o tanto circola nelle nostre tasche. Entrambi i sistemi hanno mostrato e continuano a mostrare i segni del loro fallimento in quanto l’ingiustizia e la sperequazione sociale tra ricchi e poveri non è eliminata, ma anzi va aumentando. S’inserisce qui il contributo del cristianesimo, che, seguendo il vangelo, imposta la vita con parametri diversi e concepisce la gestione dei beni materiali, culturali e spirituali con criteri diversi. Vediamo cosa ci dice Gesù nel vangelo. I talenti (ogni tipo di ricchezza e di beni) appartengono a Dio che li “dona” perché siano fatti fruttare. Il denaro, che è nelle nostre tasche, nota san Giovanni Crisostomo, è dono gratuito di Dio e di esso noi siamo depositari come pure semplici amministratori, sia noi, considerati come individui che lo Stato e ogni altra entità sociale. Tutto (non solo i beni economici) viene da Dio in funzione della comunità. Purtroppo la concezione egoista del possesso dei beni ne fa motivo di sfruttamento o di un uso strettamente individualista, come propria proprietà. Per correggere questa visione sociale, che genera ingiustizie e spesso conflitti di ogni tipo, non basta privarsi di un po’ del proprio superfluo per destinarlo ai poveri. Il vangelo chiede molto di più. È molto esigente e per questo poco vissuto: domanda di vendere tutto e di seguire Gesù come unico bene. Questo può scoraggiarci ma nulla è impossibile a Dio. Del resto, per rivoluzionare un sistema economico basato sulla competizione e sulla concorrenza, ognuno di noi può fare ben poco anche se ci mette tutto quel che possiede. Tuttavia il mondo può cambiare e alcuni esempi virtuosi lo dimostrano. La testimonianza di coloro che hanno il coraggio di vivere il Vangelo senza compromessi e mettono in comune i loro beni costituisce nel buio del mondo un punto di luce e di speranza. Occorre moltiplicare questi punti di luce perché possono intessere attorno al mondo una rete di luce che lo farà vedere diversamente. Tornando al vangelo di oggi, è questo il progetto divino che ci viene riproposto. Accumulare ricchezze in proprio è sotterrare il talento: spietata è la collera del padrone: lo apostrofa come “servo malvagio e pigro”, servo “inutile” da gettare fuori nelle tenebre. Non sembra per nulla tenero Gesù. Come mostra la parabola, i talenti sono sette (indica tutto) condivisi in parti disuguali ma finalizzati all’unico scopo: i beni, divisi in maniera diversa, sono di tutti. Concludo con una domanda: che possiamo, o meglio che dobbiamo fare? Se è vero che la testimonianza cristiana è essenzialmente comunitaria, ogni cristiano non può e non deve volere più del necessario, perché gli altri non debbano mancare del necessario. È facile allora capire, che la Giornata Mondiale dei Poveri è una forte provocazione alla nostra fede e alla nostra coerenza evangelica. Ci chiede un serio esame di coscienza e una vera conversione. Questa è però l’unica strada per costruire comunità cristiane simili a quelle descritte negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune… Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno”.

Infine, una proposta. Quella odierna sarebbe una semplice e inutile celebrazione se come frutto di questa giornata non dessimo inizio a una concreta azione che vada nel segno del Vangelo. Ci sono tanti poveri, giovani e non giovani, che non hanno casa. La mensa “Zarepta” offre loro da mangiare, ma non sanno dove dormire. In attesa che si possa quanto prima dare inizio al PAS (Polo e accoglienza e solidarietà, ndr) per il quale stiamo lavorando attivamente, lancio una richiesta a tutti: costituiamo un fondo alimentato dai nostri soldi per offrire a chi non ha casa, un letto e un conforto fraterno. Si dice che deve pensarci la Caritas o i servizi sociali del Comune. È vero solo in parte perché il Vangelo ci chiede di non delegare il nostro impegno a nessuno. Io metto il mio contributo personale e spero che sacerdoti, comunità parrocchiali e persone di buona volontà si uniscano in questo piccolo segno perché sia concreto il tema di questa Giornata, “non amiamo a parole ma con i fatti”.

*Vescovo di Ascoli Piceno


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