«Netto segnale di discontinuità». Con queste parole il presidente della Fondazione Vincenzo Marini lascia, in anticipo, la carica di presidente (il rinnovo della cariche è previsto tra un mese, ndr) che ha ricoperto per 17 anni (dal 3 gennaio del 2001). Si dimette anche da socio interrompendo la tradizione familiare secolare, ricordata da lui stesso nella missiva, che va avanti dal trisnonno Carlo Antonio Marini e poi continuata con il bisnonno Vincenzo e il padre Carlo Antonio.
Il presidente uscente ricorda anche di aver ridotto “negli ultimi periodi i personalismi” per “favorire la crescita della Fondazione sotto il profilo istituzionale modificando le modalità esercizio della presidenza”. Cita, ad esempio forse come personali rimpianti, due questioni come “Anima” (il progetto dell’archistar Tschumi a Grottammare poi abortito) e le modalità di investimento del ricco patrimonio della Fondazione che in questi anni è cresciuto tantissimo. Tornando alla missiva, nell’incipt Marini ricorda che “la discontinuità non solo effettiva ma anche percepita, è funzionale alla necessaria evoluzione della Fondazione verso quel modello operativo maturo che ne vede accresciute le funzioni tecniche, affrancate da forti identificazioni e da personalismi. Del resto ritengo che già la fine del mio metodo di governo potrà comportare miglioramenti e vantaggi alla Fondazione grazie alle novità che saranno apportate da metodi e stili diversi, che superino e colmino quelli che sono stati, fisiologicamente, i miei limiti e le mie carenze”. Marini sembra tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla Fondazione. «Per procurare tale segnale di discontinuità -aggiunge ancora l’ormai ex presidente mi dimetto non solo e non tanto dalla carica di presidente, che potrei ricoprire ancora solo per qualche settimana e, quindi, con valenza meramente simbolica, ma anche e soprattutto dalla carica di socio, che potrei ricoprire ancora per molti anni rimanendo nell’ambito della Fondazione mediante l’appartenenza all’Assemblea, che abbandono con rammarico anche perché ne hanno fatto parte mio padre Carlo Antonio, mio nonno Marino, il mio bisnonno Vincenzo ed il mio trisnonno Carlo Antonio – prosegue – Avverto il desiderio, oltre che il dovere morale, di ringraziare, e purtroppo in taluni casi di ricordare, coloro che, nei diversi ruoli ed incarichi, hanno reso possibile il mio lavoro in Fondazione, nonché chi vi ha collaborato con il consiglio, con il supporto tecnico e morale, con il lavoro quotidiano, con la condivisione dei momenti difficili e delle scelte innovative, con le critiche costruttive e propositive. Il mio ringraziamento va a talmente tanti soggetti, persone ed organizzazioni che non mi è possibile elencare ma la cui numerosità ed eterogeneità conferma la rilevanza del ruolo ricoperto dalla Fondazione nella nostra comunità». Oltre all’addio è tempo anche di bilanci. E qui Marini Marini fa mea culpa su due importanti questioni non risparmiando però alcune frecciate polemiche.
«Il lungo tempo trascorso imporrebbe l’obbligo di un bilancio -prosegue- al quale non mi sottraggo ma che effettuo nello spirito cui mi sono sempre ispirato, secondo il quale ci si deve soffermare sui punti di debolezza piuttosto che su quelli di forza, non solo per ragioni di stile ma anche nell’ottica del miglioramento continuo. Mi soffermo quindi sulle due fattispecie più rilevanti, ambedue verificatesi in questo ultimo periodo in cui, nello svolgere il mio ruolo, non sono stato in grado di raggiungere il risultato che, a mio giudizio, sarebbe stato nell’interesse della Fondazione e della comunità. La responsabilità è mia poiché negli ultimi periodi, proprio al fine di ridurre i personalismi e favorire la crescita della Fondazione sotto il profilo istituzionale, ho modificato le mie modalità di esercizio della presidenza riducendone il ruolo rispetto al passato, anche rinunciando a taluni benefici al fine di sottolineare tale riduzione di ruolo e, per conseguenza, non sono riuscito a convincere l’organo di indirizzo dell’importanza e rilevanza di due questioni:
-proseguire nella realizzazione dell’opera ANIMA;
-aggiornare e rendere dinamiche le modalità di investimento del patrimonio della Fondazione.
La realizzazione di ANIMA, una scelta coraggiosa della Fondazione, partecipata ed auspicata da numerosi soggetti ed esponenti della nostra comunità, è stata annullata nel settembre 2016 nonostante su tale progetto complesso gli organi e gli esponenti della Fondazione avessero lavorato per anni, anche mediante confronti pubblici e con gli stakeholder, superando le difficoltà e risolvendo la maggior parte dei problemi. Tutto ciò perché io non ho rappresentato con la necessaria forza come da un lato il suo annullamento avrebbe costituito la negazione della visione di lungo periodo – o, meglio, della lungimiranza – che dovrebbe guidare gli enti senza legarli troppo a chi, tempo per tempo, li amministra, e dall’altro a far comprendere l’impatto oggettivamente notevole che ANIMA avrebbe avuto sull’economia locale nonché sui percorsi intellettuali e culturali della nostra comunità, senza neanche intaccare o impegnare il patrimonio della Fondazione. Resta la consolazione che l’iniziativa di ANIMA è stato apprezzata e continua ad essere apprezzata, nel mondo, in ambienti qualificati ed autorevoli»
Marini prosegue: «Quanto poi all’opportunità di modificare gli assetti del patrimonio e le relative procedure di investimento, anche in tal caso per non aver utilizzato la necessaria energia, non sono riuscito a far comprendere che le attuali modalità di investimento furono decise, tempo fa, solo come soluzione temporanea e che non era più opportuno mantenere il patrimonio, quasi fosse un talento messo sotto terra, senza una adeguata forma di gestione, essendo ormai doveroso adottarne utilizzando strumenti rigorosi. L’andamento dei mercati finanziari successivo alla proposta di modifica degli assetti gestionali mostra che, se fosse stata adottata la decisione proposta, il patrimonio ed i redditi della Fondazione oggi sarebbero notevolmente superiori. Resta la consolazione che ancor oggi – o quanto meno fino a qualche settimana fa – già solo l’insieme dei titoli immobilizzati, acquistati come soluzione temporanea da circa quattro anni, presenta ancora plusvalenze latenti, quindi senza tener conto dei dividendi distribuiti negli anni, tali da sopravanzare anche le importanti perdite sul fondo Atlante».
L’ex presidente conclude così: «Auguro che la Fondazione custodisca con fermezza e conservi con coerenza la propria autonomia decisionale, tanto più nei confronti di quei soggetti, non solo politici, che la vorrebbero – pur legittimamente – erogatrice supina –Auspico che essa mantenga la visione del proprio ufficio quale valore e risorsa della nostra comunità, che confido sarà rafforzato e maggiormente fondato proprio dalla discontinuità a cui spero di contribuire con le mie dimissioni e con la mia uscita dall’alveo istituzionale della Fondazione stessa».
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