«Io, vivo per miracolo»
Il sisma dell’Aquila nove anni dopo

FERMO - Intervista al 32enne all'epoca studente universitario
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di Andrea Braconi

foto di Gianfranco Mancini

Si sono incrociati all’alba del 6 aprile 2009, quando L’Aquila, diverse sue frazioni e altri Comuni dell’entroterra abruzzese vennero distrutti da una scossa di magnitudo 5.9. Furono 309 le vittime, 1.600 i feriti e oltre 80.000 gli sfollati. Nell’immediatezza della macchina dei soccorsi, Francesco Lusek (che solo pochi mesi dopo diventerà responsabile dell’Ufficio di Protezione Civile del Comune di Fermo) era già sul posto per dare il proprio contributo.

Dalle parti della Casa dello Studente, dove morirono 8 ragazzi, Lusek osserva in alto un cestello in movimento, con i Vigili del Fuoco che riescono a mettere in salvo diversi giovani. Tra questi c’è il fermano Renato Pelacani, oggi 32 anni, all’epoca studente di Biotecnologia. I due non si conoscono, non sanno l’uno dell’altro, non si incrociano neanche. Nelle rispettive menti resta soltanto quella sospensione nel vuoto: vissuta dall’alto da Renato, dalla strada da Francesco.

Le loro vite si intrecceranno però 3 anni dopo, quando Renato decide di diventare volontario del gruppo comunale di Fermo della Protezione Civile.

Prima di quel 6 aprile, Renato respirava a L’Aquila uno stato di tensione, come tutta la cittadinanza. Le scosse erano continue, anche se lui era abituato per via del terremoto del 1997, quando frequentava la Ugo Betti. «E poi a L’Aquila – dice – vedendo strutture abbastanza moderne mi sono sempre fidato».

Prima di quel punto di non ritorno, dormiva in casa.

Poi “la botta grossa”.

Che ricordi hai di quel momento?

«La sossa continuava e persisteva. Ho cercato di rimanere fermo, evitando i mobili che cadevano e di mettermi al riparo».

 

Una parte della struttura ha ceduto.

«Si sono verificate diverse dinamiche. Quattro stanze hanno ceduto, una parte si è appoggiata all’altra e io mi trovavo proprio nell’ala che è venuta giù, ma sono stato fortunato perché è rimasta intatta a livello strutturale, è crollata di un piano e si è appoggiata alla parte dietro».

Per quanto tempo hai aspettato i soccorsi?

«Non mi ricordo esattamente, credo circa 2 ore. L’allarme era partito proprio da me: ho chiamato a casa, mi hanno passato la Polizia, la Polizia mi ha dirottato su Teramo, i Vigili del Fuoco di Teramo mi hanno chiamato e poi è arrivata una telefonata da Roma. Alla signora che era all’altro capo ho raccontato che finita la scossa ho aperto la porta, ho visto la voragine, ho aperto la finestra, ho visto il palazzo che crollava davanti, ma da Roma mi hanno risposto: si va bene, ma come mai ci hai chiamato soltanto tu? Diciamo che la mia risposta a questa domanda non è stata proprio educata».

Proviamo a ripercorrere l’attesa.

«C’era questa voragine e non avevamo via d’uscita. Ricordo che una ragazza era rimasta all’interno di una stanza crollata, vicina al muro rispetto all’amica che purtroppo è deceduta sotto la macerie. Lei invece è riuscita a risalire e ad uscire da sola. Noi siamo rimasti lì, fino a che non sono arrivati i Vigili del Fuoco di Teramo che hanno iniziato con il cestello a recuperare le persone. Non dimentichiamo che durante l’attesa ci sono state altre scosse piuttosto toste e in quella situazione dove già la struttura era abbastanza instabile non era facile mantenere la calma».

Cosa hai fatto nei momenti successivi al salvataggio?

«Non eravamo tanti quelli presi con il cestello, più o meno 6. Ho visto altri amici che venivano tratti in salvo. Una volta a terra ho preso la macchina e sono tornato direttamente a casa. Ricordo che l’unico sasso che mi è caduto addosso mi è entrato in bocca preciso per svegliarmi, ho riportato giusto qualche livido e così non avevo ragione di rimanere. E poi i miei genitori erano già arrivati a L’Aquila, anche se erano rimasti bloccati all’inizio della città».

Quando sei ritornato a L’Aquila?

«Sono trascorsi diversi mesi, era settembre. Avevo fatto il trasferimento all’Università di Urbino, dove poi mi sono laureato».

A distanza di 9 anni cosa resta di quella notte?

«Non ho mai pensato ad una definizione per descrivere quell’esperienza. La considero una situazione triste perché parliamo di tecnologia, di sicurezza, di valore della vita ma poi cosa facciamo? Non vengono rispettate le cose basilari, ce ne freghiamo delle norme. E in questo modo le case crollano»

Resta quindi l’amaro in bocca per il fatto che, nonostante lo sviluppo di tecniche di costruzioni avanzate, siamo ancora qui a ricordare morti e crolli.

«Esatto. Ed è semplicemente assurdo»

Arriviamo alla tua scelta, tre anni dopo la tragedia de L’Aquila, di entrare in Protezione Civile fino a diventare istruttore della squadra di Soccorso Acquatico: la covavi dentro o è stata una sorta di reazione a quello che hai vissuto?

«È stata una sorta di reazione. Vedo che, nonostante a volte ci siano persone super pagate che intervengono, serve fare questo tipo di esperienze e di attività di volontariato».

La tua esperienza si è rivelata un valore aggiunto?

«Secondo me sì. Comunque le persone si formano con le esperienze e quello è un qualcosa in più che posso trasmettere. Poi sta alla sensibilità degli altri cercare di capire quello che voglio far passare».

 

E questa esperienza Renato la porta, insieme a Lusek, in vari corsi di formazione in giro per l’Europa per far comprendere anche a persone altamente specializzate questa doppia visione di sopravvissuto e volontario. Oggi si sta specializzando in Biologia Marina ad Ancona, dove vive dividendosi con la sua Fermo, ed è impegnato durante la stagione estiva come bagnino. Un contesto, quest’ultimo, nel quale è toccato a lui salvare vite.

Il terremoto è tornato nel sua vita, nell’agosto 2016. «Non è semplice rivivere le scosse», racconta, prima di fissare un’immagine altamente simbolica: il gruppo di Fermo che ritorna la sera del 24 agosto da Pescara del Tronto, dopo aver cercato invano sopravvissuti tra le macerie. Renato è lì, fermo ad attenderli. Nei mesi successivi opererà ad Amandola e accanto agli sfollati lungo la costa. Perché, giorno dopo giorno, è riuscito a riempire quel vuoto delle 3.32 del 6 aprile 2009. Impegnandosi. Per gli altri.

 


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