Archimede Sabelli
di Luca Capponi
(foto di Andrea Vagnoni)
«Quando produrrai qualcosa di commestibile?». Disse più o meno così, forse anche con toni più coloriti, il noto avvocato all’umile casaro che aveva portato, per primo, la mozzarella nelle Marche. All’inizio a Fermo, poi ad Ascoli. Dove quel prodotto oggi presenza fissa sulle nostre tavole non era mai arrivato. Scetticismo, qualche presa in giro e sguardi sospettosi, sono d’altronde fasi che accompagnano da sempre l’opera del visionario, seguirono dunque anche Archimede Sabelli da Bojano (Molise). Il quale era giunto nel Piceno per proseguire la sua attività: cercare latte, produrne, dare corpo a idee, stimoli, passione.
L’editore Capponi e i due amministratori della Sabelli Spa, Galeati e Mariani
Ma la sua epopea, perché di questo si tratta, iniziò molti anni prima, dalla nascita avvenuta nel 1923, dalla povertà, dagli stenti, dalla piccola stanza-laboratorio, da una guerra cui sopravvivere, dai prodotti trasportati in treno, dal boom economico, dal brevetto per la prima macchina semiautomatica per produrre mozzarelle, dalle levatacce all’alba. Ma soprattutto da una passione divorante, quella per il suo lavoro, che ancora anima l’anima di questo ragazzo di 95 anni. Nelle cui vene, probabilmente, scorre per davvero il latte. Proprio come il titolo del libro, edito da Capponi Editore, vuole suggerire.
“Con il latte nelle vene. Storia di un’azienda e del suo fondatore” verrà presentato al pubblico venerdì 13 aprile alle 17,30, presso l’auditorium “Neroni”. Durante l’happening condotto da Massimiliano Ossini si parlerà, ovviamente, di questa pubblicazione che narra le gesta del fondatore di uno dei marchi italiani più in auge nel comparto del fresco, vale a dire la Sabelli Spa. Che oggi vanta un totale di 500 dipendenti, 200 nel solo stabilimento ascolano, e due amministratori delegati quali Angelo Galeati e Simone Mariani, ovvero i nipoti di Archimede.
«Abnegazione, forza d’animo, umiltà, capacità di guardare avanti, attenzione per i suoi dipendenti, sono le caratteristiche non solo di nostro nonno, ma di tutti quei “self made men” che hanno costruito l’Italia. -spiegano- La sua è stata una vita difficile, piena di peripezie ma caratterizzata sempre da grande spirito di sacrificio e adattamento, una vita ricca di esperienze che compongono il bagaglio che egli ci ha trasmesso».
Un bagaglio ben pesante, da dividere a metà con Filomena, moglie di Archimede scomparsa nel 2002. «Madre attenta e moglie fin troppo devota. -scrive il Nostro nel libro- E’ stata il mio braccio destro, è stata me quando io non c’ero, quando ero via, e questa sua presenza mi ha sempre dato una grande tranquillità. Senza di lei non avrei certamente realizzato nulla di quello che ho fatto».
Forse, alla fin fine, la storia della vita di Archimede è una storia che parla, anche e soprattutto, di amore. Che poi è la spinta primaria che un visionario degno di questo nome deve avere. Con buona pace di chi prova in tutti i modi a dirti che non ce la farai mai.
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