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Davanzali, una storia marchigiana:
Itavia potrebbe tornare a volare

ANCONA - Dopo 38 anni la Suprema Corte ha disposto un risarcimento milionario per gli eredi della famiglia, vittima indiretta del caso Ustica
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di Fabrizio Cambriani

Questa storia comincia alle 20,59 del 27 giugno 1980. Quando dal DC9 della compagnia aerea privata Itavia si perde ogni contatto radar. L’aereo, decollato da Bologna con due ore di ritardo, e diretto a Palermo si inabisserà a 3700 metri di profondità nel mare di Ustica. Il caso Ustica è uno dei tanti, troppi misteri in cui l’Italia deve fare ancora chiarezza. Per le sue tormentate e contraddittorie vicende, costellate da menzogne di Stato si è parlato di “muro di gomma”. Ottantuno furono le vittime del disastro. L’ottantaduesima, scrisse la commissione parlamentare di inchiesta, fu l’Aeronautica Militare. A causa di omissioni, menzogne e depistaggi messi in atto dai propri ufficiali. Quattro dei quali finirono sotto processo per alto tradimento. Oggi, dopo 38 anni, possiamo affermare senza ombra di smentita che l’ottantatreesima vittima fu Aldo Davanzali, ai tempi proprietario di Itavia.

Italo Davanzali

Anconetano, classe 1923, come Enrico Mattei era stato un partigiano cattolico. Alto e biondo, aveva il piacevole aspetto del playboy. E la ferma determinazione, da imprenditore, di voler costruire qualcosa di utile. Negli anni ottanta, quando la maggior parte dell’industria era in mano statale, la sua Itavia, con quasi mille dipendenti, combatteva a mani nude contro la potenza schiacciante della compagnia di bandiera. Come l’altro marchigiano Enrico Mattei, che sfidò il monopolio delle sette sorelle del petrolio, Davanzali si mise in competizione con Alitalia. Ma la sua corsa si arrestò alle 20.59 di quel maledetto 27 giugno dell’80. Si disse, anzi l’Aeronautica Militare affermò che l’aereo venne giù per un “cedimento strutturale”. Che quei Douglas erano “bare volanti” perché in precedenza avevano trasportato pesce e quindi fossero corrosi dal sale. Il ministro dei trasporti di allora, Rino Formica, sotto l’onda emotiva, sposò questa tesi revocando a Itavia ogni concessione. Alla compagnia aerea furono addebitate tutte le responsabilità della sciagura. Fallì nel volgere di pochi giorni. Davanzali provò a difendersi sostenendo quello che tutti sapevano. Cioè che a colpire il suo aereo fosse stato un missile. Per questo venne incriminato per il reato di “diffusione di notizie esagerate e tendenziose.” Oltre a essere palesemente accusato di pagare prezzolati giornalisti per perorare la sua difesa. Con il fallimento della sua Itavia, tra l’altro, se ne andò un concorrente scomodo di Alitalia oggi ridotta a lumicino. Solo qualche anno più tardi il presidente del Consiglio Giuliano Amato, in commissione stragi, avrà il coraggio di ammettere che Itavia fu “una compagnia aerea distrutta da una menzogna.”

Aldo Davanzali morì a Loreto nel maggio del 2005, confortato solo dalla sua famiglia e povero in canna. Dopo quella vicenda si ammalò, perdendo tutto quello che aveva. Gli ultimi venticinque anni della sua vita furono un calvario. Quasi nessuno, nel turbinio di ipotesi e congetture dovute al caso Ustica, si curò di lui e delle sue traversie. Nessuno, nelle istituzioni marchigiane, ebbe mai la sensibilità di ricordarlo. Nemmeno con una semplice targa commemorativa. Neanche quando, nel 2013, la Corte di Cassazione diede una svolta decisiva alla vicenda stabilendo che la tesi di un missile era “abbondantemente e congruamente motivata”. Condannando, per giunta lo Stato a pagare perché “non seppe garantire la sicurezza del volo con radar civili e militari”.

La famiglia Davanzali

Martedì scorso le sezioni civili riunite della Suprema Corte hanno messo la parola fine a tutte le ingiustizie e le vessazioni patite dalla famiglia Davanzali. Respingendo il ricorso dei Ministeri di Difesa e Infrastrutture, hanno disposto un risarcimento milionario (si parla di 265 milioni di euro) per gli eredi di Davanzali. Se i ministeri «avessero adottato le condotte loro imposte dagli specifici obblighi di legge, l’evento non si sarebbe verificato», osserva la Corte, poiché «attraverso un’adeguata sorveglianza della situazione dei cieli sarebbe stato possibile percepire la presenza di altri aerei lungo la rotta del DC9 e, quindi, adottare misure idonee a prevenire l’incidente, ad esempio non autorizzando il decollo, assegnando altra rotta, avvertendo il pilota della necessità di cambiare rotta o di atterrare onde sottrarsi ai pericoli connessi alla presenza di aerei militari o, infine, intercettando l’aereo ostile con aerei militari italiani». Così si è definitivamente pronunciata la giustizia civile dopo quasi quarant’anni dalla tragedia di Ustica.
La notizia è che, con i milioni del risarcimento, Itavia potrebbe tornare a volare ancora. Grazie alla decisione di Luisa Davanzali, figlia di Aldo. Sarebbe questa infatti la sua determinazione, resa pubblica in un’intervista al quotidiano Libero il 24 agosto di tre anni fa. Cominciando proprio dalla tratta Ancona-Roma che, nel frattempo – ironia della sorte – Alitalia ha cancellato.
Per Aldo Davanzali ed Enrico Mattei – partigiani cattolici e pionieri del capitalismo illuminato – il destino ha scelto la sorte di un incidente aereo. Torbido, oscuro e per mano straniera. A noi piacerebbe che la sua storia, le ingiustizie subite, le vili menzogne di infedeli funzionari dello Stato che lo colpirono a morte, venissero raccontate. Soprattutto alle giovani generazioni. E che la giustizia che Davanzali non è riuscito ad avere da vivo le sia riconsegnata alla memoria.


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