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I lupi gli sbranano le pecore
e rischia di finire in galera

ASCOLI - Dopo il danno anche la beffa: un allevatore ascolano è stato rinviato a giudizio, processato e infine assolto dall'accusa di non aver smaltito le carcasse degli ovini uccisi
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Oltre la beffa il danno.. scampato solo per un cavillo legale. M.R., ascolano, proprietario di un’azienda agricola, ha rischiato l’arresto  e una multa per non aver rimosso tempestivamente due pecore di sua proprietà, morte a seguito dell’aggressione dei lupi. Il reato penale che gli veniva contestato d’ufficio era “abbandono di rifiuti speciali pericolosi” (articolo 256 del decreto legislativo 152del 2006). Il fatto è accaduto tre anni fa in un terreno in località Castagneti. Ma il pastore, difeso dall’avvocato Valeria Iachini, ha dovuto attendere fino al 13 settembre di quest’anno per l’agognata assoluzione, per nulla scontata. A marzo del 2015 il protagonista di questa rocambolesca vicenda, recandosi nel terreno dove custodiva il gregge, ha trovato gli ovini massacrati dai morsi dei canidi.

Pecore sgozzate dai lupi

La sua prima preoccupazione è stata quella di denunciare l’accaduto alla Asl anche per segnalare la perdita economica che aveva subito a causa della presenza dei pericolosi animali, che oltretutto avrebbero potuto seminare altre vittime.  Di tutta risposta ha ottenuto una diffida a “smaltire” le carcasse prima possibile, senza però che gli venisse notificato un termine perentorio per farlo. La rimozione è stata effettuata dagli operai del Comune, ma solo perché sono stati più tempestivi, e M.R. è stato rinviato a giudizio. Gli è andata bene e il giudice Barbara Bondi Ciutti lo ha prosciolto. Il suo avvocato infatti si è appellato, con successo, ad un articolo di legge (il 131 bis del codice di procedura penale) che prevede la non punibilità di un reato con pena detentiva inferiore a cinque anni,  a condizione che si riesca a dimostrare “la particolare tenuità del danno arrecato” e che il comportamento dell’imputato non è “abituale”. Circostanze verificate e ritenute valide dal giudice che pertanto non ha condannato l’ascolano, reo di una “condotta criminosa”.

m.n.g.


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