di Pierluigi Giorgi
All’interno degli eventi collegati alle “Giornate Sergio Finardi”, si è tenuto presso la Cartiera Papale un interessante convegno dal nome “Morire di fame o morire mangiando”. A presentare gli ospiti Stefano Odoardi, promotore delle giornate dedicate allo scrittore ed esperto di strategie militari scomparso nel 2015. Molto interessanti gli interventi dei tre relatori, il professor Salvatore Ceccarelli (genetista), la dottoressa Stefania Grando (agronomo, genetista) e Daniele Ciabattoni (fornaio-contadino) per il numeroso e attento pubblico presente.
Ceccarelli ha fornito un quadro illuminante sulle scelte indotte dalle grandi corporate sementiere e su come è cambiato negli ultimi anni il rapporto fra agricoltura, agricoltori, territorio e consumatori finali. Rivelante cartina di tornasole è la quantità di disturbi e malattie legate all’alimentazione di cui soffre la società moderna. I dati danno conto di una situazione preoccupante, portando l’esempio di uno studio francese che ha coinvolto 68.946 persone seguite per 5 anni: fra i vari risultati è emerso che gli individui con maggiore frequenza di consumo di alimenti biologici beneficiavano di una significativa riduzione del rischio di alcuni tumori, tumori invece molto più frequenti tra chi aveva un’alimentazione tradizionale.
Uno degli spunti di maggior interesse di cui ha parlato Ceccarelli è il concetto di biodiversità. In un quadro non certo rasserenante ha aperto degli spiragli di speranza importanti che riguardano il Piceno raccontando come nei circa 30 chilometri quadrati intorno ad Ascoli ci sia un vitale e interessante ritorno alla biodiversità di cui anche Ciabattoni è un artefice. Un modello che andrebbe seguito e che potrebbe portare interessanti sviluppi anche economici in un territorio come il nostro molto sofferente e alla ricerca di nuovi stimoli dopo lo spopolamento industriale degli ultimi anni.
Ceccarelli ha illustrato il percorso delle grandi multinazionali sementiere che hanno lavorato sul concetto di uniformità e rafforzamento di alcuni semi. Come anche la Grando ha sottolineato, si è partiti dall’idea di risolvere il problema della fame nel mondo e dello sfamare tutti; il passaggio successivo è stato quello di produrre alimenti molto nutrienti. Per far questo si è uniformata la ricerca sulle sementi rafforzando poche specie di semi e monoculture rese particolarmente resistenti e con precise caratteristiche nutritive. E’ nata una filiera in cui l’agricoltura è stata reinventata introducendo processi lavorativi uniformati e controllati in cui l’agricoltore è mero esecutore finale di un criterio imposto dalle grandi multinazionali che forniscono seme, anti-infestanti, diserbanti, trattamenti per la crescita e una serie di criteri e passaggi imposti: una filiera controllata dal principio alla fine. Le monoculture principali sono diventate riso, mais e frumento. Il 50% delle calorie e proteine consumate a livello mondiale vengono proprio da riso, mais e frumento e il 45% della ricerca agricola nel settore privato è solo sul mais. Black Rock detiene la quota di maggioranza del Gruppo Monsanto. Ci sono tanti altri elementi sul “nostro piatto”, ma già questi ci possono dare un quadro esaustivo della direzione impressa alle politiche di sviluppo agricolo mondiale.
La Grando ha parlato del concetto del cibo intelligente. Per invertire la tendenza la strada da fare è lunga e difficile ma forse occorre proprio ripartire dai consumatori per poter invertire la filiera. Esigere una buona e sana alimentazione per poter cambiare rotta.
Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando (ascolana e felice di poter raccontare la sua esperienza nella sua città natale) sono arrivati a queste conclusioni dopo anni di studio, sperimentazioni e condivisioni in tutto il mondo (Africa, Medio-Oriente, Oriente, Americhe e Oceania). Molto significativo è il recupero dei miscugli di semi di grano a cui hanno lavorato per 5 anni in Siria nella zona di Aleppo. Quella è stata una esperienza fondamentale per capire il concetto di biodiversità del quale oggi abbiamo grande consapevolezza. Un percorso simile è stato attivato da tre anni da Ciabattoni e altri suoi colleghi italiani che stanno recuperando tutti i miscugli di grani nostrani. Forse il prossimo anno si avrà il primo raccolto da questa ancestrale ed entusiasmante sfida.
Proprio Ciabattoni ha chiuso l’incontro parlando della sua esperienza di fornaio contadino. Il suo è un approccio rigoroso e scientifico che si confronta con la realtà imprescindibile della panificazione. Daniele è un bravissimo e coinvolgente comunicatore, uno che ti fa amare il pane che produce ancora prima di addentarlo. Esperienza condivisa con tutti i presenti che hanno provato il suo pane (la sua azienda si chiama Grano) condito per l’occasione con l’olio di Mauro Mongiovì, un produttore locale che lavora sull’olio di qualità anche lui alle prese in questi affascinati e ricchi spazi di diversità, pardon biodiversità Picena.
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