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L’ultima eroica fortezza
che cadde dopo 8.000 colpi di cannone

IL PICENO diventò il crocevia delle lotte conclusive per arrivare all’unità d'Italia. L’ultimo tratto della linea di confine che passava per il Tronto fu varcato da Vittorio Emanuele II il 15 ottobre 1860; per completare il “mosaico” mancava però un tassello: la con­quista dell'avamposto di Civitella del Tronto.
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Dall’immagine si apprezza la formidabile posizione della Rocca, che controllava la strada che univa Ascoli Piceno e Teramo, l’attuale Piceno Aprutina

di Gabriele Vecchioni

(foto di Giovanni Fazzini, Gabriele Vecchioni e d’epoca)

In un precedente articolo sono state analizzate le caratteristiche del confine preunitario tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa, segnalato da numerosi cippi lapidei e destinato a essere cancellato nel 1861, nel corso degli avvenimenti che a­vrebbero por­tato alla costituzione del Regno d’Italia (clicca per leggerlo). Per una serie di cir­co­stanze, il Piceno diventò il crocevia degli eventi conclusivi delle lotte per arrivare all’u­nità nazionale. L’ultimo tratto della linea di confine che passava per il Tronto fu varcato da Vittorio Emanuele II il 15 ottobre 1860; per completare il “mosaico” dell’Unità d’Italia mancava un tassello: la con­quista della Fortezza di Civitella del Tronto.

Il borgo e la Fortezza viste dalla Costa dell’Elce (Montagna di Campli)

Il borgo e la sua Rocca. Il nome del borgo è legato in maniera indissolubile al fortilizio che oc­cupa l’intera sommità della collina di travertino che si innalza (600 menti sul livello del mare) sulla cam­pa­gna ci­r­co­stante e domina possente le case del borgo. La grande Fortezza borbonica è una delle più grandi d’Europa (seconda solo a quella au­stria­ca di Hohensalzsburg, a Salisburgo), e si estende per più di 500 metri di lunghezza e 25.000 metri quadrati di su­per­fi­cie; fu edificata dagli spagnoli, in più tappe, tra il 1564 e il 1576 e fu un balu­ardo del Re­gno di Napoli durante le lotte per l’Unità d’Italia. Situato in una posi­zione pano­ra­mica eccezionale, il Forte presenta tre splendide piazze d’Armi, possenti ba­stioni e sug­gestivi camminamenti; al suo interno, un piccolo Museo ne rac­con­ta la storia. Non c’è spazio qui per descrivere la lunga, complessa storia della Fortezza, il primo nucleo della quale risale all’anno Mille. Ci occuperemo solo dell’ultimo assedio subìto, quello legato alle vicende che portarono al­l’Unità d’Italia.

Nella mappa di Vincenzo Maria Coronelli (Territorio d’Ascoli…, 1692), in basso si legge “Civitella del Tronto, Fortezza Reggia”

La For­tezza fu l’ultima roccaforte a cadere (dopo quelle di Gaeta – l’im­pren­dibile, il 13 feb­braio, e di Messina, il 13 marzo), no­nostante la muni­cipalità civitellese avesse dichia­rato la volontà di entrare a far parte del Regno d‘Italia e il Re di Napoli, France­sco II, si fosse già arreso all’e­sercito piemontese (i difensori furono, quindi, “più realisti del Re”).
Il vessillo bianco con lo scudo dei Borbone sventolò sugli spalti della piazzaforte, durante il prolungato assedio (dal 26 ottobre 1860 al 20 marzo 1961). Il 15 marzo 2011, a 150 anni esatti dall’evento, il quotidiano abruzzese “Il Centro” scrisse: «Il 17 marzo 1861, mentre a To­rino il Parlamento sabaudo proclamava il neonato Regno d’Italia, la bandiera bianco-gi­gliata dei Borbone sventolava ancora su Civitella del Tronto. Estremo lembo settentrionale d’A­bruzzo, ultima fortezza del Regno delle Due Sicilie a resistere all’invasore piemontese. Quella bandiera sventolerà ancora su Civitella per tre giorni». In altre parole… l’Unità d’Italia fu di­chia­rata tre giorni prima che di essere realizzata in maniera compiuta.

La Fortezza occupa la sommità della collina contrapposta a quella dell’Abbazia di Mon­tesanto. In primo piano, sul fondovalle del torrente Vibrata, le case di Villa Lempa

La resistenza. Dall’ottobre 1860 al marzo 1861 la Fortezza di Civitella del Tronto ven­ne messa sotto assedio dalle truppe piemontesi. Contemporaneamente, si sviluppò un mo­vi­mento di resistenza allo Stato nascente – il cosiddetto bri­gan­tag­gio – che durerà ben oltre la caduta dei Borbone, con morti, sofferenze e distru­zioni che colpiranno in gran parte la po­polazione civile. Anche il territorio circostante subì gravi danni. Le pendici orientali della Montagna dei Fiori furono devastate dal fuoco appiccato dai Piemontesi per snidare i bri­ganti che aiuta­vano i difensori di Civitella e si nascondevano nei boschi della Montagna. Esse furono rimboschite solo cinquant’anni dopo, sfruttando il lavoro coatto dei prigio­nieri di guerra austriaci, alla fine della Prima Guerra Mondiale.

«Dopo quattro giorni di vivissimo fuoco, Civitella del Tronto – ultimo baluardo borbonico in Italia – arren­desi al generale Luigi Mezzacapo» (Alfredo Comandini, L’Italia nei cento anni del secolo XIX, 1801-1900, giorno per giorno illustrata). Nelle immagini d’epoca, la Rocca e i suoi conquistatori (a sinistra, Pi­nelli e, a destra, Mezzacapo)

La lotta brigantesca. Durante l’assedio, i difensori della Fortezza rice­vevano aiuti dai co­siddetti briganti, loro simpatizzanti e autentica “spina nel fianco” dell’esercito piemontese. La lotta brigantesca si protrasse per circa un decennio dopo l’Unità d’Italia, con epi­sodi effe­rati compiuti dall’una e dall’altra parte; all’argomento sono stati dedicati numerosi articoli e volumi di diversi autori, ai quali rimandiamo (in questo articolo sono stati esaminati alcuni aspetti peculiari del brigantaggio nel Piceno).

Il lato a settentrione della Fortezza si appoggia su una formidabile rupe travertinosa

«Ma amico mio, che paesi mai son questi, il Molise e la Terra di Lavoro! Che barbarie. Al­tro che Italia. Questa è Affrica! I beduini, a riscontro di questi cafoni, son fiore di virtù ci­vile… La canaglia dà il sacco alle case de’ signori e taglia le teste, le orecchie a’ galantuo­mini e se ne vanta. Anche le donne cafone ammazzano». In questa frase, rela­tiva a territori forse geo­graficamente lontani dal nostro (ma, all’epoca, vicini “politica­mente”), pronun­ciata da Luigi Carlo Farini (futuro Primo Ministro del Regno d’Italia) il 27 ottobre 1860, pochi mesi prima della proclamazione dell’Unità d’Italia, c’è la giustifica­zione ideo­logica della repressione spietata dei briganti che infestavano l’Affrica. Nel 1863 fu promul­gata la Legge Pica (“Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle Provincie infette”) che, prorogata più volte, permise di debellare il brigan­taggio postuni­tario nel Mez­zogiorno d’Italia, con il soffocamento di qualunque feno­meno di resi­stenza. La lotta al brigantaggio impegnò un significativo contingente di pa­cifi­cazione: ini­zial­mente compo­sto di 120.000 unità (quasi la metà dell’esercito uni­ta­rio), scese, negli anni succes­sivi, a 90.000 uomini e, infine, a 50.000.
L’assedio e la caduta del Forte. All’inizio del 1861 ad assediare Civitella c’erano 1.170 uomini, contro 551 difen­sori. La guerriglia contava centinaia di combattenti, e le truppe del Generale Pinelli avvia­rono una durissima repressione nelle zone montane. A fine gennaio gli assedianti erano diventati 3.800, mentre cittadini e combattenti irregolari avevano abbandonato la piazza.

La falsa braga (cinta muraria esterna più bassa) del Forte con, sullo sfondo, il santuario di Santa Maria dei Lumi

Il 6 febbraio un attacco di circa 400 Insorgenti, guidati da Gaetano Trojani di Valle Castel­lana venne respinto e il Trojani, ferito, fu catturato e fucilato ad Ascoli: fu un duro colpo per la resistenza antipiemontese.
La Fortezza era giudicata, dal punto di vista strate­gico, «quasi inutile arnese di guerra» (Beniamino Costantini, 1902) ma impegnò i Piemon­tesi oltre il previsto. A bombardare la Fortezza cominciò il Generale Ferdi­nando Pinelli, arrivato a dicembre con un battaglione di 10 cannoni, e sosti­tuito dal Luogotenente Gene­rale Luigi Mezzacapo (ex-ufficiale dell’e­sercito borbonico) che aumentò il numero di can­noni a 25, tra i quali quelli “a tiro rapido”(modernissimi, per l’epoca). La guarnigione, provata dal lungo assedio e ridotta a 291 elementi, si accordò per arrendersi il 17 marzo ma il partito degli irridu­cibili prese il sopravvento; la capitolazione “a discrezione” (senza condi­zioni) avvenne solo il 20, quando le truppe di Mezzacapo entrarono nella piazza di Civitella del Tronto dopo un prolungato, furioso bombardamento: è quella la “vera” data dell’U­nità d’Italia.

La bandiera del Regno delle Due Sicilie con il complesso armoriale borbonico

«I guasti prodotti dalla nostra ar­tiglieria sono im­mensi, il forte è un mucchio di rovine», scrisse Mezzacapo nel tele­gramma che annunciava al Ministro della Guerra la resa dell’ul­timo baluardo borbonico. La guarni­gione prigio­niera venne condotta ad Ascoli, dove furono fucilati il sergente mag­giore Angelo Massinelli, che la comandava, e il capo dei briganti. Massinelli si era ri­bellato mesi prima al proprio comandante usur­pandone i po­teri; alla fine, il presidio si ribellò a sua volta con­tro di lui, “chiu­dendolo fuori” durante una sortita in paese.
L’ira dei Piemontesi per la resistenza indomita (contro la piazzaforte erano stati sparati 7.860 colpi di cannone!) si placò solo con la sua distruzione: fu minata e ridotta a un cu­mulo di macerie (sarebbe stata restaurata solo un secolo dopo); con essa furono di­strutte («a monito dei briganti») anche le mura angioine del borgo, risalenti al sec. XIII. Il medico-archeologo abruzzese Concezio Rosa scrisse (1870): «Dopo la caduta de’ Borboni fu l’ulti­ma fortezza che venne nelle mani del Governo italiano: il quale considerandola inutile alla difesa nazionale e pericolosa per i paesi vicini, nel caso che gente raccogliticcia e di mal’af­fare vi si accovacciassero, fu abbattuta e disfatta».

Alla sommità del forte, il Palazzo del Governatore (edificio diruto) e la chiesa di San Giacomo (al centro della foto)

Pianta della Fortezza e del borgo, in una carta del 1821 conservata presso l’Archivio di Stato a Vienna (la copia è esposta nel Museo della Fortezza)


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