Duecento chiese danneggiate, anche se nella maggior parte dei casi con danni lievi, solo nella Diocesi di Ascoli. E un percorso di ricostruzione fermo a due anni fa che sta lasciando spazio all’indifferenza. E’ il grido di allarme che arriva dalla Diocesi di Ascoli che con una lunga nota interviene per cercare di smuovere la situazione. «A più di due anni dal violento sisma che ha colpito il “Centro Italia” -afferma una nota diffusa dalla Diocesi- il processo di ricostruzione e riparazione del danno dei beni ulturali ecclesiastici non sembra ancora così chiaro e delineato.
Dei numerosi provvedimenti adottati dalle Istituzioni pubbliche (dalla legge n.229/2016 alle circolari della Protezione Civile, sino alle settanta ordinanze commissariali), solo marginalmente e in una logica emergenziale è stato affrontato il tema della tutela dei beni culturali immobili. Se escludiamo la circolare della Protezione Civile di Dicembre 2016 con la quale si definiva una procedura valida nella gestione della messa in sicurezza mediante misure provvisionali, solamente due ordinanze commissariali (n. 23 del 5/5/2017 e n. 32 del 21/06/2017) affrontano l’argomento della riparazione del danno da sisma ai fini della riapertura al culto del bene, seppur in modo piuttosto generico ed approssimativo dal punto di vista procedurale».
LE CHIESE COLPITE – Eppure, nonostante le problematiche legate alla lacunosa normativa ordinanziale e alla ridotta capacità operativa delle Diocesi colpite dal sisma, circa quarantacinque chiese della Diocesi di Ascoli Piceno (30 interventi provvisionali e 15 interventi definitivi), sono state oggetto di monitoraggio ed interventi, alcuni ancora in corso. Solo per citarne alcuni, non possiamo esimerci dall’annoverare la Cattedrale di Ascoli Piceno, resa parzialmente agibile da un intervento di messa in sicurezza in attesa di un restauro definitivo, la Chiesa di San Giovanni Battista di Appignano, anch’ essa aperta al culto grazie ad un complesso intervento provvisionale, le piccole Chiese Santa Margherita di Morignano, San Michele Arcangelo di Vitavello e Madonna dei Santi di Spelonga, custodi di un patrimonio artistico inestimabile, salvaguardato anche grazie all’attenzione dei cittadini e alla premura degli Enti preposti.
Ed ancora, la Chiesa del Santissimo Crocifisso di Acquasanta Terme, Santo Stefano di Roccafluvione e Santa Maria delle Grazie di Castel Trosino, già riaperte al culto. Santi Pietro e Paolo di Ascoli Piceno, San Lorenzo di Piano di Montegallo, San Giorgio di Venarotta, San Pietro di Palmiano, Maria Santissima Assunta di Venagrande, Santa Maria Extra Moenia di Ripaberarda, Madonna della Consolazione di Montemisio, San Giovanni Battista di Acquasanta Terme, San Sebastiano di Colli di Arquata, Santa Maria Assunta di Spinetoli, Santa Maria delle Grazie di Folignano e San Vito di Valle Castellana, oggetto di interventi definitivi in corso di esecuzione. Tuttavia, nonostante il lavoro svolto, sono duecento circa le chiese della Diocesi che risultano inagibili. La quasi totalità di queste presenta danni lievi, mentre circa il 10% risulta essere gravemente danneggiato, con crolli parziali o totali.
L’APPELLO – «Lo sforzo che ci aspetta è arduo e faticoso -prosegue la nota diocesana- così come è duro misurarsi con il senso di angoscia e sfiducia generato dal procedere a piccoli passi, spesso incerti, lungo un sentiero tortuoso e pieno di insidie che, sovente, nell’indifferenza totale, sta prendendo il posto della grinta iniziale. Pertanto, in attesa che vengano emanate nuove ordinanze commissariali in grado di avviare la macchina della ricostruzione (in ottemperanza alle modifiche legislative più recenti che qualificano le Diocesi come soggetti attuatori per interventi fino a seicentomila euro di importo lavori, secondo modalità tipiche della ricostruzione privata), occorre mantenere alta l’attenzione, continuare a farsi portavoce di una realtà evidente, ma che ha bisogno di essere continuamente rinnovata per non essere dimenticata».
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