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L’Appennino segreto
e il tempo sospeso
alla Grotta del Petrienno

ACQUASANTA TERME - Nascosto dai boschi, in attesa di essere scoperto dal visitatore attento, c’è un luogo magico capace di catapultare indietro nel tempo. Dalla monticazione fino all Seconda Guerra Mondiale, dai magici borghi di Tallacano e Poggio Rocchetta fino ai "disegni" di arenaria
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La Grotta del Petrienno

di Gabriele Vecchioni

(foto di Claudio Ricci e Gabriele Vecchioni)

Nell’Acquasantano esiste un’area poco conosciuta ma piena di fascino, soprattutto per le sue caratteristiche di wilderness di ritorno, per via dell’abbandono e della non utilizzazione del territorio: è l’area (di circa 120 chilometri quadrati) del Monte Ceresa (un rilievo che sfiora i 1.500 metri), compresa tra il Fluvione e il Tronto. È il cosiddetto “Appennino perduto”, un no­me scelto dalla dinamica sezione ascolana del Cai che sintetizza in modo incisivo la re­altà attuale delle zone interne della nostra montagna.

Il villaggio di Tallacano

Nascosto dai boschi, in attesa di essere scoperto dal visitatore attento, c’è un luogo “magico”: è la Grotta del Petrienno (lu p’trienne, in dialetto), che deve il nome al vicino, omonimo rio. La sensazione, per chi visita il luogo, è quella di un salto indietro nel tempo; in realtà, le strutture della grotta sono state utilizzate fino a qualche decennio fa. Prima di trattare del Petrienno, però, è bene dare qualche informazione sul tipo di eco­no­mia che ha generato la struttura.
Castagneti e borghi abbandonati. Nelle aree appenniniche interne l’orografia disegna un complicato sistema di creste e vallette, dove l’antica presenza dell’uomo è testimoniata da grumi di case, in gran parte abbandonati, con piccoli appezzamenti vicini alle abitazioni, e boschi misti dove è frequente la presenza del castagno. L’economia era impostata sulla proprietà comune di aree montane (erano le “comunanze”, a volte denominate “università”) riservate al pascolo delle greggi e al taglio del bosco. Queste antiche “società comunitarie” erano piuttosto diffuse nella nostra regione: l’economista Ghino Valenti ne contò, a fine Ottocento, ben 350, la metà delle quali (176) nella provincia di Ascoli Piceno.

Una “via” del borgo

La Grotta del Petrienno, di grosse dimensioni (60 metri di lunghezza per 15 metri di profondità, con un’altezza variabile – ma sempre rilevante – di circa 10 metri e una “cu­batura” di 9.000 metri cubi) è stata utilizzata per lungo tempo dagli abitanti dei vicini borghi d Roc­chetta e Poggio Rocchetta. All’interno della grotta sono visibili i resti di costruzioni in pietra a secco, nove unità destinate ai nuclei familiari che vi si trasferivano nella bella stagione, per accudire i loro animali e per effettuare altre operazioni, come la fienagione.
Il fenomeno della monticazione. La conformazione geomorfologica della zona, con valli strette dai fianchi scoscesi, non permetteva lo sviluppo compiuto di attività legate all’allevamento di ovini, anche per il numero di capi non elevato. Al contrario, la regione confi­nante, l’Abruzzo, è stata, per millenni, territorio elettivo della pastorizia e sui massicci cal­carei della Majella, del Gran Sasso e del Sirente-Velino, ma anche sulle mon­tagne più me­ri­dio­nali del Parco Nazionale d’Abruzzo e, a nord, sui Monti Gemelli, si trovano ancora tracce rilevanti di questa atti­vità.

Lungo il sentiero

Interessante era il fenomeno della monticazione, movi­mento verticale che avveni­va nel­l’ambito dello stesso comune e, sicuramente, meno imponente della transu­manza. Il fenome­no vanta una dure­vole continuità nel tem­po, per­ché ha risentito in misura ridotta degli sconvolgimenti sto­rici che nei millenni han­no interessato l’Italia. Mentre per la transuman­za la stabilità poli­tica era la condizione ne­ces­saria per garantire, con leggi protettive (e tasse), un pacifico esodo alle greggi che dai monti abruzzesi si recavano nei lontani pascoli invernali e vice­versa, per la monticazione si può ritenere che anche periodi politici meno tranquilli non ne impedissero l’effettua­zione.

I colori autunnali del bosco appenninico

L’attività è antichissima, risalente alla metà del secondo millennio A.C., quando già veniva effettuata dalle tribù appenniniche. Il trasferimento verso i pascoli migliori iniziava a mag­gio, con il ritiro delle nevi e l’utilizzazione delle grotte più vicine ai paesi. Dopo due-tre mesi, ai primi freddi di settembre, le greggi “tornavano” ai paesi d’origine. Nel caso del Petrienno si tratta, più propriamente, di un “trasferimento”.
I paesaggi pastorali abruzzese, molisano e pugliese sono segnati da emergenze storico-ar­chitettoniche di grande interesse come i villaggi pastorali, le chiese rurali, le capanne di pietra a secco. Segni “minori” sono gli stazzi, le recinzioni di pietra (i mandroni), i cippi lapidei, gli abbeveratoi. Particolarmente interessanti sono le grotte pastorali. Nella sola Majella i ricoveri pastorali rupestri – catalogati da Edoardo Micati, il loro maggiore studioso – sono circa 300.

Alta parete di arenaria

Come già riferito, nella nostra zona la pastorizia era diffusa ma non tanto come sui massicci calcarei a­bruz­zesi. La tipologia del rilievo, solcato da profonde forre e con valli strette, non permetteva atti­vità pastorali di rilievo; nell’Acquasantano, però, esistevano realtà simili a quelle descritte prima, almeno dal punto di vista della funzionalità: le pagliare della zona di Tallacano e di Rocchetta e la straordinaria emergenza della Grotta del Petrienno, “nascosta” tra il verde del fosso omonimo. Una grotta simile, raggiungibile da Quintodecimo con un sentiero nel bosco, non difficile, è quella di Sasso Petruccio nel Fosso di Noce Andreana, utilizzata soprattutto da boscaioli e carbonai.

Manufatto abbandonato

La Grotta del Petrienno è piuttosto ampia ma risulta invisibile fino a quando non vi si giunge, perché nascosta dalla vegetazione. La struttura stessa della valle, stretta e profonda, ha permesso l’utilizzazione della caverna, un riparo sotto roccia, con interventi minimi come muri in pietra a secco e tamponamento con pali, tavole, rami e fra­sche. Durante la Seconda Guerra Mondiale costituì rifugio sicuro per soldati americani ricercati dai tedeschi; gli stessi hanno lasciato scritte a testimonianza del loro passaggio.

Entrata al Petrienno

La mancanza di manutenzione per il fatto di essere ormai abbandonata da una quarantina d’anni, ha provocato gravi danni alla struttura che conserva però il suo fascino, inserita in un contesto ambientale fuori dell’ordinario. Resistono ancora alcune strutture lignee (travature, divisòri di rami, cornici delle porte…).

Ruderi di ricoveri

La presenza abbondante di acqua (siamo tra i rilievi della Laga…per arrivare al Petrienno bisogna passare sotto una cascatella) ha provocato erosioni caratteristiche sulla roccia arenaria, quasi merletti di pietra; lo stesso soffitto della grotta è istoriato: fa un certo effetto vedere una simile “decorazione” sopra la propria testa.
Il percorso. Si arriva al Petrienno passando per Tallacano e Poggio Rocchetta, seguendo un breve sentiero che si snoda nel bosco, costeggiando torrenti e alte rupi di arenaria. Anche se il percorso non presenta particolari difficoltà ed è segnalato, è bene essere accompagnati da personale esperto.
La Grotta è divisa in diversi ambienti, separati da strutture lignee ormai in disfacimento. Mantiene però intatto il fascino, la poesia struggente delle cose perdute. Arrivare al Pe­trienno, aggirarsi (con attenzione!) tra le strutture fatiscenti è come fare un salto indietro nel tempo; il senso di precarietà è accentuato dalle condizioni pessime in cui versano gli ambienti: la mancanza di manutenzione ha causato, infatti, gravi danni alle strutture.

Ingresso libero

Dalle foto a corredo dell’articolo è possibile rendersi conto delle condizioni senza dubbio “particolari” nelle quali vivevano (temporaneamente) gli abitanti della struttura.
Per concludere. Una visita al Petrienno, al di là della pur interessante immersione nella già citata wilderness di ritorno, nei boschi che stanno riappropriandosi del territorio, costituisce un interessante viaggio antropologico nel passato prossimo. È un posto nel quale basta rimanere in silenzio per dimenticare di stare nel Terzo Millennio. L’attenzione partecipata verso le strutture utilizzate fino a qualche decennio fa, può far rivivere momenti della vita di un tempo e ha una forte valenza culturale perché offre l’opportunità di conoscere e recuperare una “storia” che si sta cancellando: si riscoprono tradizioni ed espressioni culturali, stili e ritmi di vita antichi.

La ricerca

Grotta di Sasso Petruccio nel Fosso di Noce Andreana (spiegazione nel testo)

I segni del tempo inesorabile

Resti di un’abitazione

Ricami

 

 

 

 


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