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La morte di Pino Alesi:
un grande uomo che ha fatto la storia dello sci ascolano (Le foto)

ASCOLI - L'ultimo saluto di tanti amici e parenti prima nella piccola chiesa e poi nel bosco della sua Piagge. Un campione non solo sulla neve. Una vita leggendaria
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Una piccola folla davanti la piccola chiesa delle Piagge per l’ultimo saluto a Pino Alesi

di Walter Luzi

Nel silenzio del bosco della sua Piagge l’ultimo saluto di tantissimi amici e parenti, a Filippo “Pino” Alesi. La storia dello sci ascolano. La vecchia chiesetta di San Bartolomeo, e di padre Gianfranco, non può farcela a contenerli tutti. Perchè sono tantissimi quelli che gli hanno voluto bene, e che non sono voluti mancare all’ultimo saluto. Un abbraccio racchiuso in un caldo applauso all’uscita del feretro dalla chiesetta immersa nel verde, mirabilmente restaurata dopo l’ultimo sisma. Vecchi colleghi dell’Elettrocarbonium, dove si è fatto apprezzare per oltre un trentennio, tutta la vecchia guardia dello sci ascolano, molti gli sci club, con in testa il Monte Piselli, che gli ha tributato in un manifesto un affettuoso messaggio.

Pino aveva compiuto ottantotto anni un mese fa. Grande appassionato di sci e di montagna, è stato fra i pionieri, e più grandi appassionati, fin da bambino, di questo sport. Lui, il primogenito della dinasty Alesi. Il punto di riferimento principale per tutti gli altri. Luciano, Sandro, Bruno e Lina. Aveva costruito con le sue mani i primi sci di legno, per sé, per i fratelli e per la sorellina più piccola, che può essere considerata l’antesignana delle sciatrici ascolane, nella falegnameria del papà Giovanni. A Piagge, avamposto di montagna, verso le quote più alte, ancora senza asfalto e cemento, di Colle San Marco e di Monte Piselli. Palestra naturale per tutti i ragazzini del paese, fucina dei primi talenti del più praticato fra gli sport invernali. Tutti cresciuti e invecchiati i Piaggesi, gli Alesi e il cugino Domenico Cagnetti, con la stessa, immensa, inesauribile passione. Trasmessa, quando arriveranno, anche a figli e nipoti, fino ai giorni nostri. Insieme agli insegnamenti. Che Pino dispensava, a chi ne era avido, con poche parole, come suo costume.

La loquacità, persino la battuta, non gli mancavano di certo, ma le ritrovava solo con gli amici più stretti. Dopo il diploma alle Industriali si era arruolato in Aeronautica, e in questo corpo aveva prestato servizio per sei anni a Caserta. Aveva dato l’addio alle armi tornando nella sua città, nel 1961, solo per sposare la sua amata Ginevra. Dal loro matrimonio nasceranno Antonella, Gentilina e Luca. La secondogenita, Geny per tutti, porta il nome di sua nonna, morta giovanissima, e dal padre, che segue, incollata alle code dei suoi sci, in ogni settimana bianca, eredita la passione per questo sport. Tornato alla vita civile fa di tutto, perchè sa fare di tutto. Falegname, conduttore di macchine agricole, artigiano tuttofare. Poi arriva il posto all’Elettrocarbonium, dove lavorerà per oltre un trentennio come capo officina meccanica. Dimostrando competenze e capacità non comuni, facendosi apprezzare per il suo carattere umile ma determinato.

Militare nell’Areonautica

“Il muto” lo avevano ribattezzato bonariamente colleghi e sottoposti, per quel suo saper essere sempre di poche parole. Essenziale ma costruttivo, padrone della materia, risolutivo sempre, ma stimato soprattutto per la semplicità e la grande umanità. L’amore per lo sci e per la montagna non lo abbandoneranno mai. Arrampica sul Gran Sasso, sul Cervino, sul Rosa e sul Bianco. Vince ancora fra i pali dello slalom, come continuerà a fare anche da senior, ed è una miniera di suggerimenti preziosi per gli agonisti più giovani. Che anche in famiglia, grazie a Lorenzo e Alessandra, i più piccoli della nidiata, non mancano. Buon sangue non mente. Per sua scelta non diventerà mai un maestro di sci, ma anche senza il fregio appuntato sulla giacca, sarà considerato tale, da tutti, a ragione, ugualmente. Questione di carisma. Nella vecchia piccola falegnameria di papà Giovanni, continuerà a costruire per i suoi figli tutto quello che è possibile realizzare con il legno, ma anche con il ferro.

Anche gli sci, fino all’ultimo. Con le sue mani, come una volta. I materiali tecnici, come li chiamano ora, si evolvono continuamente. Sempre più sofisticati, tecnologici, leggeri, performanti. Ma quelli che continua a fabbricare Pin   in casa sua, con il castagno dei boschi di Colle San Marco, con le sue mani, hanno un’altro valore. Più alto. Profumano di storia e di impregnante steso a pennello, mano dopo mano. Di radici e memoria più forti di qualunque progresso. Vero e presunto. Di amore viscerale per la neve, le montagne, lo sci. Ma anche per il proprio lavoro, che si fa, talvolta, arte, quando nel farlo ci si mette il cuore. La forte tempra fisica di Pino, il suo spirito sempre giovane, conservati a dispetto dello scorrere dei tanti inverni, gli ha permesso di continuare a sciare fino allo scorso aprile. Sulle ultime nevi di primavera. A Roccaraso, in compagnia del fratello Sandro, per una vita Direttore Tecnico della stazione sciistica di Monte Piselli, e del genero Marino.

Poi quelli che sembrano i postumi di una grossa raffreddatura fanno pensare a una bronchite. Ma è qualcosa di peggio. All’ospedale Sant’Andrea di Roma lo operano a luglio per un carcinoma polmonare che non preoccupa più di tanto i due medici che se lo prendono a cuore. Sono entrambi originari della sua terra. Il professor Angelo Rendina dell’Arquatano, e il dottor Giulio Maurizi del Maceratese. Regala loro un libro che parla delle nostre montagne. Molto apprezzato, ma il destino è pazzo. Parlando di sci e di competizioni, scoprono che il papà del dottor Maurizi, medico anche lui, gli ha ricucito una mano, tanti anni prima, ferita da una lamina durante una gara a Frontignano. Incredibile. E commuovente. Pino si rimette subito dall’intervento, ma una tosse persistente e qualche valore del sangue anomalo lo riportano in ospedale a fine settembre, stavolta nella sua città.

Si sospetta una broncopolmonite, ma nessun antibiotico riesce a vincerla. Le sue condizioni precipitano nel volgere di pochi giorni. Una improvvisa ed imprevedibile recrudescenza del male? O una subdola infezione letale non diagnosticata in tempo? Una autopsia, voluta dallo stesso ospedale, forse, farà luce. Pino aveva chiesto ai figli di essere cremato un giorno, per poter riposare così proprio accanto alla sua Ginevra, scomparsa tre anni fa, nel piccolo cimitero di Piagge. Quel giorno è arrivato, ma il destino si è divertito ancora. Stavolta a riunirli, in cielo, proprio nel giorno del loro anniversario di matrimonio. Ciao Pino. Sei stato un grand’uomo.

 

Sport ascolano in lutto per la morte di Filippo “Pino” Alesi


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