Seduti da sinistra: Federica, Nazzareno e Francesca Pantaloni
di Franco De Marco
(fotoservizio di Andrea Vagnoni)
Come sarà il vino made in Piceno proveniente dalla vendemmia 2019 appena conclusa? Buono, molto buono. Garantito. Gran carattere. Il “viaggio” di Cronache Picene inizia con l’Azienda vitivinicola Pantaleone, rigorosamente biologica, con 16 ettari di vigneti a cui si aggiunge un nuovo impianto di 3 ettari, situata a Colonnata Alta (Ascoli), in un piccolo paradiso naturale, una valle tra colline e calanchi che dire suggestiva è poco. Qui il vino viene prodotto in un rapporto quasi maniacale con la natura e la storia. Questa è una vera azienda familiare con il papà Nazzareno Pantaloni a cui si deve la “scintilla” e naturalmente tanto tanto lavoro, la figlia Francesca, laurea in Economia e Commercio, che, guarda il destino, ha per marito il bravissimo enologo Giuseppe Infriccioli, e l’altra figlia Federica, grafica, con un amore infinito per il vino e la terra.
«La qualità di questa annata è alta – dice Federica Pantaloni – c’è stato un lieve calo di produzione. In altre zone di più. Qualcuno parla anche del 20%. In ogni caso a vantaggio della qualità». Dunque annata sulla carta d’oro. L’Azienda Pantaleone si appresta a presentare i nuovi rossi Atto I (Igt Marche Sangiovese 100%), Sipario (Igt Marche Rosso di Montepulciano), Boccascena (Igt Marche Rosso Rosso di Montepulciano 90% e Cabernet Sauvignon 10%) e Ribalta (bordò 100%) un vino antichissimo, rarissimo e commovente), i bianchi Onirocep (Doc Falerio Pecorino 100%) e Chicca (Igt Marche Passerina 100%), più il giovanissimo rosato Pivuàn.
L’azienda è simbolo del piccolo è bello, buono e ammirevole, che ha saputo affermare i suoi vini tra i tanti colossi presenti sul mercato nazionale e internazionale. Ma anche simbolo della voglia di lavorare, di fare sacrifici, di crescere e di combattere contro le avversità a cominciare dal terremoto, alle alluvioni, alle frane e ai cinghiali che fanno danni enormi. Un’azienda modello anche nel rapporto con la natura. La vendemmia ha significato tanto lavoro ma anche una festa. Tecnicamente parlando, come è andata? «Le uve hanno mostrato una maturazione ideale – spiega Federica Pantaloni – con un leggero ritardo della fase fenologica, però con un buon contenuto di sostanze coloranti nei rossi e di sostanze aromatiche nei bianchi, e con un ottimo equilibrio nei mosti. Nel senso che presentano una non eccessiva gradazione zuccherina, ma buona, e con un discreto contenuto di acidità che gli conferisce un grande equilibrio. Si può dire che porteranno a vini a lunga durata, a lunga maturazione, ottimi nel tempo, negli anni».
Se questa azienda oggi è un vanto del Piceno e delle Marche, se i suoi vini sono tra i più apprezzati sul mercato nazionale e internazionale, lo si deve alla… chiusura della Sgl Carbon. Quando Nazzareno Pantaloni, infatti, l’uomo che ha dato il via a questa bella avventura, si ritrovò senza lavoro, decise, abituato a non stare con le mani in mano, di dedicarsi totalmente ai vigneti della proprietà di famiglia. La prima bottiglia di vino Pantaleone è stata commercializzata solo 14 anni fa, nel 2005. Prima l’uva veniva conferita alla cantina sociale. Gli investimenti sono stati tanti. Gli ultimi per l’imbottigliamento e la barricaia. Una costante crescita.
I risultati sono dimostrati dai tanti riconoscimenti. Il Falerio Pecorino Onirocep 2018 è stato dichiarato Vino Slow e l’azienda ha ricevuto per la prima volta la “chiocciola” dalla Guida Slow Wine 2020. Lo stesso vino ha ricevuto per la prima volta i Tre Bicchieri della Guida Gambero Rosso 2020. Ancora l’Onirocep 2018 ha ricevuto i cinque Grappoli della Guida Bibenda 2020 e il The Wine Hunter Award 2019 al Merano Wine Festival. Inoltre ha ricevuto la Corona del pubblico dalla Guida Vini Buoni d’Italia 2020.
Ma il supervino Pantaleone, vitigno bordò, antichissimo, abbandonato e recuperato, si chiama Ribalta: ha ottenuto le quattro Viti dalla Guida Ais (Associazione Italiana Sommelier) il che è tutto dire, e la medaglia d’oro al concorso internazionale Grenache du Monde. L’ultimo nato, il Pivuàn 2018, Marche Rosato Igt, è stato inserito tra i migliori 100 vini rosa d’Italia da Slow Food e nell’edizione Vini Artigianali Italiani per il 2019. Questo rosato parte dal Montepulciano con vinificazione in barrique. La creativa dei titoli, è naturalmente Federica Pantaloni, la più giovane della compagnia, alla quale spetta anche l’dea originale di aver chiamato i vini con nomi del mondo teatrale. Per Pivuàn ha dovuto far ricorso, per mancanza di disponibilità… teatrale, alla peonia in francese (poivoine) richiamando così il colore del fiore.
IL MIRACOLO BORDO’: SI BEVE LA STORIA
Si chiama Ribalta questo vino speciale e raro: solo 500 bottiglie destinate naturalmente a una nicchia di appassionati. E’ un vino che conquista la scena. Come faceva Luciano Pavarotti nella lirica. Il tenorissimo. Profumo di zenzero, liquirizia, chiodi di garofano, pepe nero e rose, ribes, ciliegie e sottobosco il Bordò è stato probabilmente un vitigno portato nelle Marche dai pastori sardi. Tecnicamente viene definito “biotipo storico appartenente alla famiglia dei Grenache” ovvero quella madre che ha partorito, per esempio, il Cannonau in Sardegna. Ma la ricerca sulle sue origini non è conclusa. Di sicuro è un vitigno storico, impiantato di solito ai bordi della vigna e forse da qui il nome Bordò. Questo vino è memoria storica contadina. Pantaleone, con lungimiranza e pazienza, ricordando quanto i vecchi agricoltori lo decantavano, ha recuperato il vitigno. Ed ecco una specialità che ha subito fatto impazzire addetti ai lavori e appassionati. Chi beve questo vino si getta nella storia del Piceno. La ricerca delle sue vere origini è per la verità ancora in corso e, dicono, ci potrebbero essere anche delle sorprese.
LA LEGGENDA DEL FOSSATO
Una curiosità. A dimostrazione di come la terra che ospita l’Azienda Pantaleone sia legata alla storia e alla tradizione contadina, c’è da ricordare che Pantaleone è il nome del fossato che scorre ai piedi della valle. Il nome deriva da due parole greche che significano tutto e leone. La leggenda narra che gli abitanti del posto chiamavano così il luogo per la sua spiccata capacità di dar vita a frutti, cereali e altri prodotti, corposi e di struttura. Come il vino di oggi. Insomma una terra particolarmente fertile, anche grazie ad un microclima assai favorevole. E il vino che proviene da questi vigneti non poteva che avere il carattere di un leone.
LA FOTOGALLERY DI ANDREA VAGNONI
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