Sisma, Emidio di Treviri: «Cosa ce ne facciamo della conoscenza?»
SISMA - «Crediamo che in questa sfumatura, tra la denuncia ex-post (che vuole produrre indignazione) e la contro-progettazione che muove dalla constatazione del conflitto, stia lo spazio dell'utilizzo della conoscenza per il riscatto, per il cambiamento»
prof.ssa Rita Micarelli (GRASP – Gruppi di ricerca azione solidale partecipata) nel workshop “Progettazione eterodiretta e contro-progettazione dal basso” – Scuola Terza di Emidio di Treviri
Il progetto di ricerca “Emidio di Treviri” nasce nel dicembre 2016 da una call for research lanciata dalle Brigate di Solidarietà Attiva. Dottorandi, ricercatori, professionisti e accademici di vari settori aderiscono all’appello dando vita a un’esperienza di ricerca collettiva e autogestita capace di produrre conoscenza critica dal basso. A tre anni dal sisma propongono una riflessione pubblica sul ruolo della conoscenza nella ricostruzione: «Cosa ce ne facciamo della conoscenza?».
Ecco il testo della riflessione: «A tre anni dai sismi sull’Appennino Centrale la situazione è drammatica in maniera auto-evidente. Chi ci vive da queste parti la conosce bene. Chi non ci vive se ne accorge appena ci passa, dal silenzio delle valli, dal buio dei lampioni spenti, dagli odori che mancano. Una resa limpida ben più dell’ennesimo reportage fotografico, o di nuovi dati (che poi sarebbe bello un giorno avere quelli veri, ad ora in possesso di istituzioni pubbliche e imprese partecipate, che si rifiutano di metterli a disposizione della collettività).
Eppure lo sport quasi obbligatorio nel post sisma sembra ancora quello di dover sudare per dimostrare al mondo fuori che la situazione è ferma, anzi marcia in direzione opposta: quella dello spopolamento e della presepizzazione. La tale lobby afferma che di questo passo la ricostruzione ci sarà tra X mila anni, il tal giornalista ci ricorda che tutto è fermo, tale studio dice che lo spopolamento avanza a ritmi esorbitanti e via andando in un turbinio periodico di informazioni corroboranti il dramma sotto i nostri occhi.
Il basilico sacro a Sat’Emidio protettore dai terremoti, con le radici che formano una montegna
Questo tipo di produzione di conoscenza è molto utile per chi è fuori dalla bolla appenninica: sui social, nei mass-media, nelle università etc. queste rappresentano informazioni importanti, che circolano in determinate nicchie culturali e sottogruppi politici, e aiutano queste a farsi un’idea di uno spicchio del dramma generale in cui siamo immersi. Il problema è che contribuiscono poco o affatto al dibattito pubblico nei luoghi della montagna, da cui il dato, la notizia, la foto etc. vengono estrapolate.
Che la ricostruzione avrebbe avuto tempi apocalittici, che ampi settori produttivi sarebbero entrati in crisi, che lo spopolamento si sarebbe acuito etc. stava scritto nei report, negli studi di associazioni, gruppi e sindacati da tempo, da mentre succedevano. Veniva messo nero su bianco, infatti, mentre i dispositivi, che quei fenomeni li avrebbero accelerati se non prodotti ex-novo, si stavano implementando. Ad esempio: La CGIL-MC denunciava dall’inizio che il meccanismo dei subappalti avrebbe dato luogo a condizioni di lavoro infime e qualità del costruito peggiore. Certo è utile il servizio di tale “Striscia satirica” a denunciare lo scandalo dei pavimenti ammuffiti, ma lo è principalmente per quella opinione pubblica che vogliamo indignata, non perché chi ci vive abbia migliori condizioni abitative.
Provocherebbe sicuro scandalo se dicessimo che lo Stato eroga mensilmente XX mln di € a fondo perduto per l’autonoma sistemazione anche a chi non ne ha bisogno. Ma non avrebbe nessun impatto sulla vita di chi è incluso in un meccanismo che genera disuguaglianza. Più utile è stato, a parere nostro, partire da quell’analisi per proporre un piano per una più corretta redistribuzione delle risorse che potesse anche re-incentivare il ritorno. Utile perché ha funzionato e le cose sono cambiate? Magari… “utile” perché nella discussione, nella definizione dell’agenda etc. la questione è diventata argomento per gli abitanti e quindi strumento di soggettivazione, identificando modi di utilizzare gli strumenti teorici dentro a contesti conflittuali o che si pretendono tali.
Il rapporto di ricerca scientifica indipendente sul post-sisma del collettivo
Per questo, già un anno fa dopo aver chiuso l’unica ricerca sull’emergenza di questi terremoti nel libro “Sul fronte del sisma”, il progetto di Emidio di Treviri ha scelto di non perseguire univocamente la strada della produzione analitica. Piuttosto, a partire da questa, muoversi verso traiettorie che hanno tentato di produrre diversi contro-piani. Li abbiamo chiamati gruppi di Ricerca-azione e sono stati impegnati (alcuni tuttora lo sono) a elaborare proposte che potessero rappresentare un punto di fuga verso cui proiettare quanto emerso dalle analisi sul campo. Hanno rappresentato una maniera per tentare di rispondere alla domanda: “e di tutte ste pagine di numeri, lettere e foto io, che me ne faccio?”.
Mimmo Perrotta, un compagno e ricercatore dell’Università di Bergamo, dice che è una forma di restituzione della ricerca. Con questo non vogliamo affermare di essere sicuri di praticarla come sarebbe necessario (altrimenti la realtà forse non farebbe schifo in maniera così “autoevidente”), quanto piuttosto che ci stiamo provando insieme allo sforzo di molti da queste parti».