Esortazione all’esercizio
della solidarietà
e della responsabilità personale
Gli auguri di pace e serenità
del vescovo Giovanni D’Ercole

ASCOLI - Il messaggio di Natale del capo della Diocesi ascolana. «In questo momento abbiamo veramente bisogno di fare pace con noi stessi». La povertà che aumenta, la mancanza di lavoro, il disgregamento delle famiglie, l'invecchiamento della popolazione. «Nell'Ascolano ci sono tante persone, anche di 50-60 anni, che non hanno lavoro e che spesso si ritrovano senza casa: basta farsi un giro in Zarepta al momento della mensa». I progetti per il 2020
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di Stefania Mistichelli 

Un augurio di pace e serenità e soprattutto un’esortazione all’esercizio della solidarietà e della responsabilità personale: questo il messaggio che il vescovo Giovanni D’Ercole, indirizza a tutti gli ascolani e a tutte le persone che ricadono sotto la sua Diocesi.

Il vescovo D’Ercole (Foto Vagnoni)

Eccellenza, alle porte del Natale, qual è il suo augurio?
«Innanzitutto auguro a tutti tanta pace e tanta serenità. In questo momento, noi abbiamo bisogno veramente di fare pace con noi stessi, perché è in questo modo che si riesce ad apprezzare il tanto bene che c’è. Natale è la rivelazione che il bene è spesso nascosto: Gesù, il creatore del mondo, nasce in una grotta nascosto ed è rivelato ai pastori, gli ultimi. Questo è un grande insegnamento di vita. Noi siamo abituati spesso a credere che le grandi cose le cose,  le cose più importanti siano necessariamente alla ribalta, sempre molto appariscenti, invece è importante  imparare a capire che nel nascondimento, nelle piccole cose, anche nelle fragilità della vita c’è lo stupore meraviglioso dell’intervento di Dio, che è la risposta alle domande più profonde. Io auguro che questo Natale sia il riscoprire e l’apprezzare e le piccole cose di ogni giorno, il saper vedere che non siamo mai abbandonati da Dio. È così. Natale è Dio con noi, l’Emmanuele. Dio che resta con noi».

Il vescovo alla mensa della Zarepta (Foto Vagnoni)

Dall’osservatorio privilegiato che è la Caritas, qual è la situazione della povertà in città in questo momento?
«Non si fa fatica a rendersi conto che la povertà è in aumento, perché la mancanza di lavoro, il disgregamento delle famiglie e l’invecchiamento della popolazione fa sì che si siano create delle condizioni per cui aumenta il tasso di persone che non riescono a pagare le bollette, che non riescono a tirare avanti fino alla fine del mese e, sempre di più, non sono stranieri, perché come è abbastanza noto ormai a tutti il numero degli stranieri diminuisce. L’Italia, infatti, non è un paese ospitale per loro e molti vanno all’estero dove trovano lavoro. Qui, nella nostra provincia, nel nostro Ascolano, ci sono tante persone anche di 50-60 anni che non hanno lavoro, che spesso si ritrovano senza casa. Basta farsi un giro in Zarepta al momento della mensa oppure mettersi in ascolto come come faccio io come vescovo, per scoprire che anche persone che proprio non penseresti hanno bisogno di aiuto. La povertà è in aumento: questo è un dato innegabile».

L’inaugurazione del nuovo polo di accoglienza della Diocesi (Foto Vagnoni)

Sulla famiglia: lei sicuramente ne incontra tante. Come è la situazione a livello di relazioni sociali ad Ascoli?
«Quello che dicevo prima a proposito della povertà diffusa porta con sé anche delle difficoltà di relazioni in famiglia tra coniugi, con i figli e tutto questo è sicuramente una delle cause scatenanti dell’aumento delle separazioni e dei divorzi, anche dei tradimenti familiari. Nelle famiglie diventa sempre più difficile la comunicazione interna, per cui cresce il disagio, che si riversa molto spesso sugli anziani e sui bambini.  Queste sono situazioni che, come Chiesa, evidentemente noi cerchiamo di attenzionare e anche di guardare con grande rispetto, perché non possiamo entrare all’interno delle famiglie, però si cerca di offrire, io invito di sacerdoti a farlo, possibilità in parrocchia di creare una comunità, in modo tale che le famiglie possano trovare una camera di compensazione che permetta loro di recuperare delle relazioni. Oggi non si può vivere individualmente, le famiglie non possono separarsi le une dalle altre, bisogna creare rete, bisogna creare comunità».

La Diocesi di Ascoli è molto attiva, quali sono i progetti in corso questo momento?
«La nostra attenzione è rispondere alle emergenze e questo è il primo dato sul quale abbiamo attivato una piena collaborazione con le istituzioni. Abbiamo già in atto interventi, come anche la Casa di accoglienza Sant’Emidio che fa accoglienza  immediata per persone che, magari, trovandosi improvvisamente in difficoltà, non saprebbero cosa fare. Dopo questo, che è la risposta alle emergenze, la nostra idea è contribuire a progettare una società dove ci sia anzitutto la consapevolezza della sobrietà, del fatto che non si può più vivere come prima. Oggi, necessariamente, siamo tutti un po’ più poveri dal punto di vista materiale, ma questo non vuol dire che vengano mortificate le relazioni, perché anzi si può essere più poveri di beni ma curare meglio relazioni. Spesso un sorriso, uno stare insieme, un condividere un pezzo di pane insieme, in serenità, vale di più che avere tanti soldi, tante opportunità. Accanto alla sobrietà, che è il recupero di questa semplicità di vita, c’è la solidarietà, che è la capacità di guardarsi attorno, di non pensare che il mondo finisca là dove finisce la mia ombra o l’ombra della mia famiglia, ma siamo tutti interconnessi, la storia dell’uno  necessariamente riverbera sull’altro. La solidarietà è la risposta alla globalizzazione dell’indifferenza che sta crescendo sempre di più, che Papa Francesco denuncia, auspicando al contempo che si trasformi nella globalizzazione della solidarietà. Il terzo punto importante, che fa parte di questa progettazione, è  promuovere la responsabilità; responsabilità significa non aspettarsi che tutto arrivi da qualcuno, che siano lo stato, la chiesa, “gli altri”. Fai innanzitutto tu qualcosa per gli altri: come insegnava Kennedy “non ti chiedere quello che lo stato può fare per te, chiediti tu cosa puoi fare per gli altri”. In questo senso, noi stiamo cercando di incoraggiare tutte le iniziative che vengono prese dai giovani, e anche dai non giovani, che tendano a rimboccarsi le maniche, a non aspettare che gli altri facciano per loro delle cose ma che si mettono in gioco realizzando quello che possono. Sono sicuro che, dopo questo primo passo, sicuramente arriverà l’aiuto, in più grande misura, anche dagli altri».

 


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