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Senti come… Scolpisce! Essere artisti nel 2020 con Ado Brandimarte

ASCOLI - Ado Brandimarte, classe 1995, allievo di Giuliano Giuliani, dopo l’Istituto d’Arte e l’Accademia ci racconta come la tecnica moderna possa fondersi con la poetica antica dell’essere artisti
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di Francesca Aquilone

Quando pensiamo alla scultura ci proiettiamo in una delle innumerevoli botteghe italiane del 500, tra i grandi maestri del marmo e la brama di imparare dei loro allievi. Con Ado Brandimarte abbiamo parlato del significato, dell’evoluzione e del potere del fare arte e dell’essere artisti.

 

Che significa essere uno sculture oggi? Si può vivere di questo?

«Quando si sceglie arte si capisce subito che il percorso che si andrà ad affrontare sarà travagliato ma praticabile.

Si può certamente vivere di questo, ma bisogna accettare il compromesso di affrontare
l’arte come un lavoro nel senso razionale del termine, con l’impegno e la costanza di un qualunque
lavoratore.

Posso dirti che oggi c’è chi guadagna troppo e chi guadagna poco. C’è chi crea una fabbrica col suo nome e si riempie di stagisti, e chi invece ripiega nell’insegnamento ma non riesce a sopravvivere».

Parlaci del tuo percorso…

«Sono molto tradizionale. Qualsiasi artista, soprattutto se inizia a liceo, fa un percorso in cui impara la tecnica, per poi lasciarla, gradualmente, per qualcosa di più personale.

Le mie opere, a volte anche abbastanza accademiche o astratte a prima vista, sono in realtà le riflessioni sui procedimenti scultorei storici. Ad esempio, prendo un calco, tecnica antichissima che presto si andrà a perdere, e la fondo in alluminio o in bronzo, in un materiale immortale. Il calco normalmente, una volta usato, è destinato al macero. Io mi impegno a fare i calchi perfetti esteticamente, li carteggio, sfocio in un grado di attenzione quasi maniacale, estetico, oltre la funzionalità, e spesso lo decoro con la foglia oro, tecnica antica per dare valore agli oggetti.

A volte ho anche decontestualizzato i procedimenti, portandoli dal laboratorio all’esposizione. Ora
soprattutto mi concentro sul dare valore agli scarti, come l’argilla che è servita per fare il calco e viene
buttata in secchi dove si rompe e si bagna per essere riutilizzata. A volte questi scarti hanno un aspetto
interessante: la scultura 3D non permette di avere questi “prodotti”, quindi io li prendo e li fondo in un
materiale immortale o cerco di dargli valore estetico».

Il senso comune ci porta a pensare la parola artista sempre al passato. Come vivi questo aspetto?

«Ti faccio un esempio pratico e semplice da capire. Immaginiamoci che venga commissionato un dipinto nello stile di Caravaggio, uno dei più grandi maestri pittorici che sia mai esistito: se voglio posso fare tutto da solo. Prenderei dei modelli, metterei dei faretti, farei foto al buio in HD che mi creino la scena. Poi stampo la foto nella dimensione esatta della tela e trasferisco, anche con un proiettore, oppure con la carta carbone, l’immagine, quindi posso anche non disegnare. Non trito i colori ma li prendo già fatti, pennelli eccellenti, luce al neon ed ecco che oggi posso fare un Caravaggio benissimo pur non essendo minimamente bravo come lui.

Ho visto in accademia persone che fanno copie e sono perfette e la domanda che nasce è: vale ancora quel tipo di arte così tradizionale? Non tanto. Non c’è più quel livello di tecnica ma si compensa con la poetica.

Quella con l’antichità è una competizione sleale».

Quali sono i tuoi modelli, antichi e moderni, di riferimento?

«Kandinskij rifletteva su “lo spirituale nell’arte”, sul fatto che “ogni opera d’arte è figlia del suo tempo”. Ci sono artisti che per me hanno significato tanto, ma non riproporrei lo stesso tipo di scultura. Uno su tutti è Michelangelo e i suoi “rifiniti non finiti”: si vede la tecnica di lavorazione, i segni sul marmo e le figure imprigionate nel materiale…questa cosa è interessante perché fa un salto nel tempo che dal 500 arriva subito a Rodin e a Medardo Rosso. Michelangelo anticipa i tempi e così si esalta la sua modernità, pur nel rispetto nei modelli scultorei greci».

Com’è la vita in studio?

«Viaggio spesso per le mie mostre, per cui a volte la mia produzione è bloccato. Quando però mi chiudo per lavorare, anche più di otto ore al giorno, c’è un’atmosfera romantica, tutto si percepisce in maniera diversa, c’è una sorta di eredità, anche dovuta all’essere italiano».

Come sei arrivato al tuo stile attuale?

«Io ho un approccio tradizionale. Un’artista visivo tende a ricercare una sua linea personale, una sua idea di arte che poi seguirà per tutta la vita.

Per un periodo ho cercato di viaggiare per tutte le correnti del secondo 900, il concettuale, ho provato anche la scultura 3D e ho capito che sentivo la mancanza delle mie radici, della tradizione, della manualità. Mancavano quelle sensazioni che avevo vissuto nelle botteghe ascolane di ceramica, dal maestro Paolo Lazzarotti, quando facevo l’artistico, nella cava di Giuliano Giuliani e nella bottega di mio nonno, dove tutto è iniziato. 

Unendo le esperienze con la tecnologia 3D e la nostalgia della tradizione ho capito che l’arte in futuro non perderà mai la figurazione ma il modo di arrivare alla figurazione, ma il modo di arrivare ad essa. La tecnica cambia, evolve, la stampa 3d non è facile, c’è un lavoro di programmazione enorme dietro ma la manovalanza è diversa.

Ho deciso di tramandare questi metodi antichi che col tempo andranno persi, anche a causa dei costi».

Cosa fai ora e cosa vorresti fare per la tua città?

«Mi sono laureato in scultura a febbraio, poco prima della quarantena. Espongo in Italia e all’estero, insegno
da tre anni all’università della terza età ad Ascoli Piceno. C’è un grosso pregiudizio verso gli artisti contemporanei, vedi la Banana di Cattelan con la sua ironia e il suo stile non compreso da tutti, ma che di fatto gli ha giovato due lauree ad honorem.

Ad Ascoli in particolare operano l’associazione Arte Picena e il museo Licini, ma servirebbero ancora altre
iniziative per promuovere “i vivi”, grandi eventi che non comporterebbero grossi costi. La mia disponibilità
sarebbe massima sia come artista che come organizzatore.
L’arte contemporanea è molto importante per la formazione di una società efficiente, ci insegna a non
giudicare immediatamente, e soprattutto, ad ascoltare».

Sogno nel cassetto?

«Sono legato al modo di vivere l’arte. Vorrei poter fare questo lavoro in maniera sincera. Mi capita di lavorare con l’artigianato, ma vorrei fare altro, nello specifico produrre opere che piacciano a me e sentirmi capito.

Se parliamo di esposizioni, da un po’ di anni, il mio sogno è esporre ad Ascoli una mia personale che conti, più
che scegliere altrove un museo o un posto che conta».

 

 

 


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