di Maria Nerina Galiè
“Certo che sono sempre più convinta che poveri di tasca siano i più miserabili di spirito. Invialo, pensando di potermi nuocere, ai tuoi avvocati”.
Con queste dure parole inviate tramite whastap si è conclusa l’esperienza lavorativa di Aida Dhefto, una giovane donna albanese, che vive a Folignano ed era alle dipendenze di una famiglia ascolana come domestica.
Fare la domestica non è certo il lavoro che una donna sogna di fare da piccola. E’ un’occupazione molto dignitosa e che richiede impegno e competenza. Ma dietro tale scelta nella maggior parte dei casi c’è la necessità di lasciare a casa – nel paese d’origine – genitori e affetti, nella speranza di trovare un luogo dove offrire ai propri figli un futuro migliore.
«Voglio far sapere quello che mi è accaduto per sensibilizzare le persone verso un comportamento più rispettoso nei nostri confronti», spiega la donna.
Amareggiata per il licenziamento che ritiene senza giusta causa. Sarà il suo avvocato Ernestina Portelli, del Foro di Roma ed esperta di diritto del lavoro, a tutelare i suoi interessi su questo fronte.
Lo screenshot del telefono di Aida con il messaggio in questione
Ma ancor di più Aida è rimasta profondamente ferita dalle parole che risaltano irriverenti sul display del suo cellulare, partite dall’utenza di un familiare del suo datore di lavoro.
«E’ un messaggio discriminatorio per me, per la mia famiglia e per tutti quelli che, come me, fanno due lavori per arrivare a fine mese».
Aida è laureata in economia e commercio, è sposata, ha due figli e aveva due impegni, uno al mattino presso la coppia che l’ha licenziata, uno al pomeriggio.
«Lavoravo con la famiglia da oltre un anno. All’inizio senza contratto. Poi sono stata regolarizzata per metà del tempo. Ma c’era un rapporto di reciproca fiducia con il datore di lavoro. Almeno era quello che credevo».
Va tutto bene fino a settembre, quando Aida torna in Albania per fare le ferie, rivedere i suoi genitori e rinnovare i passaporti, suoi e dei figli.
«Ferie concordate con la famiglia. Due, massimo tre settimane. Il tempo necessario per i passaporti. Tra l’altro, per non lasciare i signori a piedi, ho indicato loro una sostituta. Una mia amica».
L’assenza però si è prolungata, complici anche le restrizioni per Covid.
«Proprio in quei giorni l’Albania ha chiuso le frontiere con l’Italia, Io avevo già acquistato i biglietti del traghetto ma ho dovuto rinviare il viaggio fino a che non è stata aperta una finestra di 5 giorni per permettere il rientro di coloro che, come me, avevano un permesso regolare.
Ma quello che voglio precisare è che la famiglia presso cui lavoravo è sempre stata al corrente di tutto. Mai avrei pensato di trovare una sorpresa al mio rientro.
Tornata finalmente in Italia ho dovuto fare la quarantena, come prevedeva la normativa. In quei giorni però iniziava ad insinuarsi il sospetto che stava accadendo qualcosa. La conferma l’ho avuta invece dalla mia amica e collega. E’ stata lei a darmi la notizia che i signori avrebbero chiuso il contratto con me ed assunto lei al mio posto.
Quando ero nel mio paese pensavo al momento del rientro, quando avrei dato alle persone per cui lavoravo il regalo simbolico scelto dai miei genitori. Il regalo e rimasto a me, cosi come anche il messaggio».
«Il motivo del licenziamento – spiega l’avvocato Portelli – è l’assenza ingiustificata. Quando ho mandato una prima lettera, con la richiesta delle differenze contributive in ragione di un contratto parzialmente regolare, al centro per l’impiego Aida risultava ancora in forza presso la famiglia e dava disponibilità a riprendere il lavoro.
Nello stesso giorno in cui è arrivata la mia lettera, è partito quel messaggio. Abbiamo verificato tramite Poste Italiane. L’offesa è gravissima. Sto preparando il ricorso».
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