C’è l’ombra del Coronavirus nella riflessione di Franco Rossi, presidente Avis dei Sibillini che ha sede in Amandola ma raccoglie donatori di circa 11 comuni dell’entroterra piceno e fermano.
«Un anno che vorremmo tutti dimenticare – dice il dottor Rossi nel presentare il consuntivo del 2020 – ma se facciamo un respiro profondo e ci convinciamo che potrebbe essere stata soltanto una brutta giornata utile per imparare ad apprezzare quello che la vita ci offre, sicuramente saremo più forti e più maturi».
Seppur il bilancio delle donazioni si è chiuso con appena 22 sacche di sangue raccolte in meno (nonostante tutto), ha saputo affrontare e risolvere difficoltà sempre crescenti legate non solo alla pandemia, ma anche alle chiusure delle sedute a causa della carenza di personale e della precaria sede prelievi ancora in un “container” dopo oltre 4 anni dal terremoto.
E’ il vice presidente Domenico Annibali di Comunanza, impegnato nell’Avis da 36 anni, prima come donatore e poi come dirigente volontario, a riaccendere i riflettori su un problema che affligge il comitato dal terremoto del 2016. E lo fa senza nascondere di essere «indignato e sconcertato per le mancate risposte e per la mancata risoluzione».
«Dopo oltre 4 anni – precisa – nulla è cambiato. Nonostante i lavori di ristrutturazione presso il vecchio ospedale di Amandola e la nuova costruzione, ormai al termine, per i servizi sanitari, nulla è stato disposto e non ci sono state risposte a fronte delle insistenti richieste dell’Avis di Amandola alla Area Vasta 4, già prima della pandemia di marzo e dopo, nonostante l’Avis Sibillini sia stata sempre presente ed abbia risposto con continuità alle richieste di sangue della Sanità provinciale e regionale.
Si opera in assoluta precarietà e disagio considerando che l’attuale situazione pandemica richiede un numero limitato di presenze, distanze da rispettare».
«Gli operatori sanitari – continua il vice presidente – debitamente attrezzati, rispettano scrupolosamente le regole impartite per la loro sicurezza e dei donatori, ma dati gli spazi ristretti alcuni donatori e volontari dell’accoglienza, sono costretti ad aspettare fuori , al freddo ed alle intemperie.
Gli avisini della zona montana, che fanno diversi chilometri per donare, non si fermano nonostante il freddo e il buio (all’imbrunire si è costretti a posizionare un faro supplementare esterno per illuminare il percorso, le scalette posticce ed il container) che nelle zone interne, in autunno inoltrato ed inverno, arrivano presto.
Non si può più aspettare perché il perdurare di questa situazione porterà ad una chiusura, non augurabile, dopo 70 anni di onorata e fattiva presenza dell’AVIS Sibillini di Amandola».
Nel 2019 erano state 587 le sacche di sangue raccolte a fronte delle 565 dell’anno in corso, riduzione a cui hanno contribuito anche altri fattori come ad esempio la coincidenza di giornate festive e pre-festive nel giorno dedicato alla donazione e l’ancora attuale obbligo del distanziamento sociale secondario ai numerosi decreti pubblicati per la sicurezza contro la pandemia.
«Queste le luci di un anno da ricordare – affermano Rossi e Annibali – a cui, però, non vanno dimenticate le rinunce che siamo stati costretti a subire, prima fra tutte quella per i festeggiamenti del 70esimo anniversario della fondazione della comunale di Amandola. Un appuntamento atteso con entusiasmo e che speriamo di concretizzare nei prossimi mesi e a cui segue l’evento “una passeggiata per la vita”, in collaborazione con il Cai di Amandola, alla scoperta dei luoghi più belli dei nostri monti Sibillini».
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