Sicurezza sul lavoro e Covid:
In calo malattie e infortuni,
ma aumentano i decessi

LAVORO - I dati elaborati dall’Inail per l’anno 2020, evidentemente condizionati dall’avvento dell’emergenza sanitaria nel nostro Paese, testimoniano una sensibile diminuzione delle denunce registrate rispetto al 2019. Gli esperti invocano più controlli e maggiore disciplina nei protocolli da rispettare, mentre preoccupano alcune apparenti contraddizioni nel rapporto tra aziende, lavoratori e ATS
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Con il 2020 ormai ampiamente in archivio, per l’Inail è già tempo di stilare i primi bilanci per procedere a una valutazione dell’impatto degli infortuni sul lavoro in un’annata inevitabilmente segnata dall’avanzata dell’emergenza sanitaria.

Secondo i dati diffusi dall’ente previdenziale, lo scorso anno sono state presentate 554.340 denunce di infortuno, 87.298 in meno rispetto alle 641.638 del 2019. Determinanti ai fini dell’apparentemente incoraggiante statistica sono risultati i primi mesi del 2020, caratterizzati da un lockdown che ha di fatto diminuito le occasioni di infortunio del 21,6% nel corso delle prime nove mensilità del 2020, per poi chiudere l’ultimo trimestre con un’impennata del 9,1%.

«Certamente – conferma Guido Bianchini, esperto in sicurezza sul lavoro della Uil di Ascoli- la diminuzione degli infortuni è significativa, ma risulta viziata dalle problematiche che hanno gravato sullo scorso anno, come la diffusione del virus, la riduzione delle attività, delle ore di lavoro e in generale dell’occupazione e il massiccio ricorso alla CIG e allo smart working».

A livello nazionale, i dati rilevati al 31 dicembre evidenziano inoltre una diminuzione generale sia dei casi avvenuti sul posto di lavoro, passati da 540.733 a 492.123 con un calo del – 9,0%, sia di quelli relativi al tragitto casa-azienda, che crollano del 38,3% passando dai 100.905 del 2019 ai 62.217 dello scorso anno.

Per quanto riguarda in particolare le Marche, nella nostra regione sono state registrate 4.895 malattie professionali – tra cui spiccano problematiche legate al sistema nervoso, respiratorio e all’udito – a fronte delle 6.077 dell’anno precedente, mentre il numero degli infortuni si attesta sui 15.714 casi, 3297 in meno rispetto al 2019, con una particolare incidenza nei settori dell’agricoltura, dell’alimentare e in generale dell’industria, ma anche della sanità.

«Oltre 9.000 infortuni hanno visto protagonisti gli uomini – prosegue Bianchini -, mentre i restanti hanno coinvolto le donne. Restano predominanti gli infortuni di lavoratori italiani, mentre diventa pesante il bilancio degli infortuni mortali, che nella nostra regione passa dai 33 decessi del 2019 ai 46 dello scorso anno, 40 dei quali verificatisi in circostanze di lavoro e il resto in itinere».

Prendendo in considerazione la sola provincia di Ascoli, lo scorso anno sono stati denunciati 1897 infortuni sul lavoro, esattamente 500 in meno rispetto alle statistiche del 2019, mentre a livello di malattie professionali il calo è stato di 201 unità, da 759 ai 558 del 2020.

«I numeri in questione evidenziano la necessità di grande attenzione nell’applicazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e dei protocolli anticontagio. Inoltre, l’aumento delle morti bianche evidenzia come la pandemia, la crisi economica e la pressione sulla riduzione dei controlli, che vanno invece implementati, abbiano avuto conseguenze importanti in termini di sicurezza professionale e comportino un’implementazione di ritmi e carichi di lavoro.

I protocolli vanno verificati e migliorati anche attraverso la contrattazione, che deve orientarsi anche nel controllo dell’organizzazione del lavoro. Solo con aziende sane e sicure, mediante il coinvolgimento delle istituzioni e delle parti sociali, potremo finalmente lasciarci alle spalle questi drammatici dati.

Infine, è importante il ruolo della regione Marche nella sua attività di promozione e controllo dei luoghi di lavoro, servendosi al meglio degli Spsal – i Servizi per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro, ndr – e provvedendo a un’adeguata organizzazione in fatto di uomini, risorse e mezzi».

In questo scenario piuttosto complesso rientrano anche le denunce relative ai casi di positività al Coronavirus, che lo scorso anno nelle Marche hanno toccato quota 2821 contagi sul posto di lavoro, interessando il più delle volte le donne – nel 71% dei casi – e “risparmiando” relativamente gli uomini, la cui percentuale si attesta al 29%.

In particolare, nella nostra provincia sono stati registrati 198 contagi sul lavoro, il dato più basso dell’intera regione, con 125 donne e 73 uomini risultati positivi al virus.

Secondo gli addetti ai lavori, nel binomio azienda-lavoratore in relazione al Coronavirus sembra essersi innestato un aspetto di criticità relativo al rapporto con le ATS, le agenzie di tutela della salute.

«L’impasse – spiega l’avvocato Irene Pudda dello studio di consulenza legale Rödl & Partner, esperta in privacy & labour compliance – è dovuta al fatto che il datore di lavoro non è autorizzato a comunicare ai colleghi il nominativo di un dipendente risultato positivo. L’azienda è tenuta a fornire all’ATS le informazioni necessarie perché quest’ultima possa assolvere ai compiti previsti dalla normativa emergenziale e, contemporaneamente, ha facoltà di domandare ai possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente i locali aziendali, ma è l’ATS che ha la potestà di contattare i lavoratori per poi applicare le opportune misure di quarantena.

Il rischio, così facendo, è che le aziende lascino operativi interi reparti o uffici con il pericolo di diffusione del virus, non solo tra i dipendenti che sono stati a contatto diretto con il soggetto contagiato, ma anche tra i loro famigliari e i conoscenti».

Tuttavia, per il momento all’orizzonte soluzioni efficaci non sembrano essercene. «Non si può agire diversamente – conferma l’avvocato-. La procedura è volta a tutelare la privacy del lavoratore risultato positivo al Coronavirus.

Come si può facilmente immaginare, però, procedere alla disinfezione della postazione di lavoro, delle attrezzature utilizzate e degli spazi comuni frequentati dal dipendente, così come domandare ai possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente i locali aziendali, isolare o chiudere gli uffici in cui il dipendente ha lavorato garantendone allo stesso tempo la totale riservatezza è di complessa applicazione».

fe.am.


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