testo e foto di Gabriele Vecchioni
Circa quarant’anni fa (1983), Antonio Rodilossi, sacerdote e storico ascolano, scrisse il volume “Ascoli Piceno, città d’arte”, guida storico-artistica della città picena, ancor oggi valida. In uno dei primi capitoli, quello dedicato all’urbanistica, l’autore analizzava l’impianto e lo sviluppo del centro urbano e nel successivo, dedicato agli aspetti propriamente artistici della città, integrava e completava la descrizione di Ascoli, fornendo un utile quadro d’assieme.
Nel testo, l’autore chiudeva l’operazione in maniera concisa ma chiara; proviamo a rileggere il capitolo relativo allo sviluppo della città in maniera critica.
Scorriamo alcune righe di quanto scriveva Rodilossi sulla città: «Il fascino di Ascoli, città d’arte tra le più significative dell’Italia centrale, consiste non già, come per altre città, nel richiamo di uno o più monumenti celebri, ma nella complessa fisionomia che rapisce il visitatore». E ancora: «Le copiose vestigia romane, il romanico e il gotico, il rinascimentale e il barocco, tutte le grandi epoche storico-artistiche hanno lasciato la loro impronta incancellabile sulla città, ma l’una s’è inserita, per così dire, nell’altra senza soverchiarla, e anche senza isolarsi, creando al tempo stesso con le chiese e le piazze, le torri e i palazzi, i ponti, gli edifici pubblici, e le solenni rovine, un tipo di monumentalità collettiva dei più originali e dei più gradevoli».
Origine e sviluppo della città. Ascoli nasce su un terrazzo alluvionale formato dai due fiumi Tronto e Castellano (il suo affluente principale): le alte ripe dei due corsi d’acqua costituivano una difesa sicura da eventuali attacchi esterni.
Il lato della città verso occidente era il “punto debole” perché privo di difese naturali (alle difese occidentali della città fu dedicato, tempo fa, un articolo, al quale si rimanda, leggilo qui).
Per questo motivo, gli antichi fondatori della città costruirono mura difensive che dalla sommità del cosiddetto Colle Pelasgico (o Monte Cassero, dov’è ora la costruzione della Fortezza Pia, più volte distrutta e riedificata, fino a metà del sec. XVI) «scendevano a sud verso il Castellano e a nord verso il Tronto, serrate a guisa di cerniera dalla Fortezza al sommo del Colle».
L’impianto urbanistico del compatto centro storico di Ascoli (che corrisponde all’intera città romana, medievale e rinascimentale, fino all’Ottocento) è legato alla morfologia del terreno e segue la direttrice ovest-est, assecondando il corso dei fiumi: è la struttura della città romana che Rodilossi definisce come «impianto ortogonale ippodamèo». Il desueto attributo è riferito all’architetto greco Ippòdamo di Mileto (sec. V AC), al quale si deve l’ideazione di questo schema relativo alla formazione e allo sviluppo dei centri urbani.
La città era attraversata longitudinalmente, da ovest a est, dal decumanus maximus (l’attuale Corso Mazzini); l’altra direttrice viaria importante, il cardo maximus, è individuabile nell’attuale Via del Trivio. Le due vie si incrociavano in prossimità del forum (il Fòro, la piazza principale della città). Gli accampamenti romani (i castra) utilizzavano lo stesso schema ma il forum era “sostituito” dal praetorium, la tenda del comandante.
Il tema della via Salaria, che entrava in Ascoli da Porta Romana (o Gemina, per i due fòrnici gemelli), è trattato dall’autore in maniera schematica ma logica: a prova della sua ipotesi di attraversamento della città, porta diverse riflessioni, alle quali si rimanda. La Salaria, poi, usciva dalla città seguendo la direttrice viaria scandita, alla fine, da tre ponti “in linea” (il cosiddetto Ponte di Cecco, il ponte sul Gran Caso e il Ponte della Scodella).
L’asse mercantile della Salaria rimase in auge per diversi secoli, fino al periodo alto-medievale, quando i “nuovi” dominatori Longobardi e Franchi imposero itinerari commerciali diversi.
Nell’Alto Medioevo la città si arricchì di torri e palazzi gentilizi, costruiti con la pietra locale, il travertino. Delle torri di un tempo, «Poche, oggi, si levano verso il cielo, rare superstiti delle duecento e più che fecero denominare Ascoli “città turrita”».
Nello stesso periodo, l’edilizia sacra favorì la costruzione di splendidi edifici cultuali. Particolare importanza viene attribuita al già citato uso del travertino (il lapis tiburtinus) che, grazie anche all’opera di abili lapicidi locali, permise la costruzione dell’affascinante, unitario centro storico della città, ancora oggi apprezzabile: «Principale elemento di raccordo è il travertino, la sola pietra da costruzione che qui da secoli è adoperata anche per i più modesti edifici, e le cui tinte dorate, cupe, cinerine o ferrigne conferiscono alla città un aspetto di austera nobiltà e di suprema distinzione».
La presenza del cardo e del decumano portavano alla divisione della città in quartieri, a loro volta divisi in sestieri. I quartieri di Ascoli (una divisione sancita negli Statuti del 1377) hanno cambiato nome più volte, seguendo lo sviluppo della storia nazionale. Oggi, si preferisce la suddivisione della città in sestieri, una partizione celebrata durante la seguita rievocazione storica della Quintana.
Le porte della città. Nel momento in cui Rodilossi passa in rassegna le porte della città, ricorda che Ascoli era la “Tebe d’Italia”, per via delle sue sette porte d’ingresso. La prima era quella denominata Porta Santo Spirito (o Cartara, che prendeva il nome dalla vicina cartiera sulle sponde del Castellano – articolo precedente, leggilo qui), poi c’era Porta Torricella (o Tornasacco, nome legato al ricordo del “sacco” di Ascoli da parte della soldataglia di Federico II, rientrata in città utilizzando proprio questo ingresso); Porta Maggiore era la porta più recente, situata nei pressi dell’omonimo ponte; Porta Solestà, di epoca romana ma ricostruita nel sec. XIII, permetteva l’entrata nell’abitato passando sull’antico ponte augusteo; la cinquecentesca Porta Tufilla, ricostruita sui resti di un più antico accesso impostato su uno sperone di arenaria, una roccia che ad Ascoli viene denominata “tufo”; Porta Romana (il nome derivava dal fatto che la Via Salaria, proveniente dall’area romana, qui entrava in città) e, infine, Porta Corbara, murata nelle strutture difensive occidentali della città quando fu sostituita dalla Porta Summa. Delle porte di un tempo, le quattro che rimangono “in piedi” sono Porta Gemina (Romana), Solestà, Tufilla e Summa.
Le piazze della città. Al periodo rinascimentale risale l’abbellimento della città grazie a diverse, magnifiche opere: una di queste è il “salotto” della città, Piazza del Popolo.
Ascoli è città di piazze (articoli precedenti, leggi qui e qui). Ricordiamone alcune, le più “conosciute”. La più antica è Piazza Arringo, delimitata dai palazzi del potere (quello civile, con il Palazzo comunale – secc. XIII-XVII, e quello religioso, con la Cattedrale – edificio composito, secc. V-XVI – e il Battistero – secc. V-VI, esterno sec. XII); la più celebrata (meritatamente) è Piazza del Popolo, l’antica platea major; il centro del commercio cittadino era Piazza Ventidio Basso (platea inferior o delle Donne, per via del mercato che vi si teneva); infine, l’attuale Piazza Roma (già Piazza Montanara, dove si teneva il mercato dei prodotti provenienti dal circondario e dall’area montana).
Le rue. Infine, l’Ascoli segreta delle rue: il centro storico della città picena è “tagliato” da una fitta rete di caratteristiche stradine, le rue. Lo storico spiega l’origine e il significato della parola “ascolana” che indica vie di piccole dimensioni, strette e tortuose, fiancheggiate da case e botteghe artigiane «che, come rughe profonde ne solcano il tessuto urbano». Il termine, usato in Ascoli e attestato in documenti (gli Statuti cittadini) fin dal sec. XII, deriva al latino ruga (o ruca) che indicava una piega o un solco nel terreno. In realtà, la parola è usata anche in altre zone del Paese, in Italia settentrionale come in quella meridionale e anche nel vicino Abruzzo. Ha travalicato i confini geografici e politici e si è attestata in lingue nazionali, come il francese e il portoghese.
È interessante leggere i nomi delle rue in un manuale di toponomastica ascolana: se ne trovano di dedicate ad antiche popolazioni (Rua dei Piceni, Rua dei Vestini) ma anche nomi storici (Rua della Cisterna, Rua del Cassero) o legati alle professioni (Rua dei tintori, Rua dei funai, Rua dei notari) o altri più “strani” (Rua dell’aurora, Rua del castoro) fino a un’improbabile Rua della Befana, in pieno centro storico.
Lo scritto di Antonio Rodilossi termina con la descrizione dello sviluppo urbanistico globale della città picena, con l’espansione dei nuovi quartieri e delle zone industriali che hanno permesso il mantenimento dell’ordine sociale della popolazione.
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