Un momento del live di Dardust in piazza del Popolo
di Luca Capponi
(foto di Alessio Panichi)
Dopo due anni di silenzio, la musica è tornata in piazza del Popolo. Un nuovo inizio che non poteva avere anfitrione migliore. E dopo un’ora e mezzo di vortici musicali, viaggi interplanetari, effetti speciali, lupi che corrono, praterie sonore, paesaggi lunari e lampi improvvisi, l’invito finale: «Non si è mai visto un concerto senza gente in piedi, visto che mancano solo due pezzi…».
Già, vero. Il fatto è che quasi ci eravamo dimenticati di come si balla. Poco male. L’effetto Dardust ha la potenza di una macchina del tempo e dello spazio. Ti accompagna indietro nei ricordi ma allo stesso tempo spinge in avanti, verso frontiere inesplorate.
“Storm and Drugs” è il live della ripartenza. Quella dell’artista che ha abbattuto i muri del successo internazionale partendo dalla piccola Piagge. Quello del salotto buono ascolano, grazie alla sinergia tra Comune e Amat. E quello del comparto musica, dei tanti professionisti che prestano opera affinché eventi come questo possano realizzarsi. Non è un caso se alla fine il filmato proiettato sul grande schermo renda omaggio proprio a loro, che in due anni hanno lavorato quasi niente. Un settore allo stremo che ha bisogno di serate del genere. Di sentirsi ancora vivo.
Vedere piazza del Popolo così, di sabato sera, fa effetto. Novecento persone, che di questi tempi è uguale a sold out, code all’ingresso, ma poco importa. Lo spettacolo ripaga di tutto. Dario Faini lo sa. E dà il meglio di sé, in una data per lui molto sentita. Il ritorno. La sua città natale. E l’addio del papà Adelmo, qualche mese fa.
«Di sicurò è da qualche parte lì in mezzo a voi, questo concerto è per lui».
Applausi, come d’altronde accade per tutta la durata del live. Cos’altro dire. Ad ogni puntata Dardust aggiunge qualcosa alla sua navicella spaziale, continuando a stupire. Ascoli ne coglie ogni sfumatura, perché ha seguito con affetto tutti i suoi passi: dagli esordi con gli Elettrodust, una ventina di anni or sono, ai concerti in solitaria, dall’esperienza nel musical alle prime affermazioni come autore, dalla “nascita” di Dardust ad un successo che è andato ben oltre confine.
Già, Dardust. Anche se per tutti qui è semplicemente Dario. Il ragazzo che con talento e umiltà ha scalato l’Everest. Creando immaginari che mixano tradizione e contemporaneità, sperimentazione e classicismo. La sua musica è un magma incandescente che parte della rilettura dell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini e passa attraverso le scene di un film fantascientifico: “Prisma”, “Sunset on M.”, “Birth”, “Enjoy the light”, “The wolf”, “Butterflies” e “Sublime” sono solo alcune tappe di un viaggio sospeso tra onirico e reale.
Con Dario, che sul palco suona di tutto, dal piano al tamburo, ci sono gli immancabili sodali: Marcello Piccinini e Vanni Casagrande, due eccellenti polistrumentisti (anche loro nati e cresciuti nel Piceno) di cui si parla sempre troppo poco. Su “Bardaginn”, poi, arrivano anche i tamburini della Quintana, e qui l’effetto dal vivo è di quelli tanto potenti quanto coinvolgenti.
Alla fine negli occhi restano colori, coriandoli, farfalle suadenti. La musica che si fa sinestesia. I sensi che si appagano di tanta bellezza. Stupore che si imprime. Nell’anima. Grazie Dario, ci voleva proprio.
L’esibizione con i tamburini
Vanni Casagrande
Marcello Piccinini
Vanni Casagrande e Marcello Piccinini nel backstage
La foto coi ragazzi della Quintana
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