Edito da “Affinità Elettive”, esce il nuovo libro di Giuseppe Bommarito, avvocato e da tempo opinionista di Cronache Maceratesi. Il libro, titolato “La leggenda del santo ergastolano”, tratta dell’attualissimo tema dell’ergastolo ostativo, sotto forma di romanzo denso di riferimenti storici all’attività criminale della mafia siciliana negli anni Ottanta e Novanta.
L’ergastolo definito “ostativo” è il particolare tipo di pena previsto dall’ordinamento penitenziario per alcuni delitti di particolare gravità sociale posti in essere da appartenenti alla criminalità organizzata. Esso è perpetuo, vita natural durante, senza la possibilità della liberazione condizionale dopo ventisei anni di pena, senza speranza, ufficialmente finalizzato a impedire per sempre a soggetti “non collaboranti”, ritenuti pericolosi, i contatti con l’esterno, un regime carcerario che, a seguito di una particolare concatenazione di norme, viene usualmente denominato come il “41 bis”.
Di fatto si traduce in una pena di morte a lento rilascio per tutti quei condannati che, per vari motivi, non sempre censurabili, sono stati condannati alla pena massima e non vogliono collaborare con la giustizia. Per loro non c’è possibilità di redenzione, ma solo la morte alla fine di un lungo, a volte lunghissimo, percorso carcerario.
Un regime detentivo effettivamente terribile, introdotto in via emergenziale dopo le stragi del 1992, vanamente osteggiato da Cosa Nostra con le stragi dell’anno successivo, ma poi prorogato sino al 2002 ed infine reso permanente dal legislatore. Un regime che colpisce gli uomini che lo Stato ritiene per definizione segnati irrimediabilmente dai reati commessi e chiusi ad ogni possibile cambiamento, privati anche di un sia pur lontano orizzonte di libertà a pena espiata. Al punto che essi stessi hanno più volte chiesto ufficialmente al Presidente della Repubblica che la loro pena venisse tramutata in pena di morte vera e propria.
Il tema dell’ergastolo ostativo è fortemente divisivo, oggetto di innumerevoli dibattiti. Oggi se ne parla di nuovo perché la Corte Costituzionale, chiamata ad intervenire dalla Corte di Cassazione per valutarne la costituzionalità, con l’ordinanza n. 97 dell’11 maggio 2021 ha rinviato, nel rispetto delle divisione dei poteri e “per esigenze di collaborazione istituzionale”, la propria decisione all’udienza del 10 maggio 2022, dando quindi al Parlamento un anno di tempo per affrontare l’argomento in questione. In sostanza, un vero e proprio monito della Corte a chi deve fare le leggi: o provvedete voi a legiferare nel rispetto della Costituzione, o ci pensiamo noi.
Una decisione immediata di incostituzionalità, presumibile per il contrasto, evidenziato nell’ordinanza, della disciplina dell’ergastolo ostativo con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, avrebbe infatti rischiato di compromettere da un giorno all’altro l’intero attuale sistema di lotta alla criminalità organizzata, che si basa anche sul regime carcerario del 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”. Ecco quindi la decisione di concedere tempo al Parlamento, giusto un anno, per conciliare le opposte esigenze che vengono in campo. Va aggiunto che anche la Corte di Strasburgo, la Corte Europea dei diritti umani (Cedu), con una pronuncia del giugno 2019, divenuta definitiva, ha condannato la disciplina italiana dell’ergastolo ostativo, criticando in particolare l’automatismo tra la mancata collaborazione del condannato e la presunzione assoluta di ancora attuale adesione ai valori della criminalità organizzata, potendo la dissociazione da tali valori e il ravvedimento del soggetto ergastolano essere ravvisati, secondo i singoli casi, anche con altre modalità.
La decisione, sia del Parlamento che, in ipotesi, della Corte Costituzionale, ad ogni modo, sarà complicata dall’intrecciarsi di opposte esigenze. Da un lato, quelle delle parti lese, cioè i parenti delle vittime, feriti negli affetti e privati dei loro cari, le quali hanno fame di giustizia e il diritto ad una pena che punisca effettivamente i responsabili di delitti spesso orrendi, a volte difficili persino da raccontare. E, accanto alle parti private del processo che chiedono giustizia, anche le esigenze dello Stato, che si è trovato in una situazione di grande emergenza a dover rispondere, con un inasprimento delle pene e la creazione dell’ergastolo ostativo, ai gravissimi reati di mafia posti in essere negli anni Ottanta e Novanta, spesso all’epoca ideati e ordinati anche all’interno delle carceri. Un regime particolarmente duro con efficacia deterrente e al tempo stesso di stimolo al pentitismo, che si è rivelato particolarmente utile per smantellare intere cosche mafiose e che molti magistrati di punta dell’antimafia vogliono mantenere.
Dall’altro lato, la sofferenza e la fatica viva, quotidiana di chi ha sbagliato e sta pagando duramente per i propri errori, ma ha diritto a che la pena non si trasformi in vendetta dello Stato, e ha altresì diritto ad una pena detentiva che non si traduca in trattamenti contrari al diritto alla salute fisica e psichica e al senso di umanità e punti invece alla rieducazione del condannato, come vuole il dettato costituzionale, all’art. 27. Non a caso, Papa Francesco ha di recente definito l’ergastolo ostativo come una “pena di morte nascosta”.
Insomma, sarebbe importante lasciare aperti alcuni spiragli che almeno possano tenere viva la speranza degli uomini ombra di uscire dal carcere dopo una lunga pena detentiva comunque scontata, una pena che superi anche lo spazio di una generazione, un arco di tempo durante il quale sono cambiati, oltre alla testa anche dell’assassino più efferato, i valori della collettività, l’ambiente esterno, le organizzazioni criminali, le credenze, le convinzioni politiche e religiose, la cultura, la filosofia e lo stile di vita, le capacità, le competenze.
Ciò potrebbe portare ad un equo contemperamento tra le esigenze di tutela della salute fisica e psichica dei detenuti e la capacità dello Stato di far fronte al perdurante attacco mafioso, senza mettere nel dimenticatoio il sangue versato, le vittime innocenti, le ombre e i misteri che ancora aleggiano su tanti crimini e sull’attività della criminalità organizzata.
Il libro, preceduto da una prefazione dell’avvocato Giancarlo Giulianelli, Garante dei diritti delle Persone della Regione Marche, è strutturato in due parti. La prima parte, narrativa, racconta il pesante percorso criminale del protagonista sino al processo e alla condanna definitiva all’ergastolo; la seconda, molto più intima e riflessiva, è di tipo epistolare e contiene lo scambio di corrispondenza durato decenni tra il protagonista incarcerato e sua moglie, nel cui ambito emergono anche le innumerevoli problematiche dei familiari dei mafiosi condannati a lunghe pene detentive.
(Redazione Cm)
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