Storie di vecchie band, ecco i Pentagono: «Suonavamo sui rimorchi dei camion»

ASCOLI - Dagli anni sessanta in poi, l'evoluzione di un fenomeno che mescola cultura, spettacolo, costume, storia. Al via la rubrica che racconterà le vicende dei gruppi musicali che avevano base nel Piceno. Quando Internet era solo una chimera. Tra aneddoti e curiosità, il chitarrista Stefano Romani e i 24 anni passati col fratello Antonello, Claudio Bachetti, Francesco Paliotti, Mimì Di Silvestre, Michela e Silvia Marcucci: «Quella volta in un posto vicino Teramo in cui non venne la banda e ci toccò accompagnare la processione in giro per il paese»
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“I Pentagono” sul palco negli anni ’80

 

di Luca Capponi 

 

Una volta li chiamavano complessi. Oggi sono le band. Di anni, o forse è meglio dire di epoche, ne sono passate. Dai magici sessanta in poi, l’evoluzione di un fenomeno che mescola cultura, spettacolo, costume, storia. E ovviamente musica. Pagine da sfogliare per ricordare, con affetto, come eravamo. Per tenerci il buono che quei tempi ci hanno insegnato.

Parte così la nostra rubrica che racconterà le vicende dei vecchi gruppi musicali che avevano base nel Piceno. Quando Internet era solo una chimera. E l’arte di arrangiarsi (bene) vinceva su tutto.

Una vecchia festa di piazza nel Piceno con la band in azione

Dunque, il viaggio in questo jukebox della memoria prende il via. E lo fa con i Pentagono, formazione nata ad Ascoli nel 1980 ed attiva fino al 2004. Voce narrante, quella del chitarrista Stefano Romani, ex membro dei Tipo Toes insieme ai sodali Antonello Romani (basso e voce) e Claudio Bachetti (organo Hammond e tastiere). A loro si unirono Francesco Paliotti (batteria) e Mimì Di Silvestre (piano, voce e tastiere). Successivamente ecco le due sorelle cantanti Michela e Silvia Marcucci.

«Ricordo la prima volta di Michela, si vergognava molto, eravamo alla festa della frazione di Santa Maria a Corte, cantò girata verso di noi per tutta la serata nonostante la invitassimo a voltarsi verso il pubblico – esordisce sorridendo Romani – ben presto però lei e Silvia diventarono il nostro fiore all’occhiello. Belle e brave. Ce le invidiavano tutti».

«Il nostro repertorio era incentrato principalmente sulle hit del momento, per questi lo aggiornavamo spesso, anche in base alla stagione: d’inverno tiravano di più i pezzi disco per veglioni e feste, d’estate spingevamo l’acceleratore sui lenti – continua – eravamo tutti bravi nelle voci quindi davamo estremo risalto a questa componente, spesso inserivamo cori anche dove non c’erano e li strutturavamo in maniera attenta, era la parte che più ci contraddistingueva».

Dai Queen ai pezzi di Sanremo passando per classici come “New York, New York” o “Aggiungi un posto a tavola”, la proposta dei Pentagono era variegata e in continua evoluzione. Così come l’attività live.

«Suonavamo quasi esclusivamente d’estate -prosegue Romani-. In inverno facevano tutti i veglioni più importanti, tra cui quelli di Hotel Miravalle, Circolo ufficiali, Centro sportivo Mondadori, Cineteatro di Offida. D’estate invece facevamo un sacco di feste di piazza. Ricordo che nella zona di Capodacqua, Pretare, Piedilama, Arquata, Michela e Silvia facevano stragi di cuori».

Va da sé che gli aneddoti non possono mancare, tra un contrattempo e…un mistrà che sparisce.

Foto di rito pre concerto: Romani è quello con le bretelle rosse

«Ci è capitato più volte di suonare sui rimorchi dei camion, ma all’epoca era quasi consuetudine – ricorda divertito il musicista – i palchi erano spesso arrangiati. Le tavole curve e disconnesse tra di loro, mentre suonavi si muoveva tutto sul palco. Anche la fornitura di luce era alquanto approssimativa. Capitava che durante l’esibizione andasse via la corrente perché su un’unica fase, si attaccava la strumentazione del gruppo e le luminarie del paese. Che avventura ogni volta!»

«Con centinaia e centinaia di serate, di episodi strani da raccontare ne avrei davvero tanti – va avanti Romani – come quella volta in un posto vicino Teramo in cui non venne la banda e ci toccò accompagnare la processione in giro per il paese. Ci dettero 50.000 lire in più e alla fine la impattammo. Oppure quella volta in cui cantai una canzone in inglese maccheronico davanti ad una comitiva di inglesi, che mentre cantavo si sganasciavano dalle risate. Alla fine vennero a complimentarsi per il mio coraggio. E chi te li dava i testi all’epoca? Mica c’era Internet. Dovevi andare a senso ma molto spesso le inventavamo di sana pianta. Oggi sarebbe impensabile. Un altro episodio simpatico fu quando, dopo una cena luculliana a casa di una famiglia del paese, io e il batterista ci riportammo un po’ di mistrà gentilmente offerto dalla signora che ci aveva ospitati. Non sapendo dove metterlo, pensammo bene di riempire una bottiglietta di acqua minerale vuota, che posai tranquillamente sul mio amplificatore. Una delle due cantanti, ignara di tutto, si attaccò alla stessa pensando fosse acqua. Potete immaginare il finale. Lei che momenti prende fuoco e io che mi preoccupavo perché mi aveva sprecato quel prezioso mistrà. Sono solo tre episodi, i primi che mai sono venuti in mente. Ma potremmo davvero scrivere un libro con quello che ci è accaduto in 25 anni di musica insieme».

Un’immagine più recente

Cosa che a leggerle oggi sembra quasi fantascienza. Eppure si parla di un periodo non così lontano nel tempo. L’evoluzione in questo campo ha marciato ad alta velocità. E le differenze con la contemporaneità, anche a livello di atmosfera, sono tante.

«Eravamo giovani e pieni di belle speranze – continua – si provava spesso e si cercava sempre di migliorare, anche se era tutt’altro che facile. All’epoca infatti non esistevano scuole di musica moderna. Ad Ascoli c’era solo lo “Spontini“, ma noi “rocchettari” eravamo poco propensi allo studio della chitarra classica. Non c’erano inoltre libri, metodi e tantomeno tutorial sui YouTube. Tutto quello che imparavamo lo dovevamo solo a noi stessi. Anche reperire la musica era impresa ardua. Ricordo che passavo i pomeriggi con la mano pronta sul tasto Rec per registrare dalla radio i brani che volevamo rifare col complesso. Poi vennero le radio private e tutto fu più facile, anche se i conduttori ci parlavano sopra oppure ci tagliavano i finali. Quanto ci facevano arrabbiare…».

Ma i vecchi compagni di band? Che fine hanno fatto? Lecito domandarselo dopo oltre due decenni trascorsi spalla a spalla.

«Ci sentiamo e ci vediamo spesso, tra l’altro uno di loro è mio fratello – conclude Romani – con Michela ancora ci suono insieme, ormai sono 42 anni, anche se non consecutivi. Sua sorella Silvia vive a Roma ed ha sposato mio cugino e quando torna è sempre un piacere rivederla. Con Emidio, invece, ho suonato per altri 15 anni insieme. Una vita praticamente. Sono stato fortunato a vivere questa bellissima esperienza con loro».

 


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