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Le storie di Walter: il professor Carlo Vittori

ASCOLI - Un grandissimo dello sport che ne ha scritto la storia indicando sempre nuove frontiere. Le sue intuizioni e le sue esperienze sui campi di atletica hanno fatto scuola in tutto il mondo. L’attenzione per i giovani e le loro emozioni. La recente celebrazione della sua figura nella sua città doveroso, lodevole e tardivo riconoscimento alle sue immense capacità. I suoi trascorsi nella gloriosa A.S.A. nei racconti di due tecnici, due amici, che l’hanno conosciuto bene
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Il professor Carlo Vittori con il nostro indimenticabile Bruno Ferretti

 

di Walter Luzi

 

Carlo Vittori. Meriti immensi e onori postumi. All’ingresso del vecchio campo scuola è stato recentemente inaugurato un busto che lo raffigura. L’assessorato allo sport del Comune ha organizzato per l’occasione anche un convegno al Palazzo dei Capitani per celebrare, con l’associazione “Amici del prof. Carlo Vittori” la sua straordinaria figura. All’invito hanno risposto in tanti. Miti con Sara Simeoni, ex campioni come Giacomo Crosa, una trentina di maestri dello sport forgiati alla scuola del professore. Tutti commossi, e riconoscenti. Operano in ogni disciplina olimpica, basket, pallavolo, calcio, ginnastica, non solo atletica. Tutti continuano a ringraziarlo. Con la sua metodologia anche rigida. Perchè con lui non si scherzava. Sempre inflessibile, preciso, determinato, concreto. Ma, nel contempo, educatore sensibile, attento alla gestione migliore delle emozioni dei giovani. Antesignano dei mental coach, ne curava fisico e psiche, tirando fuori motivazioni, qualità e risorse più nascoste.

 

Il busto scoperto dal nipote Carlo jr

Tutti i suoi ex allievi lo ricordano con grande ammirazione, rispetto, gratitudine. Cresciuti, come atleti, tecnici e uomini, da un personaggio leggendario. Di quelli che ne nascono, si e no, ogni cento anni. Di quelli che avrebbero meritato meno nemici e più onori. Più considerazione. Più riconoscimenti. Da vivo magari, s’intende. Il lodevole, anche se tardivo, incensamento, ha tentato di riparare all’indifferenza multi decennale della propria città. Dove riuscire ad essere profeti in patria risulta impresa oltremodo ostica, dove non ha mai goduto di quella popolarità che il suo valore, e l’eco delle sue grandi imprese sportive, avrebbero ampliamente meritato. In una città, ma non solo qui, dove il professor Vittori è stato considerato, come accade a tutti quelli che un carattere ce l’hanno, un caratteraccio. E dove è stato spesso, ingenerosamente e diffusamente, etichettato solo come un gran rompicoglioni.

 

Il sindaco Marco Fioravanti e il figlio di Carlo Vittori

Il PRIMO OLIMPIONICO ASCOLANO

 

Carlo Vittori inizia a correre nella sua città con i colori della Libertas, a cui darà lustro con le sue imprese sportive, a livello nazionale e internazionale, insieme al triplista Rinaldo Camaioni. Diventa campione italiano infatti sui cento metri nel 1952, e bisserà l’impresa anche l’anno successivo. E’ il primo atleta ascolano a partecipare ad una Olimpiade. Quella di Helsinki, proprio nel 1952. In Finlandia la sua corsa finisce in semifinale, ma si rammaricherà sempre di non aver saputo fare di meglio. Si laurea all’Isef di Roma nel 1956, proprio nell’anno in cui nasce l’Associazione Sportiva Ascoli. Due destini che si incrociano. La fondano i fratelli Bracciolani: Mauro, notaio, e Vincenzo, insegnante, che ne assume la prima presidenza. Una società gloriosa che, con e grazie a Carlo Vittori, contribuirà a dare notevole impulso alla pratica dell’atletica leggera in Ascoli.

 

Dalla metà degli anni Sessanta, per oltre un decennio, l’A.S.A. conosce infatti il suo periodo d’oro. Vittori inizia qui, in quegli anni, a spargere i semi della passione per il lavoro sul campo, dell’orgogliosa dedizione e della ricerca continua del miglioramento. Si crea un gruppo di tecnici che caratterizzerà la vita, e i tanti successi, della società del presidente storico Mauro Bracciolani, nei decenni successivi. Una attività benemerita che prosegue ancora oggi. Sulla stessa pista malridotta del vecchio campo scuola, che oggi è compreso in quella che, molto suggestivamente, chiamano Cittadella dello Sport. Al suo ingresso, intorno a quel busto in ricordo di Carlo Vittori, si sono stretti tanti di loro.

 

Carlo Vittori e Armando De Vincentis

TUTTI GLI UOMINI DELL’A.S.A.

 

Armando De Vincentis, due Olimpiadi (Monaco 72 e Montreal 76) e cinque titoli italiani nel suo palmares, ricorda il momento del massimo fulgore della società sportiva ascolana: «Nel 1969 – racconta – ci ritrovammo in quattro dell’Asa a Verona fra i convocati in nazionale per un triangolare Italia-Cecoslovacchia-Inghilterra. Io, discobolo, il maratoneta Antonio Brutti, olimpionico anche lui tre anni dopo, il saltatore con l’asta Gianfranco Mariani e il triplista Rinaldo Camaioni, che, nel 1963, è stato il secondo ascolano a vincere un titolo italiano. Ma avevamo anche tanti atleti di assoluto valore nazionale come i fratelli Camaiani (già compagni del prof nella staffetta 4×100), Sandro Bernardi (marcia), Natalino Angelini (400 e 400 a ostacoli), Pietro Andolfi (lungo), Enrico Cerioni (giavellotto), Marcello Giacomini (200 e 400), Marcello Costantini (110 a ostacoli), e poi Tentorini, Zambrini, Fede, Vallorani, Orsetti, Cantalamessa, De Angelis, Faleroni, Angeletti e Nardinocchi fra i tanti altri. Carlo Vittori era il nostro allenatore, e molti tecnici hanno stentato a credere a quello che lui ci faceva fare quando nessuno al mondo lo faceva ancora. Come i millequattrocento gradini dal centro fino alla Fortezza Pia. Lui ce li faceva fare tutti a skip. Oppure inanellare sessanta giri di campo tutti di corsa. Voleva capire fino a dove l’organismo riesce a reagire a lavori molto intensi. Ma, al di là dello sport, il professore mi ha aiutato anche a trovare la mia strada nella vita. Ero cresciuto in un collegio e la sua guida, come per tanti altri ragazzi dell’Asa, è stata preziosa anche sul piano umano».

 

Natalino Angelini

Natalino Angelini è un quattrocentista e comincia ad allenarsi con Carlo Vittori nel 1955. Ha solo quindici anni. «Il professore gareggiava ancora con la staffetta –ricorda – e quando si assentava mi scriveva, con lettere che conservo ancora, i programmi di allenamento, prevedendo con precisione anche i tempi che avrei dovuto fare in gara. Oppure mi mandava al campo i suoi fratelli per fare le sue veci. Mimì, che lavorava biblioteca, o anche “l’americano” Guido. Perchè era tutta la famiglia Vittori appassionata di atletica. Con gli anni il gruppo dell’Asa si assottigliò, chi andò all’università, chi entrò nei gruppi sportivi militari. Restai solo io con il professore. E non gli dicevo mai di no. Mi aiutò a dribblare il servizio militare di leva, rinunciai anche ad un lavoro migliore, o ad entrare in un gruppo sportivo con le stellette, perché erano scelte che mi avrebbero portato tutte lontano da Ascoli. Scelsi di restare nell’Asa. Con lui. Non mi sono pentito di nulla. Ne è valsa la pena.

 

Con Pietro Mennea

La sua regola era solo una. Che valeva per tutti. Stai con me solo se ti alleni seriamente – dice Angelini – perchè solo così potrai ottenere dei risultati. Altrimenti stiamo a perdere solo il nostro tempo. Tutti e due. E questo lo faceva arrabbiare moltissimo. Pretendeva lavoro e impegno da tutti quelli che lo circondavano. E’ riuscito a farmi fare venti minuti filati di corsa sul posto. Penso proprio che rappresenti un record mondiale. Io credevo in lui, e mi prestavo sempre volentieri. Sperimentava continuamente, cercava nuove vie, e pretendeva, giustamente, dai suoi allievi lo stesso suo impegno. Perchè lui ci metteva l’anima».

 

Mennea e Vittori

UN ALLIEVO DI NOME MENNEA

 

Quando, nel 1965, il Coni vara la Scuola nazionale dello sport a Roma, Vittori ne entra quasi subito a far parte come docente. Giacomo Crosa, futuro nazionale a Città del Messico ‘68, ed Erminio Azzaro, futuro marito della mitica Sara Simeoni, Schivo, Lazzarotti, Arrighi, tutti saltatori, fra i suoi primi allievi. Il professore diventa presto tecnico della nazionale, prima dei salti, poi della velocità, e direttore tecnico della scuola di Formia. Crea uno staff di collaboratori, medici, fisiologi, Cerca continuamente conferme scientifiche alle sue intuizioni, e alla metodologie, a volte empiriche, di allenamento che adotta. Ha già lasciato Ascoli e Asa nel 1967. Il suo valore lo proietta già verso traguardi più prestigiosi, ma non reciderà mai, come vedremo, il cordone ombelicale con la sua città e la società sportiva. Anzi. L’incontro della vita avviene proprio ad Ascoli. 1968. Meeting nazionale di atletica “Trofeo Tartufoli”. Lui è già nello staff tecnico della Federazione. Vede con i suoi occhi un sedicenne pugliese stravincere i 300 con cinquanta metri di vantaggio sul secondo arrivato, e stabilire il nuovo record italiano. Un fenomeno. Si chiama Pietro Mennea. Due anni dopo inizieranno, fianco a fianco, a Formia, nel centro di preparazione olimpica del Coni, il loro esaltante e tormentato viaggio verso la leggenda.

 

Andolfi, De Vincentis e Angelini ricordano Vittori nell’ultimo Galà dello Sport di Ascoli

Con Armando De Vincentiis il professor Vittori ha condiviso dieci anni in nazionale in giro per il mondo: «Il professore è stato personaggio anche controverso – ricorda l’ex olimpionico a Monaco ‘72 e Montreal ‘76 – difficile da gestire. Sempre esuberante. Mai diplomatico. Quello che pensava lo diceva sempre chiaramente. E in faccia ai diretti interessati. Come ai convegni, spesso internazionali, quando interveniva a confutare le tesi di altri relatori, anche con una certa dose di aggressività. Non è stata mai una persona accomodante, tranquilla. Anche con la Federazione ha avuto sempre scontri. Sempre battagliero, senza alcuna remora. E’ difficile trovare una persona con la quale non abbia mai almeno bisticciato, però tutti in fondo gli volevano bene. Anche durante il periodo in cui sono stato assessore allo sport del Comune di Ascoli, mi ha… “massacrato” nella mia veste di amministratore pubblico».

 

L’ALLENAMENTO PRIMA DELLE CERIMONIA NUZIALE

 

«Quando lo chiamarono alla Scuola dello sport – racconta ancora Natalino Angelini – mi chiese di occuparmi dei ragazzi dell’Asa. Avevo ventotto anni e la sua stessa passione. Anche a distanza continuava a seguire il nostro lavoro. Come quando ero un suo allievo, continuava a scrivermi lunghe lettere con i programmi di allenamento per le varie specialità. E ogni volta che tornava al campo dopo i convegni a cui partecipava soprattutto, già solo stare ad ascoltarlo, a volte per ore, ti arricchiva. Perchè sapeva destare interesse con le sue parole. Sapeva fare bene il suo mestiere, e sapeva trasmetterlo a chi aveva desiderio di apprenderlo. Oggi si sentono tutti dei fenomeni, ma la dedizione al lavoro che mi ha inculcato Vittori non trova eguali. Quando aveva a che fare, ad ogni livello, con certi “attori” li sputtanava senza troppi peli sulla lingua. Facendoseli così tutti nemici, ma il calcolo non gli apparteneva proprio. All’Acqua Acetosa, a Roma, ci allenammo anche una vigilia di Pasqua. Quando mi sono sposato, alla cerimonia nuziale siamo andati, con tutti gli altri ragazzi invitati, solo dopo l’allenamento. Due giorni dopo eravamo a gareggiare. Da atleta dilettante, perché a diciassette anni lavoravo anche, da zero dunque, Carlo Vittori mi ha portato fra i primi sette in Italia. Era un rompiscatole? Non direi proprio. Da te – aggiunge – pretendeva, sempre e comunque, il massimo che potevi dare. E’ giusto così. Come era giusto che ci rimproverasse aspramente, ci trattasse male addirittura, quando non era soddisfatto. Ma poi era lo stesso che faceva le nove di sera, anche sotto la pioggia, per dedicarsi a te, se ci vedeva del buono. Più che burbero lo definirei esigente. Con lui trovavi spazio solo con la dedizione assoluta. Perchè in atletica non esistono mezze misure. Non è come nel calcio, dove anche colpendo male per sbaglio il pallone puoi fare gol lo stesso. Dove una prestazione negativa la puoi cancellare con una prodezza fortunosa al novantesimo minuto. Qui no. Qui contano solo il cronometro e la fettuccia. Non si scappa. O vai, o non vai. E per andare ce la devi mettere tutta. Sempre».

 

De Vincentis, Camaioni e Mariani: tre ascolani dell’Asa in azzurro a Verona nel 1969 per un l’incontro Internazionale Italia-Cecoslovacchia-Inghilterra

QUELLA VOLTA IN CINA

 

«Il primo anno alla scuola dello sport – ricorda ancora Armando De Vincentis – alle sue lezioni non mancava mai il famoso professor Sergio Cerquigni, docente di Fisiologia umana alla Sapienza. Perchè Vittori demoliva con le sue intuizioni anche consolidate certezze scientifiche. Come quando dimostra, dati alla mano, che il limite di creatin-fosfato che l’organismo produce nei muscoli affaticati può essere anche quadruplicato con ripetute e bassi recuperi. Lui sperimentava continuamente. Pietro Mennea era famoso nel mondo perché era l’unico sprinter ad allenarsi cinque ore al giorno tutti i giorni. Dopo il carico quotidiano faceva infatti quarantacinque minuti di defaticamento correndo a tre minuti e trenta al chilometro».

Vittori è un innovatore dell’atletica leggera che non si chiude però, gelosamente, nella sua torre d’avorio. Anzi. Pubblica in libri e trattati le sue teorie avvalorate da innumerevoli test sul campo. Diventeranno una sorta di testi sacri letti in tutto il mondo. Filippo Di Mulo, attuale tecnico azzurro del settore velocità, lo ringrazia ancora.

 

Mimì Vittori, triplista, fratello di Carlo e futuro direttore della Biblioteca e Pinacoteca di Ascoli, Pio Spinelli tecnico della Libertas Ascoli e Carlo Vittori

«Nel 1978 – ricorda sempre De Vincentis – andammo con la Nazionale a Pechino. Lì rimasero molto dispiaciuti perché Mennea e Vittori non parteciparono a quella trasferta. In quegli anni la Cina si stava aprendo al mondo, e il seminario che organizzarono a margine della manifestazione si tenne in una vecchia, grandissima, e suggestiva pagoda. Fui incaricato io di tenere la relazione, in qualità di allievo del professore e della scuola dello sport italiana. Vennero tremila tecnici da tutta la Cina ad ascoltare le esperienze e le metodologie di allenamento applicate da Vittori con Mennea. Ho ancora nelle orecchie i sonori brusii di incredulità ed ammirazione che spesso si levavano dalla vastissima platea in attento ascolto. Anche quando andavamo ad allenarci nei college americani tutti i coach cercavano il confronto con lui. Il prof. non ne aveva grande stima, perché, riteneva, vivessero di rendita sui talenti naturali, ma, in realtà, fossero generalmente poco propensi all’allenamento intensivo. Un patrimonio megalomane di potenzialità non sfruttate. Perchè i coach statunitensi, nelle high school o nei college che fossero, non stavano certo con il fiato sul collo ai ragazzi trecentosessantacinque giorni all’anno come faceva lui».

 

L’ORO DI MOSCA E IL RECORD MONDIALE

 

Quello dell’Asa, grazie ai ragazzi cresciuti con Carlo Vittori, è già diventato intanto un modello da imitare. Negli anni Settanta lo staff tecnico si rinforza ulteriormente con Vincenzo Ferretti, Marcello Giacomini e lo stesso De Vincentis che allena anche i lanciatori più giovani. Il declino che seguirà del decennio successivo è annunciato dalla grande delusione patita alla vigilia delle Olimpiadi di Mosca del 1980. Luigi De Santis, cresciuto alla scuola di Armando De Vincentis, azzurro della nazionale maggiore nel lancio del peso non può partecipare a causa del boicottaggio, all’italiana, dei Giochi, adottato dai soli gruppi sportivi militari. Una amarezza ripagata solo in parte l’anno successivo quando l’allievo, nel peso, e il maestro, nel disco, vincono a braccetto i rispettivi titoli italiani. A Mosca Vittori e Mennea conquisteranno invece l’oro olimpico, in una finale memorabile dei duecento metri senza gli americani, che hanno boicottato in blocco le olimpiadi russe. Ma anche con gli statunitensi in pista, forse, il risultato non sarebbe cambiato.

 

In Comune la presentazione della “Fondazione Carlo Vittori”

L’anno prima, a Città del Messico, Pietro Mennea aveva appena stabilito infatti il nuovo record del mondo, sempre sui duecento metri. Quel 19’,72” che resisterà per diciassette anni. Resisterà molto meno invece il professore alla guida del settore velocità della nazionale. Lo fanno fuori nel 1986, ma era nel mirino dei potenti della Federazione da sempre. Il prematuro ritiro di Mennea dall’attività agonistica accelera il suo siluramento. L’anno prima Vittori aveva rimesso in sesto anche le malmesse ginocchia di una giovane promessa del calcio italiano, Roberto Baggio. Il professore può tornare così anche a frequentare il campo scuola. Allena due saltatori con l’asta, già allievi del suo amico Natalino Angelini, e tanti altri delle regioni limitrofe che, sapendolo al campo, vengono  apposta per allenarsi con lui. Pur non essendo un tecnico dell’Asa mette volentieri a disposizione le sue competenze e la sua storia. Sempre ruvido, sempre con il solito caratteraccio. Nel 1990 Mauro Bracciolani lascia la presidenza dell’Asa dopo ben trentadue anni. Una autentica istituzione, a cui Vittori ha sempre rimproverato scarsa attenzione e considerazione per i risultati. Gli subentra Gianfranco Silvestri, che lascia però anche lui dopo pochi mesi. Fiaccato, si mormora nell’ambiente, anche dalle continue piazzate del professore. Chiunque guidi l’Asa  raccoglie una eredità pesante e una grande tradizione da rinverdire. In bacheca ci sono una quarantina di titoli giovanili nazionali, quattordici primati italiani, più di settanta presenze in azzurro, quattro presenze ai Mondiali, altrettante agli Europei con quattro atleti a vantare sei partecipazioni alle Olimpiadi. E non finirà certo qui.

 

La dedica autografa di Pietro Mennea alla redazione ascolana de “Il Messaggero”

QUELL’ULTIMA INTERVISTA

 

Nel 2013 a Roma, per i solenni funerali di Pietro Mennea la camera ardente del campione è allestita nella sede del Coni al Foro Italico. Qui Vittori incontra diversi maestri dello sport, poi diventati alti funzionari della Federazione, in seno alla quale hanno fatto facili carriere. Chiede loro quanto prendano di pensione. Gli rispondono che ammonta a diverse migliaia di euro al mese. Sorride amaro pensando alla sua, e, soprattutto alla montagna di conoscenze e pubblicazioni regalate, nel senso letterale del termine, all’intero mondo sportivo. Una vita di applicazione costante, una missione vissuta con passione sul campo, senza tempo, né naturale predisposizione per le public relation. Nè per i calcoli di convenienza, o gli interessi di bottega. Ha pagato per essere stato sempre coerente con sé stesso, duro e puro, rigido e franco, ma nessuno ha mai ricompensato la sua generosità nel trasmettere agli altri il proprio patrimonio di conoscenze. Incurante dei propri interessi personali nel dare, mai geloso, o speculatore, nel condividere i frutti preziosi del suo duro lavoro di una vita ai bordi della pista con il cronometro appeso al collo sempre stretto in una mano, e l’immancabile sigaretta fra le dita ingiallite dell’altra.

 

Alla moglie Nadia un riconoscimento della Fidal

Adorava la moglie, Nadia, che è scomparsa anche lei due anni fa. L’aveva “sopportato”, diceva il professore, con grandissimo affetto. Anche se lei aveva capito subito che, per lui, il primo e più grande amore della vita, sarebbe rimasto, per sempre, l’atletica leggera. Era rattristato per il tempo che aveva sempre sottratto alla sua famiglia, ai figli cresciuti senza di lui. Il prezzo altissimo che si era accorto troppo tardi di aver dovuto pagare per raggiungere ogni suo obiettivo. Spostando l’asticella sempre più in alto. Pochi lo sanno, ma durante la sua lunga gestione, dal 1969 al 1986, l’Italia ha vinto quarantasette medaglie, fra Europei, Mondiali e Olimpiadi in cinque diverse discipline: cento, duecento, quattrocento e staffette 4×100 e 4×400. Non ha vinto solo con Pietro Mennea dunque il professore ascolano rompiscatole.

 

Il giorno del funerale

Che vedeva nei valori pedagogici e formativi della pratica sportiva l’unica canalizzazione sana delle emozioni e delle energie di un giovane. Che, proprio per questo, auspicava un ritorno ai campionati studenteschi, anche per il bene dello sport italico. Che voleva squalificati a vita, e spogliati di ogni loro avere, gli atleti dopati. Che riteneva Ascoli capitale dello sport 2014 una responsabilità immeritata. A giugno del 2015 il periodico di arte e cultura Hat pubblica l’ultima intervista a Carlo Vittori. Il professore morirà sei mesi dopo. La firma Bruno Ferretti. Alla domanda del grande giornalista del Messaggero e suo concittadino, di quale fosse la cosa di cui andava più fiero risponde: «Sono fiero di aver sempre detto quello che pensavo. Sono fiero di non essere stato mai aiutato dai potenti, e, anzi, di averli spesso mandati a quel paese. Bene o male, ho fatto tutto da solo. E sono fiero anche della mia pensione. Dopo una vita di lavoro mi danno milleduecentotrenta euro al mese. Si. Ha capito bene. Ho detto milleduecentotrenta euro al mese».

 

La cittadella dello sport omaggia Carlo Vittori: un busto per ricordare il grande “prof” (Le foto)


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