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L’aborto ad Ascoli non è un tabù, Antonucci (Aied): «Servizio efficiente dal punto di vista medico e psicologico»

ASCOLI - Desta scalpore la notizia della collaborazione di una ginecologa in pensione e attivista che ogni tre settimane da Perugia mette la sua esperienza a disposizione del nosocomio ascolano. In realtà, la presidente della sezione ascolana dell’Aied testimonia lo sforzo del personale dell’ospedale “Mazzoni” e delle operatrici per garantire un intervento tempestivo e sicuro, sostenendo le donne dall’inizio alla fine del percorso. Punto di riferimento anche per le altre province, la struttura ascolana si avvale di tecniche all’avanguardia e un iter in grado di rispondere al meglio alle esigenze delle pazienti. «Le inadempienze derivano da responsabilità politiche, non dai singoli obiettori di coscienza»
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di Federico Ameli

 

A differenza di quanto comunemente si possa pensare a proposito di interruzioni volontarie di gravidanza nel Piceno, l’ospedale “Mazzoni” di Ascoli rappresenta un’eccellenza nel panorama sanitario nazionale.

L’ospedale “Mazzoni” di Ascoli

 

A qualche giorno di distanza dal servizio di “Le parole”, il talk condotto da Massimo Gramellini in onda ogni sabato su Rai Tre, dedicato alla dottoressa Marina Toschi, 67enne ginecologa ormai in pensione che ogni tre settimane da Perugia porta il suo invidiabile bagaglio di conoscenza ed esperienza sotto le cento torri, a testimoniare l’efficienza della struttura ospedaliera ascolana è Tiziana Antonucci, presidente della sezione ascolana dell’Aied, l’Associazione italiana per l’educazione demografica che da statuto promuove la procreazione libera e responsabile.

 

«Troppo spesso la realtà viene manipolata e all’esterno si ha la sensazione che ci sia bisogno di medici di altre province o regioni per sopperire alle nostre mancanze – afferma la presidente Antonucci – In un primo momento, anni fa, è stato effettivamente così, ma ora non più.

 

Quella della dottoressa Toschi è una scelta personale e retribuita. Oltre che un medico non obiettore, la dottoressa è un’attivista che ha lavorato tanti anni nel consultorio di Perugia per promuovere la contraccezione, difendendo la legge e condividendo appieno i principi della nostra associazione, attiva sul territorio nazionale dal 1953».

Tiziana Antonucci

D’altra parte, quello dell’Aied e dei suoi associati è un percorso piuttosto articolato, fatto di battaglie sociale e sofferte conquiste.

 

«Siamo sempre state al fianco delle donne – ricorda la presidente -. La prima svolta è arrivata nel 1971, quando anche grazie agli sforzi dell’Aied una sentenza della Corte costituzionale dichiarò illegittimo l’articolo 553 del codice penale che proibiva ogni sorta di campagna informativa sulla contraccezione, vista come un attentato alla stirpe e alla razza.

 

Fino ad allora non potevano esistere i consultori e non si poteva fare educazione sessuale nelle scuole. Poi, nel 1978, è stata emanata la legge 194, legalizzando a tutti gli effetti l’aborto che in precedenza veniva praticato in clandestinità, con conseguenze anche mortali per le donne».

 

Come sottolineato dalla Antonucci, l’emanazione della legge 194 mise inizialmente in difficoltà l’ospedale di Ascoli, all’epoca inadempiente ai termini fissati dalla legge. Per questo, nel 1980 i vertici della struttura stipularono una convenzione con l’Aied di Roma. Successivamente, nel 2000, fu stretto un accordo con l’Aied di Ascoli, valido ancora oggi.

 

«Da allora la struttura ha potuto contare su diversi primari di Ostetricia e Ginecologia non obiettori di coscienza – prosegue la presidente – come il dottor Giampiero Di Camillo, l’attuale primario facente funzioni che ad oggi è affiancato da quattro o cinque medici non obiettori.

 

Per quanto ci riguarda, noi di Aied siamo donne coraggiose e seguiamo l’esempio della dottoressa Giuseppina Teodori, a cui la sezione ascolana dell’associazione è dedicata. È stata lei a fondarla e ad avviare per prima la collaborazione con la struttura ospedaliera di Ascoli, di natura prettamente politica e sociale e non certo con scopo di lucro».

 

Attualmente l’équipe ascolana dell’ospedale Mazzoni pratica l’aborto farmacologico con la pillola RU-486 e l’aborto terapeutico al di sopra dei primi 90 giorni di gravidanza, un intervento che in Italia non è particolarmente diffuso e nelle Marche non è più praticato in alcuna struttura.

L’ospedale “Mazzoni” di Ascoli

«Da noi è possibile grazie a tecniche all’avanguardia come il metodo Karman, nel pieno rispetto di tutte le linee guida. Il nostro è un ospedale che offre assistenza su tutti i fronti per quanto concerne l’applicazione della legge 194. Non c’è alcun tipo di conflitto tra la nostra associazione e l’ospedale, che anzi non risulta in alcun modo inadempiente da questo punto di vista.

 

La struttura ospedaliera di per sé sarebbe perfettamente autosufficiente e in grado di praticare l’interruzione di gravidanza, ma negli anni abbiamo coltivato un proficuo rapporto di collaborazione in base al quale l’Aied prepara le pazienti promuovendo scrupolosi colloqui preliminari e redigendo le cartelle cliniche, assistendole poi anche in reparto e in sala operatoria.

 

Una prassi unica o quasi in Italia, che prevede una presenza costante del personale consultoriale anche durante l’intervento, con un significativo numero di donne che si affida all’Aied anche svolgere i controlli successivi: si tratta di circa il 60% delle pazienti, una percentuale ben superiore alla media nazionale del 30%, considerando anche che molte donne a cui prestiamo assistenza non sono ascolane».

 

In più di un’occasione, infatti, lo staff del “Mazzoni” di Ascoli si trova a dover assistere pazienti provenienti anche da altre province.

 

«Si parla sempre di obiezione di coscienza, quasi come se le colpe del malfunzionamento della legge 194 siano imputabili esclusivamente agli obiettori – sottolinea la Antonucci -. Non è così, dato che anche in assenza di obiettori spesso il meccanismo non funziona come dovrebbe. In alcune strutture le donne vengono respinte, vuoi perché non residenti, vuoi per via di liste di attesa troppo lunghe o di chiusure delle sale operatorie.

 

Noi, ad esempio, lavoriamo molto con il Fermano, dato che l’ospedale di Fermo è inadempiente da sempre, dal 1978. L’articolo 9 parla chiaro: in qualsiasi momento si presentino problematiche che impediscono l’applicazione della legge, è possibile per le regioni, che in questo caso sono gli enti preposti al rispetto delle normative, garantire il servizio stipulando convenzioni o facendo ricorso alla mobilità del personale. Si tratta quindi di una responsabilità politica, non dei singoli obiettori di coscienza.

Febbraio 2021, una manifestazione in piazza del Popolo sul diritto all’aborto

 

Ad ogni modo, all’Aied di Ascoli l’assistenza è immediata, gli interventi vengono garantiti e visita medica e colloqui vengono programmati in maniera tempestiva e continuativa, anche sotto le feste: cerchiamo di ascoltare al più presto le pazienti, di dar loro risposte e di fissare l’intervento immediatamente dopo la scadenza dei 7 giorni di attesa suggeriti dalla legge.

 

Il consultorio Aied, inoltre, fornisce alla donna la necessaria assistenza psicologica, una tematica che come associazione affrontiamo da ancor prima della pubblicazione della legge».

 

L’obiettivo è preparare adeguatamente ogni paziente per consentire loro di gestire al meglio l’intervento e prevenire – o quantomeno superare nella maniera più efficace – eventuali traumi connessi.

 

«La scelta di adottare l’anestesia locale anziché totale va proprio in questo senso: essere svegli e coscienti durante l’aborto permette di affrontare la situazione. Colpevolizzare le donne inserendo nel percorso dei colloqui con organizzazioni contrarie all’aborto, invece, è un errore che anzi porterebbe ad incrementare il numero di interventi, in quanto si innescano meccanismi che non risolvono i problemi di fondo.

 

Quando una donna ha già scelto di interrompere la gravidanza, cercare di convincerla a desistere è del tutto inefficace. Noi siamo formati con lo studio e l’esperienza e cerchiamo di comprendere eventuali desideri di gravidanza che emergono nel colloquio, mentre altrove c’è il rischio che operatrici non formate adeguatamente intervengano in maniera ostile nel percorso di scelta della donna, che dev’essere del tutto libera, e che si torni poi all’aborto clandestino».

 

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