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Aborto, la replica di Ojetti (Amci): «L’Italia ha bisogno di nascite, non di negare il diritto alla vita»

ASCOLI - Il presidente della sezione locale dell’Associazione medici cattolici italiani interviene nel dibattito dedicato all’interruzione volontaria di gravidanza in città. Una questione etica che agli occhi del professore appare in realtà “umana”, richiedendo un aggiornamento delle normative e una campagna di sensibilizzazione al rispetto del corpo e alla procreazione responsabile. Preoccupano, dati alla mano, il trend demografico nazionale e il numero degli interventi, per il presidente dell’Amci solo apparentemente in calo
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Da qualche giorno a questa parte, il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza ad Ascoli ha saputo ritagliarsi uno spazio di rilievo nel dibattito pubblico cittadino.

 

Dopo il servizio di “Le parole – il talk televisivo condotto da Massimo Gramellini – dedicato a Marina Toschi, 67enne attivista e ginecologa ormai in pensione che ogni tre settimane da Perugia fa tappa sotto le cento torri per offrire il suo contributo alla causa dell’aborto, e le dichiarazioni di Tiziana Antonucci, presidente della sezione ascolana dell’Aied (Associazione italiana per l’educazione demografica), sull’efficienza dell’ospedale “Mazzoni”, Stefano Ojetti – presidente dell’Associazione medici cattolici italiani di Ascoliesprime perplessità e una forte preoccupazione per il destino del Paese in termini di natalità, al di là dell’aspetto prettamente etico.

 

Il dottor Stefano Ojetti

«Noto con un certo stupore – esordisce Ojetti – che il “Mazzoni” venga elogiato dall’Aied come punto di riferimento per l’interruzione volontaria di gravidanza, quasi che tale servizio qualificasse il nostro nosocomio tra gli istituti ospedalieri di eccellenza.

 

A questo proposito ritengo che oggi, più che di aborti, l’Italia abbia bisogno di bambini nati, rappresentando la denatalità – che ci vede ultimi tra i Paesi europei – una problematica che in un futuro ormai prossimo non permetterà più il pagamento delle pensioni.

 

Risulta quanto meno singolare, infatti, come in un momento in cui la pandemia non è ancora stata superata, esiste una seria preoccupazione per un conflitto mondiale e la povertà è in continuo aumento, l’interruzione volontaria di gravidanza sia classificata tra le priorità del nostro Paese».

 

Dati alla mano, il professor Ojetti tratteggia una prospettiva tutt’altro che rosea dal punto di vista demografico, con potenziali risvolti negativi nella quotidianità degli anni a venire.

 

«È un problema che interessa l’Italia da anni – conferma – e con la pandemia la situazione è peggiorata. Il tasso di fecondità, infatti, è ben sotto la soglia che garantirebbe il ricambio generazionale (circa 2,1 figli).

 

L’Istat rileva nel 2021 un record di denatalità, con 399.400 bambini nati nel corso dell’anno (-1.3% sul 2020), confermando un trend drammaticamente negativo per un Paese in cui nascono sempre meno bambini e aumenta parallelamente il numero di anziani. L’infanzia, sostanzialmente, è a rischio di estinzione: in 15 anni la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di circa 600.000 minori e oggi meno di un cittadino su 6 non ha compiuto 18 anni.

 

Questa situazione determina un forte impatto sulla sostenibilità dello stato sociale. Una popolazione sempre più anziana, infatti, fa lievitare i costi del sistema previdenziale e del Sistema sanitario nazionale. Se tuttavia la popolazione attiva diminuisce e il numero di contribuenti crolla, la fiscalità generale si addossa un peso che non può sopportare».

 

L’ospedale “Mazzoni” di Ascoli

In un quadro del genere, agli occhi del professor Ojetti l’aborto rappresenta inevitabilmente un ulteriore ostacolo nel percorso di ripresa demografica del Paese, ma soprattutto la privazione di una vita.

 

«Nell’affrontare la problematica dell’interruzione volontaria di gravidanza – afferma – non si può non tener conto del progresso in ambito scientifico che, rispetto all’epoca della legiferazione della 194/78 nel nostro Paese, ha aperto orizzonti nuovi riguardo all’embrione.

 

Il tema del diritto è particolarmente complesso: all’applicazione della legge 194 la donna era l’unico soggetto di diritto, mentre oggi si presenta un altro soggetto, l’embrione, nel momento in cui si trova nella condizione di essere privato della vita e non potersi difendere. È evidente, dunque, che allo stato attuale la legge 194 oggi risulti obsoleta e migliorabile, negando peraltro un diritto anche al padre che, attualmente, nulla può giuridicamente rivendicare riguardo la vita del proprio figlio.

 

Ogni anno – continua – nel mondo si praticano circa 44 milioni di aborti indotti e nel nostro Paese, a più di quaranta anni dall’entrata in vigore della legge 194, ne sono stati eseguiti ufficialmente più di sei milioni. In particolare, nel corso del 2020 sono state registrate 66.413 interruzioni di gravidanza, che se raffrontate alle 234.59 del 1982 sembrerebbe indicare un trend in discesa. Purtroppo non è così, dato che bisogna tener conto anche delle Ivg “nascoste”, legate all’assunzione delle cosiddette pillole del giorno o dei 5 giorni dopo.

 

La potenzialità abortiva relativa all’assunzione di questi farmaci riguarda infatti l’eventualità che in circa il 15% dei casi, come sostenuto da numerosi lavori scientifici, possono non avere azione di contraccezione e quindi interrompere un eventuale gravidanza in atto modificando la struttura dell’endometrio; da qui la logica spiegazione della diminuzione del numero di aborti registrati rilevati.

 

La conferma di tale evenienza è suffragata infatti dall’ascesa inarrestabile della vendita dei contraccettivi d’emergenza, che registra un picco importante nel 2015, quando l’Aifa ha stabilito che le donne maggiorenni possono acquistare la pillola del giorno dopo senza ricetta, passando così dalle 15.200 confezioni vendute alle 573.100 del 2018, dato che prevedibilmente continuerà a crescere con la liberalizzazione, recentemente autorizzata, della vendita anche alle minorenni».

 

Per contrastare un trend ormai apparentemente consolidato, il presidente dell’Amci di Ascoli evidenzia la necessità di proporre una campagna informativa ed educativa volta a promuovere tra i giovani il valore della vita e del corpo umano.

 

«La priorità – spiega Ojetti – non è avere nuove pillole o strumenti per facilitare sempre più aborti, quanto piuttosto politiche che incentivino la formazione di famiglie con mamma, papà e nuovi nati. Ecco perché è necessario educare, soprattutto le nuove generazioni, ad assaporare il gusto alla vita che comporta il rispetto di sé, del proprio corpo, della procreazione responsabile, che non può e non deve intendere l’aborto come metodo anticoncezionale.

 

Come evidenziato da Papa Francesco, il problema della morte non è un problema religioso, bensì umano, pre-religioso, di etica umana, che anche un ateo deve risolvere in coscienza sua. La scienza ci dice che tra la terza e la quarta settimana di gravidanza sono già costituiti tutti gli organi del nuovo essere umano nel grembo della mamma: è una vita umana. È giusto cancellare una vita umana per risolvere un problema, qualsiasi problema? No, non è giusto».

 

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