Francesco Lanciotti
di Walter Luzi
“Finzi Pasca”, un’ora e venti di magie. Il Teatro Ventidio Basso di Ascoli apre i portoni alla nuova stagione teatrale con lo spettacolo teatrale Nuda della Compagnia svizzera. Un successone. Un applauso interminabile ha salutato gli artisti in palcoscenico dopo una performance multidisciplinare che, dal primo all’ultimo minuto, ha saputo, stupire, divertire, emozionare soprattutto. Un po’ circo, un po’ teatro. Teatro della carezza ama definirlo Daniele Finzi Pasca, figlio di fotografi e folgorato nella sua vena creativa da un lungo viaggio in India. Un Oriente, fatto di misterioso misticismo, lontano e affascinante, che riecheggia in molti momenti di questo spettacolo. Finzi Pasca, che alla pura potenza tecnica della performance predilige il suo potere comunicativo, la coinvolgente empatia. E la leggerezza soprattutto. Ecco. Leggerezza. La stessa leggerezza con cui parla di Dio e della morte, del sangue e della solitudine. Ballando e cantando. Insieme.
Fra i protagonisti principali del cast a raccogliere l’ovazione finale, forse lo sanno in pochi, c’è anche un ascolano. Francesco Lanciotti. Nato e cresciuto, nel senso letterale del termine, fra i fuochi e i trampoli della Compagnia dei Folli. Un patrimonio di famiglia, co-fondato dai suoi genitori, Carlo Alberto e Rita Sansoni, nel 1984. Francesco nascerà quattro anni dopo, e diverrà subito abituale mascotte nelle lunghe trasferte in mille città italiane ed europee al seguito della Compagnia, di arte di strada e di immagine, ascolana.
Francesco Lanciotti
«Credo di avere il record dei chilometri percorsi, fra tutti i miei coetanei – confessa sorridente Francesco – perché, fin da piccolissimo mi hanno scorrazzato dovunque con loro. Ho dormito sui pulmini o nei cassoni delle luci prima degli spettacoli. A sei anni ho fatto il mio esordio in uno spettacolo ad Assisi. Solo cinque minuti in scena dove sui miei mini trampoli incarnavo l’anno nuovo che scacciava quello vecchio. Mio padre mi premiò regalandomi una confezione di costruzioni Lego, che probabilmente gli costò più di una busta paga regolare per un artista».
Anche la sorella minore Chiara, di cinque anni più giovane, tutt’ora in forza alla Compagnia dei Folli, ha fatto la sua stessa trafila. «Crescendo poi – continua sempre Francesco – ho fatto di tutto per dare una mano. Dal facchinaggio all’allestimento delle scenografie. Il tecnico del server e il figurante. L’autista dei mezzi e il performer. Esperienze preziose in tutti i campi, un set di abilità che mi hanno molto aiutato, e mi aiutano ancora, nella mia attività. A cominciare dall’abituarsi al contatto con il pubblico, alla pressione che essere sotto gli occhi di tante persone comporta. E’ un’arma a doppio taglio. Può caricarti di adrenalina, o di stress».
Intanto dimostra subito di avere idee chiare sul suo futuro. Le Superiori le fa al liceo delle scienze sociali indirizzo spettacolo. Una scuola sperimentale dove si studiano il cinema e il teatro, dove si respirano arte e cultura insomma. Una fucina di creatività fra le tante spazzate via dalla furia “riformatrice” dell’impareggiabile ministro Gelmini. Quindi Francesco passa alla scuola professionale di Circo di Torino, la prestigiosa “Flic”. Due passi dalla stazione di Porta Nuova. Tre anni di studi e allenamenti intensi. Un percorso di formazione indispensabile per chi, come lui, ha le arti circensi nel proprio dna. Inizia con i tessuti aerei per passare poi, quasi subito, alle cinghie, sempre aeree. La stessa fatica fisica e preparazione atletica di un ginnasta degli anelli, sommandoci la poesia e la grazia espressiva di un ballerino. Non è per tutti.
«Bene o male dove mi appendi sto bene – ci scherza su Francesco – nel senso che me la cavo un po’ con ogni attrezzo che pende dall’alto». Potenza di una sorta di uomo ragno abbinata alla gestualità suggestiva della recitazione. Il tutto appeso, senza rete, a diversi metri da terra. Prima ribalta prestigiosa la Scala di Milano a cui la Flic fornisce gli acrobati aerei per uno spettacolo. Dopo l’uscita da quella scuola, di cui oggi figura fra i docenti, vaga un po’ per l’Europa procacciandosi in proprio degli ingaggi con varie Compagnie. Tira su qualche soldo per autofinanziarsi viaggi e soggiorni improvvisando piccoli spettacoli in strada molto apprezzati dai passanti. Sette anni fa arriva la richiesta della Finzi Pasca. Una delle poche compagnie europee di livello mondiale. Sede a Lugano, in Svizzera, cast internazionale.
«A furia di visti di ingresso – racconta sempre Francesco – viaggiando in tutto il mondo con i loro spettacoli ho già esaurito lo spazio sul passaporto. Mi alleno ogni giorno almeno per un paio d’ore. Preparazione atletica, potenziamento fisico, ma non solo. Bisogna ripulire anche le tecniche, studiare nuove figure. E’ un impegno quotidiano anche creativo, nella ricerca di nuove ispirazioni, le migliori espressioni nella gestualità che servono a trasmettere oltre a messaggi o suggestioni, soprattutto l’interiorità dell’artista».
Francesco da bambino
E oggi sul più prestigioso palcoscenico della sua città. “Nuda” nasce da un romanzo di Daniele Finzi Pasca La storia di due sorelle gemelle. Melissa Vettore e Beatriz Sayad, brasiliane entrambe. La prima nasce già ben vestita. L’aspetta una vita da santa, che non è la sua. La seconda è nuda e sporca, più incline al peccato e alle gioie della vita. Le musiche avvolgenti e le coreografie, in aria, e sul tavolato del proscenio, di Maria Bonzanigo, caratterizzano lo show. Che ci fa tornare tutti bambini. Ed è proprio con gli occhi, sgranati e increduli, propri dei bambini, che si assiste a questo viaggio nel tempo e nell’anima. Ora rapiti dai colori e dalle suggestioni, ora spaventati dalle urla improvvise, ora divertiti dalle gags clownesche, ora sedotti dall’illusionismo che ci appare, sia pure incomprensibile, realtà.
Sempre, inevitabilmente, tutti, come ipnotizzati, a naso in su, dove Francesco Lanciotti, Micol Veglia e Jess Gardolin irridono la legge di gravità danzando leggeri nell’aria. Come nei sogni, come può accadere soltanto nelle fiabe, o abbiamo ascoltato nelle vecchie favole della nonna. Come i grandi armadi polverosi dove giocavamo a nasconderci, e il Pinocchio di legno dai colori sgargianti che è rimasto in noi. E’ questo, soprattutto, che ci riporta tutti alla nostra infanzia, come davanti ad una immensa giostra variopinta che gira lentamente, e da cui non riusciamo più a staccare gli occhi, mentre la musica ci culla.
Ci dimentichiamo persino di applaudire, quando ci vorrebbe proprio, e gli artisti, magari, si aspetterebbero anche, tanto siamo persi in una dimensione onirica collettiva. Tanto temiamo, inconsciamente, di rompere, così facendo, l’incantesimo. E’ la prova migliore che lo spettacolo ha colto nel segno. Alla fine li ritroviamo fuori, tutti i nostri fili invisibili che ci tengono legati. Noi burattini a grandezza naturale. Sul grande palcoscenico della vita dove tutti siamo attori.
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