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Moresco, “castello fermano” in vista del mare

E' UN BORGO d’altura che domina la fertile valle dell’Aso, con una panoramica vista fino alla linea di costa del Mare Adriatico. Era uno dei castelli di Fermo e ha mantenuto intatti i suoi monumenti e un’atmosfera medievale che ammalia il visitatore
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Piazza Castello (foto dal sito del Comune)

 

di Gabriele Vecchioni

 

Il territorio del Piceno è prevalentemente collinare e ogni altura ha un “suo” centro abitato, di origine antica e diversa. I borghi d’altura che affaccia(va)no direttamente sulla linea di costa avevano compiti di controllo e di prima difesa come, per esempio, Torre di Palme; quelli più interni erano deputati al presidio territoriale. Uno di questi era Moresco, uno dei “borghi più belli d’Italia” fin dal 2001, autentico gioiello storico-architettonico del Piceno meridionale; come per altri borghi marchigiani, «subito fuori delle mura è la campagna, o il mare (B. Molajoli, 1953)».

 

L’antico sigillo del Comune di Moresco ricordava la presenza delle tre torri legate alla cinta muraria castellana. La raffigurazione è tuttora utilizzata per il moderno stemma comunale

L’incasato si presenta al visitatore come “sospeso nel tempo”, con le mura castellane e gli edifici restaurati, le pavimentazioni e gli acciottolati ordinati: camminare tra le case, nei suoi «corridoi urbani», fino al Belvedere sulla valle dell’Aso e verso oriente, ha il sapore di un viaggio all’indietro nel tempo.

 

Moresco si distende in posizione strategica su un rilievo che divide la valle dell’Aso da quella dell’Et  e, all’incrocio delle strade per Fermo, la vicina Monterubbiano e Montefiore dell’Aso. Il borgo ha origini sicuramente molto antiche e la planimetria dell’abitato, dalla insolita pianta triangolare, fa pensare a un’origine picena. In epoca romana c’erano ville (per l’otium) e fattorie per la produzione agricola (i prodotti del Piceno erano molto apprezzati a Roma); dopo l’invasione longobarda si svilupparono le curtes (che si evolveranno nei centri abitati) e i centri fortificati, di origine monastica o feudale.

 

Leggiamo la sintesi di Luigi Rossi (1996): «Moresco, che ha conservato intatte nel tempo le caratteristiche di castello fermano, può essere preso ad esempio del modello di organizzazione territoriale prevalente nelle Marche meridionali a partire del Medioevo. Fino a tutto il sec. XVIII, infatti, la città di Fermo possedeva una cinquantina di questi castelli, che sono insediamenti fortificati, i cui abitanti coltivano, presidiano e amministrano, per conto della città, un territorio ben delimitato che è detto contado».

 

Vista “a volo d’uccello” del borgo, in vista del mare. In primo piano, la mole possente della torre eptagonale (foto A. Mercuri, dal sito del Comune)

IL NOME

 

Sull’origine del toponimo c’è discordanza. L’ipotesi più suggestiva è quella che lo fa derivare dai saraceni (i “mori” che nell’Alto Medioevo infestavano le coste adriatiche) che avrebbero costruito una piazzaforte proprio nel luogo dove sorge la Moresco attuale; una ipotesi – contrapposta alla precedente – vuole che il Castrum Morisci sia stato edificato (un po’ distante dalla costa, in verità – 10 km circa) proprio per contrapporsi alle scorrerie. Alcuni lo fanno derivare da un proprietario terriero, tale Morico (non lontano c’è Monsampietro Morico), altri dalla voce preromana “morro” che indica un rilievo roccioso (morrécine in dialetto locale), con il suffisso –ésco, di origine germanica (longobarda). L’ultima tesi vede il nome Moresco come un fitonimo, associando il nome al “moro”, cioè al gelso, sicuramente presente in zona.

 

Il territorio di Moresco e la Val d’Aso, da una Carta topografica del 1888

LA STORIA

 

I primi documenti relativi al castello di Moresco portano la data del 1083, epoca classica dell’incastellamento, qui e in altre zone dell’Italia centrale.

Una breve digressione sul fenomeno conosciuto come “incastellamento”: si sviluppa tra il sec. XII e il sec. XIII e consiste nell’abbandono – a volte, forzato – delle case isolate in campagna e degli antichi insediamenti rurali, lasciati per trasferirsi nei “castelli” sui colli, in altura, per meglio difendersi dai pirati (in zona c’era il pericolo delle scorrerie dei saraceni e dei pirati narentani, provenienti dalle isole dàlmate) e dal frequente passaggio delle truppe dei vari capitani di ventura. Un altro motivo era di ordine igienico, quello di allontanarsi dalle malsane zone di fondovalle (spesso i fiumi esondavano, ristagnando nelle golene) verso le più ventilate zone collinari.

 

È ancora Luigi Rossi che chiarisce che «La residenza del signore o dell’abate e la più importante delle corti veniva spesso recintata o meglio protetta con steccati, fossati o mura; si avevano allora i castra o castelli». Memoria di questo rimane nei toponimi.

 

Ma torniamo alle vicende storiche del borgo. Nel sec. XII, il reggente del castello è il conte Tebaldo («Tebaldus comes de Morisco»); nel sec. XIII Moresco diventa castello di Fermo. Si “libera” ad opera di Federico II di Svevia prima, e poi del figlio Manfredi. Nel sec. XIII viene venduto dai proprietari al doge veneziano Lorenzo Tiepolo che, all’epoca, era anche podestà di Fermo. Moresco resta stabilmente castello fermano (il riconoscimento ufficiale di tale status è del 1356 e si deve al potente cardinale Albornoz, molto attivo in zona e nelle terre dell’Ascolano) fino alla seconda metà dell’Ottocento (unità d’Italia). Diventa poi comune autonomo, ma perde l’autonomia nel 1868 quando viene aggregato a Monterubbiano; un decreto del re d’Italia lo (ri)trasforma in comune indipendente nel 1910.

 

Particolare della pala d’altare dedicata a San Francesco Borgia nella parrocchiale dei Santi Lorenzo e Niccolò

IL BORGO

 

Il castello di Moresco ha, come elemento di riferimento principale, il “torrione” (alto 25 m, sec. XII), costruito nel punto di massima elevazione del rilievo, così da sfruttare ancora meglio la sua altezza; un’altra torre (sec. XIV), ora conosciuta come “dell’orologio”, sorge sul lato meridionale delle mura, dove si apriva la porta d’accesso alla struttura; della terza torre non resta traccia, nonostante essa sia presente nello scudo comunale. La moderna storiografia identifica la torre in laterizio di Moresco come una torre civica, alla pari di altre presenti in altri castelli di Fermo (come quelle della vicina Lapedona o di Monteleone).

 

La porta d’ingresso al castello. A sinistra la loggia cinquecentesca, a destra l’arco ogivale visto dall’interno (foto da “I luoghi del silenzio”)

La caratteristica che distingue la torre moreschina dalle altre è, in primis, l’originale pianta eptagonale – caso forse unico in Europa – per un perimetro complessivo di circa 30 m. La parte alta del manufatto è stata modificata dopo il crollo della cuspide, completandola nel 1918 con una falsa merlatura(alla ghibellina (a coda di rondine). Il manufatto è esageratamente alto per essere una semplice “torre di avvistamento” e non abbastanza grande per ospitare tutta la popolazione del borgo in caso di necessità difensiva; lo scopo (riuscito!) di questa costruzione era probabilmente quello di differenziarsi dalle altre. Al giorno d’oggi, la torre è stata utilizzata per manifestazioni culturali e mostre fotografiche, fino alla “pausa” causata dalla pandemia.

 

Oltre alla torre, Moresco poteva (e può ancora) vantare una cinta muraria scarpata, una porta ogivale d’ingresso, una possente torre merlata rompitratta; insomma, la costruzione del borgo è stata preceduta da un attento lavoro di progettazione (e di reperimento fondi per realizzarlo). All’interno delle mura urbiche, il paese ha mantenuto la struttura e l’atmosfera medievale, con le case di mattoni che affacciano sulle strette vie che convergono nella piazza principale (Piazza Castello) dove si trova e il palazzo comunale. Grande è la panoramicità delle balconate, aperte sulla sottostante valle dell’Aso, fino alla linea della costa adriatica.

 

Sulla piazza principale, dalla planimetria triangolare tipicamente medievale, prospetta un portico su pilastri a base esagonale che altro non è che quello che rimane della pieve di Santa Maria in Castro, la chiesa a una navata demolita nel 1806; il materiale della demolizione è stato utilizzato per la costruzione dell’edificio dedicato ai santi protettori del borgo, Lorenzo e Nicolò. Sul muro di fondo del portico, un affresco (Madonna col Bambino contornata dai misteri del Rosario) del pittore rinascimentale Vincenzo Pagani, nato nella vicina Monterubbiano.

 

La chiesetta-santuario della Madonna della Salute, dalla caratteristica cupola bugnata (foto dal sito del Comune)

La pieve di Santa Maria fu demolita per ragioni igieniche: un’epidemia di «febbri perniciose» fu attribuita alle esalazioni dei cadaveri sepolti sotto al pavimento della chiesa. La “nuova“ chiesa fu edificata extra moenia, all’ingresso del paese (lato monte) ed ebbe in dotazione alcuni arredi del precedente edificio sacro, l’altare barocco e tele dei secc. XVII e XVIII.

 

Sul lato meridionale delle mura castellane sono appoggiate le logge cinquecentesche che introducono all’arco ogivale dell’antica porta d’ingresso al castello. La motivazione del posizionamento dell’unica porta d’accesso su questo lato è legata, probabilmente, al fatto che dà sulla Val d’Aso e sulle terre di competenza del comune di Moresco. La porta si apre sotto la cosiddetta “torre dell’orologio” che ancora scandisce il passare del tempo con le sue campane.

 

Nelle immediate vicinanze del borgo, a settentrione, sotto la strada che sale dalla costa adriatica, c’è la chiesetta-santuario della Madonna della Salute, dalla caratteristica cupola bugnata, di fattura moderna. Edifici simili erano costruiti “fuori porta” per permettere a malati contagiosi di usufruire del beneficio spirituale senza entrare tra le case; non è questo il caso: nella chiesetta è conservata, fin dal sec. XI, l’immagine della Vergine proveniente da Costantinopoli, dove sarebbe stata “salvata” dalla furia iconoclasta. I fedeli venerano l’effige alla quale si rivolgono per la salute del corpo e dell’anima.

 

Il profilo inconfondibile di Moresco in una foto d’epoca (foto Stefani, Milano, 1953)

All’ingresso del paese l’abside della parrocchiale dedicata ai Santi Lorenzo e Niccolò e il “torrione” (foto da “I luoghi del silenzio”)


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