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Un viaggio sentimentale per conoscere i nostri boschi

IN QUESTA prima parte viene ripercorsa brevemente la loro storia, ribadendo quello che aveva affermato Giacomo Leopardi (un poeta, non un botanico!) già nei primi decenni dell’Ottocento: «Una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è […] è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura»
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Rimboschimento di conifere sul versante settentrionale della Montagna dei Fiori (foto G. Vecchioni)

 

di Gabriele Vecchioni

 

Questo è il primo di due articoli relativi al nostro territorio; un itinerario sentimentale (nel senso etimologico del termine, cioè “sentito”, “partecipato”) tra i nostri boschi. Saranno analizzate (brevemente) le caratteristiche principali del patrimonio boschivo, soffermandoci, nel secondo appuntamento, sulle associazioni più facilmente rinvenibili nelle vicinanze della città picena.

 

PREMESSA

 

Oggi, l’Italia è, con 11,4 mln di ettari e il 38% della sua superficie, il secondo tra i grandi paesi europei per copertura forestale del territorio, dopo la Spagna. In realtà, altri Paesi hanno coperture maggiori (per es., la Svezia e la Finlandia, con il 70% del loro territorio) ma con una popolazione assai ridotta. Premesso che più di un terzo dei boschi italiani sono compresi all’interno di aree naturalistiche protette, l’aumento della superficie boscata è dovuto alle politiche di (ri)forestazione messe in atto negli ultimi decenni, sotto lo stimolo della Commissione europea (il Paese è passato da una copertura del 20% – dopo il periodo della “cementificazione” che si è prolungato fino agli anni ‘90 del Novecento – a quella attuale) e allo spopolamento delle aree interne che ha favorito l’espandersi della superficie coperta dal bosco.

 

Cedro in un rimboschimento sul versante settentrionale della Montagna dei Fiori (foto N. Cesari)

Il rapporto tra l’uomo e il bosco (e quindi con gli alberi) nel corso del tempo è un legame ancestrale, in merito al quale abbiamo già scritto diffusamente (leggi qui l’articolo).

Quando si parla di boschi, però, occorre avere le idee chiare. Ci aiuta questo breve scritto del botanico Kevin Cianfaglione (2011): «In Italia non è rimasto quasi nulla d’intatto, anzi il territorio se non è urbanizzato, è caratterizzato quasi total­mente da formazioni secondarie. Tutti i nostri boschi sono stati in qualche modo mano­messi nel tempo, in maniera più o meno evidente, anche quelli ritenuti meglio conservati (fustaie, boschi con alberi vetusti e con legno morto, ecc.) […] Lentamente [molto lentamente, NdA], forse un giorno avremo altri boschi con caratteristiche di quelli primari, se la natura verrà lasciata libera di com­piere il suo corso». Lo stesso autore ricorda che «Spesso l’opinione pubblica non è sufficientemente consapevole e informata sulle fragilità del nostro territorio, sullo stato dell’ambiente, sui processi dinamici naturali; infatti spesso molti luoghi vengono definiti impropriamente come “incontaminati”, “selvaggi” o “imma­colati”, anche se invece l’ambiente naturale è alterato rispetto alle condizioni climatogene o a quelle originarie».

 

Bosco misto appenninico. Orniello su masso lungo il sentiero per l’Eremo di San Marco (foto G. Vecchioni)

Un’altra doverosa citazione. Giacomo Leopardi, già nel 1827, aveva scritto (nelle Operette morali), che «Una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura».

 

Nel giornale on line della Conalpa, in Il bosco e i paesaggi culturali (2018) è riassunta la successione degli eventi: «Da noi, i primi boschi a scomparire sono stati quelli planiziali e quelli legati all’acqua, seguiti da quelli collinari; però anche quelli di montagna sono stati eliminati o seriamente compromessi. Il paesaggio secondario così ottenuto, successivamente è andato ancora modificandosi nel tempo; fra i tanti casi si possono citare gli alberi camporili e monumentali che in Italia centrale stanno scomparendo nonostante le leggi [per la loro protezione, NdA] esistenti. Altrettanto grave è la scomparsa di molte varietà orto-frutticole antiche che andrebbero invece salvaguardate (anche se in fondo, alloctone), non solo per il vano concetto di storia o di paesaggio, ma soprattutto per evitare una pericolosa erosione genetica, nonché una triste perdita di sapori, tutte conseguenze dell’industrializzazione dell’agricoltura e delle moderne pratiche intensive».

 

In primo piano: ripopolamento spontaneo a pino nero a Colle San Giacomo. Sullo sfondo: le faggete della Montagna dei Fiori (foto G. Vecchioni)

I ”NOSTRI” BOSCHI

 

Del paesaggio vegetale del nostro territorio abbiamo già avuto modo di occuparci più volte nel corso degli articoli ospitati su queste pagine e pertanto non torneremo su questo pur interessante argomento.

Il comprensorio di Ascoli Piceno è un’area privilegiata dal punto di vista naturalistico, per la vicinanza ad aree protette e con un’elevata biodiversità – il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e il Parco Gran Sasso-Monti della Laga  (con i Monti Gemelli) e, nella fascia costiera, l’area umida della Sentina – e a zone verdi, ricche di boschi, ben visibili dal centro urbano: insieme alle vaste aree collinari che circondano la città, costituiscono un attraente collage di ambienti, un paesaggio importante per l’identità territoriale e culturale. Oltre a diverse aree rimboschite (specialmente sulla Montagna dei Fiori, leggi qui l’articolo relativo), nel territorio di alture che circonda la città si trovano estese formazioni boschive di caducifoglie; sulla Montagna dei Fiori e sul Monte dell’Ascensione (i due rilievi più importanti della zona) si incontrano, infatti, boschi di questo tipo: querceti, castagneti, boschi misti e faggete.

 

La parola “bòsco” (dal latino medievale buscus) indica un’associazione arborea estesa almeno mezzo ettaro, in pratica… un rettangolo di 50 m per 100 m (per la legge italiana, però, per costituire un “bosco” basta un raggruppamento di alberi con una superficie di 2.000 mq). Abbiamo già visto che «Come tutte le associazioni vegetali, il bosco è un insieme dinamico, in lenta trasformazione spontanea: il millenario intervento antropico sul territorio, legato alle attività agricole, forestali e pastorali ha prodotto, nel tempo, profondi cambiamenti: foreste e praterie primarie sono state modificate dall’azione dell’uomo, nella composizione e nella struttura. Basti pensare alla presenza di estesi castagneti, lo sviluppo dei quali è stato favorito per motivi economici fin dall’epoca romana, o di boschi artificiali – i rimboschimenti – creati per la protezione del suolo dal rischio idrogeologico (nel vicino Abruzzo, spesso, il toponimo che indica un rimboschimento è “Difesa”). A lungo andare (molto lungo!), questi boschi tendono ad assumere un aspetto più “naturale”, quando la compagine ordinata del rimboschimento viene rotta e altre essenze cominciano ad entrare tra le resinose».

 

Elementi del sottobosco. Da sinistra: frutti rossi di rosa canina, pungitopo, agrifoglio (foto C. Ricci)

IL BOSCO NATURALE

 

Anche in questo caso, abbiamo già trattato delle caratteristiche che deve avere un bosco di questo tipo, il cosiddetto “bosco naturale”, assai difficile da incontrare per le ragioni esposte prima. Ricordiamo brevemente le sue caratteristiche: il bosco deve essere disetaneo, cioè devono esserci alberi di differente età; deve avere una struttura organizzata in – nel senso di “composta da…” – quattro strati di vegetazione (dal basso, muschi, erbe, arbusti e alberi); sul terreno, la lettiéra di foglie e legno “morto”. Nel bosco, poi, incontreremo muschi, funghi e licheni e una componente faunistica (coleotteri, molluschi, insetti e uccelli).

 

IL PAESAGGIO VEGETALE

 

Lo studio del paesaggio vegetale costituisce la base sulla quale si fonda ogni progetto di gestione del territorio; ogni analisi del paesaggio parte, invariabilmente, dallo studio del patrimonio vegetale (Charles Darwin ha scritto che «L’esploratore deve essere prima di tutto un botanico poiché le piante costituiscono l’ornamento del paesaggio»).

A questo punto, il focus è sul nostro territorio, grazie agli stimoli offerti dalla visione stessa del paesaggio. Tralasciando la complessa analisi della vegetazione potenziale del territorio e il confronto con quella reale, andremo a considerare solamente i boschi (spesso percepiti come “naturali”) percorsi dall’escursionista che risale i sentieri delle nostre montagne.

Nelle aree nominate in precedenza è previsto, dal punto di vista fitogeografico, il piano di

vegetazione dell’orno-ostrieto (bosco misto appenninico di càrpino nero e orniello), condiviso dal querceto a roverella: più in alto, il piano montano con la faggeta. Tra i due, compenetra il castagneto, anche in località vicine alla città. In generale, i boschi di questo tipo sono situati nelle zone a clima temperato, con una stagione fredda abbastanza lunga e

temperature estive non eccessivamente alte. Gli alberi di questi boschi sono decidui, cioè perdono le foglie durante la stagione invernale, per meglio resistere alle basse temperature; il sottobosco è costituito da piante arbustive ed erbacee.

 

(fine prima parte – segue)

 

L’aspetto “ordinato” di un ceduo di faggio (foto A. Mozzoni)

 

Sentiero nella faggeta (foto C. Ricci)

 

Querceto rado al Sacrario di Colle San Marco (foto G. Vecchioni)

 

Bioindicatori nel sottobosco (foto C. Ricci e G. Vecchioni)

 

Bosco appenninico d’autunno (foto G. Vecchioni)


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