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I boschi di Ascoli: dalla città alla montagna

IN QUESTA seconda e conclusiva puntata saranno analizzati, un po’ più da vicino, i boschi del nostro territorio, con esempi facilmente raggiungibili con brevi escursioni, in luoghi vicini alla città. È un invito a frequentare questi ambienti perché, come scrisse Bernardo di Chiaravalle: «Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro di dirà»
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Tassi arbustivi in un ceduo di faggio

 

di Gabriele Vecchioni

 

(dove non specificato, le foto sono dell’autore)

 

 

Al paesaggio vegetale del nostro territorio è stato dedicato, tempo fa, un articolo (leggilo qui) nel quale veniva specificato che «nella valle del Tronto la varietà del paesaggio vegetale rispetta la successione naturale dei piani altitudinali: è possibile leggerne lo sviluppo dal piano costiero fino a quello montano in maniera abbastanza lineare». Si ribadiva, poi, che nelle zone alto-collinari e montane il forte, continuo esodo sofferto dai centri abitati e dalle case sparse ha lasciato all’abbandono ampi spazi che la natura sta (ri)colonizzando: una situazione interessante dal punto di vista naturalistico che non è possibile, però, analizzare in questa sede.

 

L’agrifoglio vegeta nel sottobosco della faggeta (foto G. Marini)

 

VEGETAZIONE BOSCHIVA

 

Nella zona della bassa vallata, fortemente antropizzata, le aree coperte dal bosco sono ridotte; diventano abbastanza estese nel corso medio-alto, dove l’intervento umano è stato meno pesante. L’area che più ci interessa (argomento di questo articolo) è quella compresa tra la città picena e le quote più alte della Montagna dei Fiori, facilmente raggiungibili con diversi sentieri escursionistici.

 

BOSCHI DI SCLEROFILLE SEMPREVERDI

 

Sono le leccete, bosco mediterraneo per eccellenza, ormai quasi scomparse per essersi trovate nel posto “sbagliato”, in zone dove l’uomo, per ragioni legate soprattutto al clima favorevole agli insediamenti, è intervenuto più pesantemente sull’ambiente naturale. Il leccio è una longeva quercia sempreverde a crescita lenta, spesso surrogata da specie caducifoglie (altre querce, come la roverella). Nel nostro territorio, il leccio si incontra spesso isolato; ce ne sono diversi sul Pianoro di Colle San Marco, poderosa balconata di travertino a sud della città di Ascoli, dove la lecceta si trova a quote elevate del castagneto, per il fenomeno dell’inversione termica. Un’altra lecceta abbastanza estesa si trova a Ponte d’Arli, frazione di Acquasanta Terme, nella media valle del Tronto.

 

I sori (sulla pagina inferiore delle felci) contengono gli sporangi e le cellule riproduttive

 

BOSCHI DI CADUCIFOGLIE

 

I diversi tipi di questo bosco appartengono, per la fitosociologia (la scienza che studia le associazioni vegetali in rapporto con l’ambiente), a differenti unità.

 

Prima di trattare brevemente dei diversi tipi di bosco, qualche parola sul loro ciclo vitale. Gran parte delle formazioni arboree che coprono il nostro territorio sono caducifoglie, cioè perdono le foglie nella “brutta” stagione; in precedenti articoli abbiamo visto le varie fasi stagionali del bosco caducifoglie. Qui vediamo solo alcune significative curiosità etimologiche, relative alle voci che indicano le stagioni. Primavera deriva dal latino primo vere, all’inizio dell’estate – ver viene dal sanscrito vas o var, splendere; la parola estate proviene dal latino aestas – calore bruciante – da aestus, calore. Il termine autunno indica una stagione qualificata dai più come “triste” perché associata alla caduta delle foglie e al vicino riposo invernale; deriva però dal latino autumnus, da auctus, participio passato del verbo augère (aumentare, arricchire): l’autunno è la stagione della raccolta dei frutti e dei semi, un evento accompagnato da vistosi cambiamenti dell’aspetto fisico dei vegetali. Infine l’inverno: dal latino hibernum (tempus), tempo del freddo hiems.

 

Rami e foglie di faggio, d’estate e in autunno

 

Boschi di querce (i querceti in generale) sono presenti nella fascia collinare; nelle Marche, le querce sono specie protette ma è difficile trovare macchie estese, a causa del taglio subìto in passato per creare spazio alle colture. Per inciso, il riconoscimento delle diverse specie di querce non è sempre agevole, per l’alta frequenza di incroci interspecifici fecondi. Il cosiddetto bosco misto appenninico è un bosco misto di latifoglie; tecnicamente, è l’orno-ostrieto, dal nome dei suoi due componenti più significativi, l’orniello e il càrpino. Quest’ultima essenza ha dato il nome a diverse località del nostro territorio: una per tutte, Carpineto, sul versante settentrionale della Montagna dei Fiori. ll càrpino occupa la stessa zona del querceto: il càrpino (elemento mesofilo, con esigenze termiche e idriche “medie”) tende a occupare le quote meno elevate e più fresche del rilievo; mentre la quercia (elemento xerico, meno esigente dal punto di vista idrico) si trova nella parte superiore.

 

«Il bosco misto occupava la quasi totalità della bassa valle del Tronto, un dato suffragato da notizie storiche; attualmente, è molto ridotto per il pesante intervento dell’uomo vòlto a conquistare terreni per l’agricoltura e per le infrastrutture».

 

Caleidoscopio di colori per le foglie d’acero (foto C. Ricci)

 

I castagneti sono boschi “artificiali”, favoriti, nel loro sviluppo, dall’azione antropica; la loro estensione (nella Penisola) è tale che il termine tecnico Castanetum indica l’intera zona fitoclimatica. Il bosco di castagno forma una fascia discontinua che si posiziona tra i querceti e i boschi di faggio. Nel bacino del Tronto si trovano a partire dai 600 metri di altitudine (zona alto-collinare a sud di Ascoli Piceno) fino ai 1000 m del Monte dell’Ascensione; ad altitudini maggiori sui Monti della Laga e i Sibillini. Un castagneto “storico” è in località Piagge, sul versante settentrionale della Montagna dei Fiori; altri sono sulle pendici dell’Ascensione. Bellissimi ed estesi quelli dell’Acquasantano e dell’Arquatano.

 

I rimboschimenti sono soprattutto boschi di conifere, presenti nella media e nell’alta valle del Tronto, vicino alla città di Ascoli Piceno. Questo tipo di bosco artificiale è realizzato allo scopo di proteggere aree acclivi denudate o a rischio di erosione idrica e smottamento; caratterizza, dal punto di vista paesaggistico, la fascia altitudinale attorno ai 1000 metri e presenta aspetti distintivi che lo rendono facilmente riconoscibile.

 

Piante del sottobosco (a sinistra ginepro comune, a destra ginepro coccolone)

 

L’albero più usato per i rimboschimenti è il pino nero, una specie aghifoglie frugale che resiste alle condizioni climatiche rigide della montagna, vegeta su terreni degradati e/o poveri di nutrienti e ha una crescita relativamente rapida; è una conifera dall’aspetto compatto, con le foglie aghiformi di colore scuro, particolarità da cui deriva il nome; anche la corteccia del fusto, di colore grigio, è scura. Il rinnovo delle foglie provoca la formazione di una lettiera indecomposta che causa l’acidificazione del terreno e non permette la crescita di un sottobosco folto: la rarefazione dello stesso si nota percorrendo i sentieri che attraversano le riforestazioni.

 

Esemplare vetusto di castagno

Vegetazione d’alta quota. Nella valle del Tronto troviamo rilievi abbastanza elevati (per l’Appennino) con estesi boschi che “chiudono” la zonazione altitudinale della vegetazione forestale. È il Fagetum, la zona della faggeta, bosco monospecifico che arriva fin quasi i 2000 metri slm; bellissime le faggete dei Monti della Laga e le “macchie” dei Sibillini; anche sulla Montagna dei Fiori il faggio vegeta in maniera ottimale.

 

Per concludere il discorso sui boschi, breve focus su alcune bellissime piante che è possibile incontrare all’interno dei boschi della nostra montagna.  

 

La prima è il tasso, una specie relitta (in senso botanico: cioè, vive in un’area nonostante siano mutate le condizioni climatiche ad essa più congeniali) della laurisilva del Cenozoico (lungo periodo compreso tre 65 e 1,8 milioni di anni fa) e può arrivare fino a 15 metri di altezza. È uno dei pochi alberi che riescono a vivere all’ombra di altre specie forestali; ha corteccia, foglie e semi velenosi. Questa tossicità ne ha fatto un simbolo sfavorevole (era soprannominato l’ “albero della morte”): nell’antica Roma ci si incoronava con rami di tasso nei giorni di lutto.

 

Amento (infiorescenza a grappolo) pendulo di càrpino nero

 

La seconda specie è l’agrifoglio, anch’esso specie relitta della foresta sempreverde del Terziario, può arrivare a 20 metri di altezza. È una pianta dioica (cioè, con i sessi sono separati, presenti su esemplari diversi), molto “decorativa” per via dei frutti carnosi di colore rosso acceso che contrastano con le foglie spinose di colore verde scuro. I frutti contengono glucosidi tossici per l’uomo ma graditi agli uccelli che li utilizzano nella stagione fredda. Questa pianta è, oggi, un simbolo natalizio ma era usata già dagli Etruschi per i loro riti sacrificali; fino al Rinascimento, le fronde pungenti del l’agrifoglio erano usate per difendere la carne salata dai topi (era conosciuta come pungitopo maggiore, per distinguerla dal Ruscus, il classico pungitopo dei nostri boschi).

 

I rami di una quercia ombreggiano un sentiero della Montagna dei Fiori. In basso, i frutti (le ghiande) e le foglie in abito autunnale

 

Infine, l’abete bianco, splendida conifera che sulla dirimpettaia Montagna di Campli era presente fino ai primi del Novecento (qualche esemplare c’è anche sotto al Pianoro di San Marco (loc. Piagge): lo sfruttamento di questa essenza – dal punto di vista botanico, un relitto glaciale – era regolato dagli Statuti comunali della città abruzzese.

 

Le formazioni erbacee che si sono sviluppate sopra il limite dei boschi sono i pascoli d’altitudine. Sono di origine primaria quelli sopra il limite altimetrico del bosco; sono pascoli secondari se “creati” dall’uomo con il disboscamento, per favorire il pascolo ovino. I prati e le radure forestali, poi, sono molto interessanti per le fioriture policrome: la Montagna dei Fiori deve il suo nome proprio alle magnifiche fioriture primaverili.

 

L’aspetto ordinato di un rimboschimento a pino nero e, in basso, il deposito di pigne cadute e di foglie secche aghiformi (spiegazione nel testo)

 

Piante del bosco. In alto, la fusaggine (berretta da prete); in basso, l’azzeruolo

 

Un viaggio sentimentale per conoscere i nostri boschi

 


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