di Maria Nerina Galiè
«Sul tema del salario minimo il Governo Meloni ha voluto recitare la parte del leone contro i più deboli. La proposta del Partito Democratico, non a caso, nasce da una valutazione semplice quanto drammatica: ci sono tre milioni di lavoratrici e lavoratori poveri in Italia».
Argomento che in questi giorni sta scaldando il Parlamento, con l’onorevole piceno Augusto Curti in prima linea per sostenere la proposta di legge avanzata dal partito che rappresenta.
Onorevole, quali sono i lavoratori più svantaggiati ora?
«Nelle regioni del Sud Italia, il 25% di loro percepisce meno di 9 euro all’ora, soglia che rappresenta il riferimento da noi indicato nella proposta di legge e che vogliamo estendere a tutte le tipologie di lavoro, anche alle collaborazioni».
Che aria tira in Parlamento, sul salario minimo? Chi non vuole, politicamente, il salario minimo e perché?
«Sono emerse con forza e con chiarezza – risponde l’ex sindaco di Force – due idee differenti di Paese. Da una parte c’è chi, come noi, si fa carico delle angosce di oltre 3 milioni di cittadini e delle loro famiglie. Dall’altra c’è una destra che, al contrario, ha l’abitudine di considerare i fragili come un semplice numero da normalizzare.
Ed è un bene che questa nostra contrapposizione, rispetto a chi cancella quotidianamente diritti e tutele, a meno che non si tratti di condonare le evasioni dei più ricchi, sia emersa con estrema chiarezza.
Non mi stupisce affatto la contrarietà espressa sul tema da parte di chi, peraltro, non riesce a interpretare la nostra proposta su un piano dialettico, sinergico e di convergenza democratica.
Quando una maggioranza è infatti abituata a governare in maniera monocratica, a colpi di fiducia, oltre a sbagliare di frequente tende a non riconoscere il valore di un percorso condiviso.
Di conseguenza abbiamo assistito a una vera e propria battaglia ideologica che, in maniera molto superficiale, la destra ha tentato inutilmente di allargare prima ai sindacati, poi a Confindustria ed infine al variegato mondo dell’impresa».
Con quali effetti?
«E’ stato un tentativo vano perché tutti i soggetti coinvolti, pur portatori di visioni differenti, stanno consolidando l’idea che il salario minimo sia un primo importante step per una revisione condivisa delle politiche sul lavoro.
Si è tirata in ballo addirittura l’Unione Sovietica, per poi scoprire che il salario minimo è invece uno dei cardini delle principali economie europee.
In Germania, ad esempio, è stato introdotto nel 2015 contribuendo alla stabilizzazione dell’occupazione, aumentando benessere e propensione alla spesa di moltissimi lavoratori e favorendo la riallocazione delle risorse verso le imprese maggiormente produttive».
La maggioranza ha ritirato l’emendamento soppressivo della proposta del Pd, riferisce Curti che commenta: «Un atto di civiltà politica che tuttavia non ritengo sufficiente.
Attendiamo i nostri colleghi in Parlamento, infatti, per lavorare su un testo di legge che restituisca dignità costituzionale al lavoro e ci avvicini in maniera strutturale all’Europa».
Onorevole, ha avuto critiche o attacchi diretti, sul territorio marchigiano e piceno dove vive?
«Solo apprezzamenti. Ho la fortuna di vivere in un contesto virtuoso in cui il lavoro, inteso come sinergia tra impresa e risorsa umana, rappresenta un valore imprescindibile.
Il riconoscimento della dignità del lavoro, anche attraverso la giusta retribuzione, è infatti un cardine della nostra economia regionale.
Nel Piceno, e più in generale nelle Marche, impresa e lavoro si collocano nella medesima rappresentazione etica.
In Italia, per fortuna, esistono molto territori che condividono questa base culturale.
Tuttavia non è così ovunque.
E quel dato, gli oltre 3 milioni di lavoratori poveri, lo attesta in maniera inequivocabile.
Io rifiuto l’idea che l’Italia stia diventando un Paese dove gli ultimi sono ridotti ad appendici, di cui la destra non vede l’ora di liberarsi».
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