di Federico Ameli
È il 27 luglio 1959 quando un giovane Angelo De Angelis, promettente cavaliere romano appena 19enne, arriva per la prima volta ad Ascoli.
«All’epoca non sapevo neppure che esistesse la Quintana. Vivevo a Roma e mi stavo preparando per le Olimpiadi nel salto a ostacoli, completo e dressage. Quel giorno venne a trovarmi da Ascoli una delegazione della Piazzarola, capitanata dall’avvocato Travaglini.
Li portai nella mia scuderia, dove c’era una decina di cavalli. Fosse stato per loro, avrebbero puntato su un cavallo grigio e molto grande, che tuttavia non era adatto alla Quintana. Andai a prendere un altro cavallo, Soraya, con cui feci una sorta di otto immaginario in un prato. Travaglini disse che andava bene: partimmo immediatamente, nonostante le resistenze di mio padre.
Arrivati ad Ascoli, trovai una cinquantina di persone ad applaudirmi, così come la mattina seguente andando allo Squarcia per le prove».
Da allora, quel giovanissimo cavaliere romano, portato alla Piazzarola con un pizzico di coraggio e spregiudicatezza, ne ha fatta di strada. L’inizio, peraltro, è incoraggiante: un ottimo secondo posto con la sua Soraya, che solo un anno più tardi lo porterà alla vittoria, dietro a Marcello Formica – «un signore e un amico» – anche per via di un bersaglio, il secondo, che non voleva proprio saperne di sfilarsi dalla lancia di De Angelis. «Mi fermai, sfilai il cartellone e ripartii».
LE ORIGINI – Verrebbe da chiedersi perché, alla Piazzarola, scelsero di puntare su un giovane allora sconosciuto ad Ascoli. La risposta, in realtà, è piuttosto semplice e affonda le sue radici nella prestigiosa tradizione equestre romana. «La mia è una famiglia di agricoltori e allevatori di cavalli – ricorda Angelo – giunta con mio figlio Francesco alla quinta generazione.
Il mio bisnonno praticava la caccia alla volpe come tecnico dei percorsi. Mio nonno, nel 1895, ha iniziato a montare con Federico Caprilli, colui che ha insegnato al mondo intero come stare in sella.
Ho iniziato a 6 anni a montare in campagna, con Costante d’Inzeo. Provengo da una scuola, quella della Farnesina, che all’epoca era la culla dell’equitazione romana e che ho cercato poi di riproporre anche qui ad Ascoli».
Messo da parte il sogno olimpico, prima ancora di diventare istruttore, giudice nazionale di equitazione e maestro di intere generazioni di cavalieri ascolani, Angelo De Angelis si è ovviamente cimentato in prima persona con lo Squarcia e la tradizione quintanara. Tre successi consecutivi nel 1960, 1961 e 1962, con tanto di record della pista con 56 secondi netti. Altri tempi, in tutti i sensi.
UNA QUINTANA “TECNICA” – In fondo, chi l’ha vissuta in prima persona fin dalle primissime edizioni sa bene quanto la Giostra sia cambiata nel corso degli anni. «All’epoca la pista era di 720 metri, per la precisione 710 al centro della pista – ricorda De Angelis – oggi invece è di 677 metri.
Ricordo benissimo le difficoltà che accusai durante la mia prima volta allo Squarcia, legate sia al peso della lancia che al tracciato. Il centro all’epoca era quadrato e, almeno le prime volte, tendevo ad andare sull’ottanta, verso destra. Ben presto mi resi conto che, impugnando la lancia, per paura che mi sfuggisse stringevo troppo il gomito. Risolto questo inconveniente non ebbi problemi».
Una pista a cui De Angelis, vittorie a parte, è stato sempre particolarmente legato, tanto da mantenerne intatto il tracciato dal 1972 al 1993, oltre un ventennio in cui svolse la funzione di direttore di campo della Quintana dopo il ritiro ufficiale dalle corse nel 1971. Eppure, come tutte le storie, anche quella tra Angelo e la Quintana ha conosciuto un inizio e una fine, che con tutta probabilità avrebbe meritato di essere migliore di così.
«Lasciai il mio ruolo dopo aver ricevuto molte pressioni per modificare la pista – racconta De Angelis – scelsi di andarmene perché, per me, sarebbe stata la fine dello spettacolo e della tecnica. Dal 1994 non ho più messo piede allo Squarcia, tornando poi al campo solo 6 o 7 anni fa: non riuscivo a vedere i cavalli soffrire».
Stando a quanto sostenuto da De Angelis, infatti, l’attuale tracciato dello Squarcia mal si sposerebbe con le caratteristiche dei cavalli coinvolti, i purosangue, abituati a correre in linea e poco avvezzi alle curve che da vent’anni a questa parte caratterizzano la pista del Campo dei Giochi.
«Da direttore di campo ho cercato di proseguire nella tradizione di un tracciato tecnico, in cui si galoppava in maniera distesa: si notava la falcata del cavallo che si esprimeva al massimo e non certo il galoppo contratto di oggi. A fare la differenza, ai tempi, era la tecnica del cavaliere nel chiamare e “accorciare” il cavallo prima di entrare in curva, altrimenti non si riusciva a girare per via di curve molto più strette e diverse da quelle di oggi. Nella pista odierna, invece, il cavallo è sempre contratto e, non trovando un allungo, soffre.
Come dico sempre, il cavallo dev’essere come un giunco, flessibile, e non bisogna dimenticare che ha quattro arti, non due ruote come una motocicletta. Per me le soluzioni sono due: tornare al vecchio tracciato o cambiare la razza dei cavalli».
LA QUINTANA OGGI – D’altra parte, l’esperienza e la verve propositiva di certo non mancano a uno dei massimi esperti di Giostre ed equitazione nel panorama nazionale. Impossibile tenere da parte, dunque, l’evoluzione subita negli anni dalla Quintana e alcune possibili modifiche regolamentari, con i risultati delle ultime edizioni di luglio e agosto costantemente sullo sfondo, anche alla luce del terribile mix di incidenti e polemiche che ha caratterizzato quest’estate 2023.
«Ad Ascoli ci sono quattro cavalieri che hanno i propri cavalli – Gubbini, Melosso, Finestra e Innocenzi, ndr – e che possono gestirli come meglio credono. Gli altri, invece, si affidano a privati o a scuderie, ma non hanno a loro disposizione tutto l’anno il cavallo che poi prenderà parte alla Quintana, perché sono altri a lavorarlo.
Ecco la mia proposta: mettere tre o quattro volte al mese il cavallo a disposizione di questi ragazzi, perché meritano, e farlo montare solo da loro, in modo da creare un binomio. Questi sei ragazzi – i già citati Gubbini, Melosso e Innocenzi, ma anche Finestra, Savini e Lionetti, ndr – vanno bene: sono bravi e competenti e li ammiro per il coraggio che hanno, perché non bisogna sottovalutare la pericolosità di quella pista – dello Squarcia, ndr – i tre “nuovi” – Coppari, Finestra e Savini, ndr – per me sono stati una grande sorpresa. Mi hanno impressionato sia a luglio che ad agosto, sono ragazzi da tenere in considerazione perché daranno grandi soddisfazioni ai propri Sestieri. Gli altri tre li conosciamo tutti, ormai sono affermati.
Sono tutti cavalieri che vanno messi nelle condizioni giuste per competere al meglio – prosegue – lavorando sempre il proprio cavallo se ne coglie la sensibilità e ciò che può accadere, consentendo al cavaliere di capire quando intervenire. Ogni cavallo è diverso dall’altro: alcuni, quando viene chiesto loro un qualcosa di più, si ribellano perché conoscono i propri limiti e, essendo padroni dei propri mezzi, sentono di non poter dare di più. Altri, invece, con grande generosità spingono e tendono ad andare oltre la propria percezione del pericolo e i propri limiti, causando situazioni pericolose».
A proposito di sicurezza, De Angelis avanza altre due soluzioni volte a tutelare l’incolumità di cavalli e cavalieri, garantendo al tempo stesso la possibilità di godere dello spettacolo al pubblico dello Squarcia.
«Dal mio punto di vista sarebbe opportuno prevedere un secondo cavaliere per tutti i Sestieri, in modo da garantire la prosecuzione dello spettacolo anche in caso di incidenti. In fin dei conti non bisogna dimenticare che fino a qualche anno fa a terminare la Quintana erano solo tre o quattro cavalieri.
Gli stessi cavalieri, inoltre, dovrebbero essere affiancati da sei istruttori federali con requisiti tecnici, che possano fare da referenti per i Sestieri, e non da tutte le persone, spesso non qualificate, che oggi accompagnano il cavaliere nel corso delle tornate.
Infine, dal punto di vista regolamentare trovo ingiusto infliggere una penalità di 60 punti al cavaliere che intende cambiare il cavallo infortunato a Quintana iniziata. Per me, in caso di problemi fisici evidenti e riconosciuti dallo staff medico, bisognerebbe concedere la possibilità di cambiare cavallo senza penalità ai cavalieri, che oggi invece sono spinti a proseguire con lo stesso cavallo per non perdere punti. Ne va innanzitutto della salute dei protagonisti della Giostra, ma anche dello spettacolo.
A questo proposito – prosegue De Angelis – ritengo che la Protezione Animali dovrebbe analizzare a fondo i tracciati prima delle manifestazioni per verificare se le piste siano idonee o meno per una determinata tipologia di cavallo, svolgendo un’attività di prevenzione.
Colgo l’occasione per rivolgere un elogio all’equipe e ai docenti veterinari di Teramo: al Campo dei Giochi accedono cavalli sani e idonei per la Giostra».
L’EQUITAZIONE – Nonostante l’attaccamento viscerale alla Quintana e il grande interesse suscitato dalle ultime competizioni andate in scena allo Squarcia, agli occhi di un decano dei cavalli la città delle cento torri soffre di un annoso male. «Ascoli non ha una cultura del cavallo – denuncia De Angelis – quando sono arrivato ad Ascoli, alla Quintana c’erano solo due cavalli: quello di Giovanni Castelli e quello di Luigi Civita. Per il resto, a parte quelli che portavano la verdura al mercato, i cavalli non li conosceva nessuno. Io provengo da un’altra tradizione, io ho portato i cavalli ad Ascoli e ho messo a cavallo generazioni di ascolani, facendo conoscere loro un mondo fantastico».
Un mondo che suo figlio Francesco, istruttore federale di 2° livello con autorizzazione a montare di 2° grado, grande esperto di salto a ostacoli e di Gran Premi, conosce fin troppo bene, ma che secondo i De Angelis è stato troppo frettolosamente messo da parte, con scarso spirito di riconoscenza nei confronti di chi, per decenni, ha messo la sua esperienza e le sue conoscenze al servizio dell’equitazione ascolana, e che oggi riflette con inevitabile rammarico sulle sorti dell’equitazione ascolana.
«Angelo De Angelis era per tutti “Lu cavallar”, chiamato così spesso anche in chiave dispregiativa – ricorda Francesco De Angelis, che ha alle spalle Gran Premi e competizioni di livello nazionale e internazionale, con la vittoria delle Universiadi nel 1991 a Sheffield, in Inghilterra come fiore all’occhiello – molti dei ragazzi cresciuti da mio padre hanno poi rotto il cordone ombelicale che li legava al loro vecchio maestro.
Tuttavia, l’equitazione si fa in due modi: o ti scorre nel sangue o si pratica accanto a veri uomini di cavalli. Si diceva che De Angelis non andasse bene per raggiungere risultati importanti e molti hanno cambiato strada per progredire tecnicamente. La realtà, però, dice che da 35 anni a questa parte prospettive tecniche e grandi cavalieri equestri ad Ascoli non sono ancora emersi, anche se spero vivamente che in futuro qualcuno mi smentisca».
Erede di una tradizione equestre apprezzata e riconosciuta in tutto il mondo, De Angelis riceve quotidianamente attestati di stima per quanto fatto in città e non solo in campo equestre. Di fronte a un caffè non si sottrae al saluto degli amici di sempre, con la stessa disponibilità e il medesimo piacere con cui risponde più che volentieri incessanti telefonate di chi, tra i massimi esponenti dell’equitazione internazionale, si rivolge al maestro per un parere su quel cavallo o su tal cavaliere.
Mentre parliamo, il titolare di un bar del centro si avvicina discreto sussurrando all’orecchio un piccolo avvertimento: «Questo signore è stato un grandissimo cavaliere, lo sai?».
Lo sanno bene personaggi del calibro di Mauro Checcoli, oro olimpico a Tokyo 1964 nel completo individuale e a squadre, o Federico Euro Roman, medaglia d’oro a Giochi di Mosca 1980 nel completo individuale, che ancora oggi mettono da parte i successi olimpici per scambiare opinioni e conversare da pari a pari con uno dei decani dell’equitazione italiana.
Certo, il peso degli anni si farà anche sentire, ma l’impegno di Angelo De Angelis per l’equitazione e la città che lo ha adottato più di 60 anni fa non è certo venuto meno, anzi.
«La mia più grande soddisfazione è aver conosciuto persone di altissimo spessore, con cui abbiamo sempre parlato lo stesso linguaggio – afferma Angelo con comprensibile orgoglio – oggi, purtroppo, non ci sono più cavalieri, conseguenza del fatto che dagli anni ‘90 non abbiamo più istruttori e tecnici di rilievo.
Ormai si diventa istruttori nel giro di 3 mesi, senza la necessaria cultura tecnica e l’indispensabile pratica. Si tratta di aspetti fondamentali per garantire il giusto assetto al cavaliere, che raramente dovrebbe cadere. Oggi, invece, cadono tutti, anche ai massimi livelli.
Nel 1971 ho aperto un centro ippico in prossimità del mattatoio, frequentato da tantissimi ragazzi ascolani che ancora mi chiedono perché sia finito quel mondo. Questi nuovi istruttori hanno pensato di risolvere il problema dell’equitazione in soli tre mesi, che però è un’arte e in quanto tale va vissuta anche ad alti livelli. Bisogna conoscere a fondo il cavallo, la tecnica e la cultura equestre per anni, non per pochi mesi».
A proposito di equitazione, qualche giorno fa lo Squarcia ha ospitato la prima edizione del Concorso ippico “Città di Ascoli”, che grazie al sostegno della società sportiva “BB Equestrian” e del main sponsor Panichi ha visto fare tappa sotto le cento torri alcuni dei più importanti cavalieri del panorama nazionale e internazionale. Un successo su tutta la linea confermato dallo stesso De Angelis, che avendo contribuito in prima persona all’organizzazione tecnica dei Campionati nazionali militari italiani ad Ascoli nell’ormai lontano 1985 conosce bene il peso e la caratura di manifestazioni di questo livello.
«È stata una bellissima manifestazione, che ha contribuito a dare ulteriore lustro alla nostra città – conferma – in cuor mio ho sempre sperato nella partecipazione di cavalieri importanti, che potessero far conoscere a tutti la vera equitazione. L’evento è perfettamente riuscito e, in particolare, sono stati in tre a mostrare a tutti come si va davvero a cavallo: Giulia Martinengo Marquet con il suo ottimo stile, Filippo Martini di Cigala e Raffaele Malloni, mio allievo, che oggi addestra i puledri dell’esercito.
Ricordo bene quando fu preso in cavalleria dal colonnello Piero D’Inzeo: quando lo vide in sella gli chiese subito da chi avesse imparato ad andare a cavallo».
IL CASSETTO DEI RICORDI – Prima di salutarci, Angelo rivolge un pensiero a tutti coloro che lo hanno accompagnato in questi suoi 64 anni trascorsi sotto le cento torri, fatti di Quintana, equitazione ma soprattutto rapporti di amicizia e stima coltivati nel tempo, racchiusi oggi in un nostalgico sorriso.
«Tengo particolarmente a ricordare con molto affetto Gino Vallesi, Giacinto Federici, Tonino Orlini, l’avvocato Giulio Franchi, Silviano Meletti, don Carlo Cardarelli, Buonfigli, Carlo Baiocchi, Nino Aleandri, Emilio Nardinocchi, Raimondi, Lino Travaglini, Alvaro Pespani – uomo di altri tempi – “Rirì” Angelini Marinucci, Nazzareno Flaiani, Zè Peci, Marcello Ciabattoni, Pagliacci, Mario Vitelli, i fratelli Ivo e Angelo Paoletti della Piazzarola, Borgioni, Petrucci e Elio Marucci, tra i principali fautori della Quintana.
Ricordo perfettamente la giornata del venerdì che precedeva la Giostra, quando alla Piazzarola si faceva la questua per la Quintana e, alla fine, si vuotavano i sacchi sulla scrivania di Lino Travaglini, allora presidente del Sestiere. Viste le somme raccolte, Flaiani era solito dire: “Ce devem ndcchià”, evidenziando la necessità di mettere le mani al portafoglio per sostenere le spese.
Rivolgo un affettuoso saluto, infine, a tutti i quintanari che, purtroppo, non ci sono più. A loro vanno il mio pensiero e il mio abbraccio».
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