Il pino nero, albero frugale delle nostre montagne

ASCOLI - I boschi artificiali (i rimboschimenti) hanno un ruolo importante per la formazione del paesaggio appenninico, oltre a svolgere un ruolo fondamentale per il consolidamento dei versanti e la difesa dalle erosioni. L’albero più utilizzato (nelle nostre zone) per questo tipo di impianto
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Area di Colle San Giacomo. Ai margini del rimboschimento a pino nero è in atto un ripopolamento naturale

 

 

 

di Gabriele Vecchioni

(Foto di Gabriele Vecchioni)

 

I boschi artificiali (i rimboschimenti) hanno un ruolo importante per la formazione del paesaggio appenninico, oltre a svolgere un ruolo fondamentale per il consolidamento dei versanti e la difesa dalle erosioni. Questo articolo è dedicato al pino nero, l’albero più utilizzato (nelle nostre zone) per questo tipo di impianto.

Foglio d’erbario con le caratteristiche peculiari del pino nero

 

Uno degli alberi che si incontrano più spesso sulle montagne che circondano la città di Ascoli è il pino nero (Pinus nigra), una pianta dalla presenza compatta, con rami spessi e il fogliame con il colore tendente al verde scuro, una caratteristica che dà il nome al vegetale.

 

L’inventario forestale più recente del quale si hanno i dati – quello del 2005 (i dati dell’aggiornamento del 2015 sono ancora in elaborazione) – quantifica in circa 260 milioni le unità (12 milioni delle quali nelle Marche) in boschi di pino nero, su un totale di 900 milioni di conifere sul territorio nazionale.

 

Il pino nero è una conifera, cioè il frutto (in realtà, è un falso-frutto, ma la distinzione è per botanici), l’elemento che contiene i semi dai quali nascerà una nuova pianta, è a forma di cono. Un altro nome del cono è “pigna” ma quello più tecnico è “stròbilo”, una parola derivata dal greco stróbos, che ricorda l’andamento a vortice delle squame legnose che proteggono i semi.

 

Nel pino nero, le pigne, portate dai rami, hanno la punta rivolta all’insù, e si aprono per permettere ai semi di “uscire”. La corteccia del tronco è scanalata e di colore grigio scuro. Le foglie, aghiformi, sono lunghe e disposte a coppie, riunite in verticilli: gli aghi del pino nero sono lunghi e ruvidi, robusti e “pungenti”. I fiori maschili sono raggruppati e quelli femminili disposti a cop­pie. I frutti immaturi sono coni verdi allungati; arrivano a matura­zione in un tempo superiore ai due anni, assumendo una forma arrotondata e il colore marrone.

Rimboschimento a pino nero sul Colle dell’Oseno, a Colle San Giacomo

 

II pino nero è un albero longevo, spesso utilizzato per impianti artificiali di rimboschimen­to, per la sua frugalità, la resistenza a condizioni climatiche rigide e l’adattabilità a terreni poco profondi, poveri o degradati. È questo il motivo della sua presenza sulle nostre montagne, dove sono frequenti i rimboschimenti per rivestire le pendici denudate e prepararle all’introduzione di altre piante (il pino nero è una specie pioniera, ha cioè il com­pito di preparare il terreno per l’im­pianto successivo di specie più esi­genti) o a scopo protettivo, per il rischio di eventi erosivi o franosi.

 

La forte adattabilità di questa pianta alle condizioni climatiche spesso estreme della montagna (è molto resistente al vento, alle basse temperature e alla siccità) ha spinto al suo utilizzo su terreni degradati, a volte abusando della sua resistenza, specie per quanto riguarda quella alla siccità. In realtà, i boschi artificiali, nati soprattutto per consolidare scar­pate, terreni acclivi e corpi detritici (abbiamo più volte ricordato, in precedenti articoli, che spesso, soprattutto nel vicino Abruzzo, assumono toponimi significativi come “Difesa” o “Defensa”), si sono sviluppati bene e attualmente non è previsto il pur necessario taglio di sfoltimento o la sostituzione con altre specie.

 

Esempio di rimboschimento misto di conifere con introduzione di elementi autoctoni (qui siamo a Peracchia di Acquasanta Terme)

I rimboschimenti a conifere vicini alla città sono assai suggestivi, specie nelle parti più elevate, ma le piante sono troppo vicine e la conti­nuità delle chiome costituisce un forte pericolo in caso di incendio, per l’infiammabilità dovuta alla presenza dei canali resiniferi all’interno dei tronchi e il rischio concreto di “incendi di chioma”. Questi ultimi sono l’evoluzione dell’ “incendio radente” (quello che si sviluppa al suolo), investono la parte “verde” dello strato arboreo e sviluppano temperature assai elevate, rendendo difficoltoso e pericoloso il controllo dell’incendio, che risulta così, quasi sempre, devastante.

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Rimboschimento sul versante settentrionale della Montagna. Sullo sfondo, l’Ascensione e, a dx, in lontananza, il Conero

 

I RIMBOSCHIMENTI – «I primi rimboschimenti risalgono al Settecento, con il nascere di una mentalità scientista, un atteggiamento intellettuale che sarebbe sfociato nel positivismo ottocentesco. I rimboschimenti rappresentano la prima risposta tentata dall’uomo al problema del degrado ambientale: essi consistono in un aumento della superficie boschiva, che viene ottenuto attraverso la piantagione di una specie indigena o, più spesso, di specie introdotta… (S. Pignatti, 1994)».

 

Non è possibile, in uno spazio limitato come quello di un articolo, esaminare un argomento complesso come quello dei rimboschimenti. Nel caso del nostro territorio di competenza (i dintorni della città picena) ricordiamo che la scelta di una specie come il pino nero è legata alla sua relativa rapidità di crescita (si tratta di una vegetazione pioniera). Come abbiamo visto in precedenza, questa resinosa cresce in maniera soddisfacente su terreni calcarei, poco profondi e aridi, ma solo raramente si riesce a raggiungere l’obiettivo di preparare la successione (vegetale) verso specie più esigenti. Gli aspetti negativi dell’uso di questo tipo di pianta sono la produzione di legno di bassa qualità e il forte rischio di incendi, già evidenziato.

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Panoramica di uno dei rimboschimenti dei Monti Gemelli; al centro il Torrente Marino

 

I rimboschimenti della Montagna dei Fiori. Nel paesaggio vegetale appenninico in generale, e in quello dei Monti Gemelli in particolare, i rimboschimenti a pino nero occupano un posto importante e appaiono, a una osservazione superficiale, come formazioni naturali, anche se l’impianto e l’evoluzione dei boschi di questo tipo sono chiaramente artificiali.

 

Spesso, «il corteggio floristico [l’insieme di specie presenti nello strato erbaceo, NdA] di queste pinete assomiglia a quello delle stazioni autoctone, naturali (C. Lausen, 2007)». Ancora una citazione, questa da un lavoro del Petretti (1998): «I rimboschimenti a pino nero […] tendono ad assumere con il tempo un aspetto più naturale perché l’ordinata compagine arborea si frantuma e crescono le essenze spontanee in associazione con il pino».

 

Come già anticipato, i boschi artificiali sono spesso “boschi di protezione” e svolgono un ruolo importante per il consolidamento dei versanti acclivi e, nelle particolari condizioni climatiche estreme della montagna, contrastano gli effetti erosivi delle precipitazioni meteoriche, del ruscellamento superficiale e del crioclastismo (il processo di disgregazione meccanica delle rocce causato dai cicli di gelo e disgelo).

 

Escursionista all’interno di un rimboschimento a pino nero

Si tratta di boschi luminosi e regolari, facilmente percorribili dall’escursionista, gratificato anche dall’atmosfera ricca di profumi. Il sottobosco è rado e la crescita di arbusti è sfavorita dal tappeto di aghi caduti dai rami, un deposito che pro­voca la formazione di una lettiera indecomposta che acidifica il terreno e non permette la crescita di un sottobosco folto: la rarefazione dello stesso si nota percor­rendo i sentieri che attraversano le riforestazioni. Il processo di formazione dell’humus è rallentato anche dalla presenza di resina (miscuglio eterogeneo che protegge il legno dell’albero dai parassiti, formato da composti organici ciclici conosciuti come terpèni); la resina costituisce una pericolosa esca per gli incendi, particolarmente rischiosi in questo tipo di bosco, anche per la vicinanza delle chiome, il più delle volte “a contatto”.

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Cappella di San Giovanni nel rimboschimento storico a pino nero del versante orientale della Montagna dei Fiori

 

Bosco delle Casermette, sul versante della Montagna che guarda l’Adriatico

Nel comprensorio della Montagna dei Fiori insistono due vasti rimboschimenti storici: il cosiddetto Bosco dell’Impero, sul versante “ascolano” del rilievo, e il Bosco delle Casermette, su quello orientale. A questi due impianti artificiali è stato dedicato, tempo fa, un articolo (leggilo qui); qui ricordiamo solo che il primo, nato per motivi celebrativi, risale al terzo decennio del Novecento, quindi stiamo parlando di piante di circa novant’anni di età, mentre il secondo è più antico, con essenze centenarie.

 

A lato del sentiero nello storico impianto del Bosco dell’Impero, una passatóra, la struttura che permetteva ai pastori di scavalcare le recinzioni di filo spinato

Il Bosco dell’Impero si salda, sul versante settentrionale della montagna, con il bel rimboschimento misto (resinose, cedri, ciliegi…) che riveste il Colle della Luna, attraversato dalla strada frangifuoco che sale da Castel Trosino, frequentata da bikers e da escursionisti. La pista fu aperta dal Corpo Forestale dello Stato (ormai confluito nell’Arma dei Carabinieri, cambiando il nome in “Carabinieri forestali”) per il controllo del rim­boschimento già ricordato che ricopre le coste acclivi che arrivano fino al Colle San Marco e per il facile rag­giungi­mento dell’impianto di conifere della Pineta dell’Impero, a metà strada tra il Colle suddetto e la lo­calità di San Giacomo.

 

 

Il Rifugio Paci al Colle La Pelèra (foto Borraccini e Nardinocchi, 1949)

Il Rifugio Mario Paci e i pionieri dello sci. Ai margini della Pineta dell’Impero, lungo la strada provinciale per Colle San Marco, è situato il Rifugio escursionistico “Mario Paci” (Colle La Pelèra, a quota 905), storico punto di riferimento per sciatori ed escursionisti ascolani fin dagli anni ’40 del secolo scorso, quando pantaloni alla zuava e sci di legno erano parte integrante del­l’abbigliamento dei pionieri dello sci.

 

La struttura, recentemente ristrutturata, è interamente circondata dal rimboschimento descritto ed è raggiungibile sia per strada asfaltata sia per sentiero. Già del Club Alpino di Ascoli Piceno, e attualmente in comproprietà con l’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno, il Rifugio è la sede di un Centro permanente per l’Educazione Ambientale. Nel CEA sono previste attività mirate per le scuole di ogni ordine e grado, curate da operatori qualificati ed effettuate in collaborazione con il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e con altri enti ed associazioni operanti nel settore ambientale. È anche un apprezzato punto di ristoro con servizio di ristorante.

Una strada sterrata attraversa un rimboschimento; ai lati, “timidi” tentativi di (ri)colonizzazione da parte della flora autoctona

 


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