Guerre, menzogne e verità: Di Battista chiude “LibrArte”

FOLIGNANO - La lunga e articolata riflessione dello scrittore romano sulle “Scomode verità” della nostra epoca seguita da un grande pubblico al PalaRozzi. Il degno epilogo del festival, divenuta oramai, una prestigiosa classica, nel panorama culturale nazionale
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di Walter Luzi

 

LibrArte Festival di Folignano, chiusura col botto. Per il monologo di Alessandro Di Battista, chicca finale del fitto programma settimanale della manifestazione, le sedie, al PalaRozzi, non sono bastate. Il pubblico ha riempito per intero anche la tribuna sud per ascoltare tutte le sue Scomode verità. Un lungo viaggio nella mistificazione più abietta dell’informazione asservita alla politica negli ultimi venticinque anni.

Di Battista sul palco

 

Dal misterioso crollo delle Twin Towers del World Trade Center di New York nel 2001, che inaugurò la moderna era bellica, fino al genocidio indisturbato e legittimato dalla complicità pressoché planetaria in atto a Gaza. Un quarto di secolo di guerre e menzogne, di conflitti fomentati e pianificati ad arte fra religioni, culture e popoli interi solo per la cupidigia, quasi esclusivamente economica, di pochissimi potenti.

 

Di Battista la racconta non esternando opinioni, facendo illazioni o ipotesi, ma mettendo in fila, con ordine, fatti, testi di interviste, dichiarazioni ufficiali, e date, soprattutto, che illuminano di verità vicende gravi, e dolorosissime per l’Umanità. Propagandate ad uso e consumo della pubblica opinione mondiale senza scrupoli, pudore e, peggio, neppure vergogna. L’apripista dell’atteso incontro con il quarantasettenne scrittore ed ex deputato romano, è l’autrice fermana di “Come araba fenice” Samuela Baiocco, con la sua grave disabilità motoria irrisa dalla forza che rinasce proprio grazie all’amore per la scrittura. Un raggio di sole confortante il suo, prima del racconto senza edulcoranti artificiali, di una galleria di orrori, politici, e, ancor più gravi, mediatici, lunga un quarto di secolo.

Il pubblico del PalaRozzi

Poi i saluti delle autorità comunali, il legittimo orgoglio degli organizzatori di una manifestazione divenuta fiore all’occhiello, per le sue amministrazioni, da trentuno anni a questa parte, nel campo della Cultura. Ma tutti aspettano solo lui, il protagonista del gran finale di LibrArte 2025. Che ha preferito tirarsi fuori dalla politica dopo l’ingresso del suo partito nel governo Draghi, e che non anela certo a tornarci.

 

«Sull’orlo, come siamo, del baratro della terza guerra mondiale – ripete da tempo – un mio ritorno alla politica attiva, o meno, mi sembra una vera quisquilia…».

 

Il suo contatto diretto con i fotoreporter e giornalisti palestinesi e gli inviati di Al Jazeera, gli permette di avere notizie di prima mano, da gente che vive, e spesso muore, sul posto. Nella loro terra. A Gaza, e nei territori occupati illegalmente da Israele, ne sono stati assassinati, finora, duecentotrenta. Il posto più pericoloso della Terra, e di sempre, per un uomo, o una donna, che vuole solo documentare la verità di una guerra, che guerra vera in fondo neppure è. E farla conoscere al mondo. Un canale aperto h 24, quello di Alessandro Di Battista, sul vicino Medio Oriente che gli permette di visionare filmati che sulle tv occidentali, le stesse che ne propagandano in abbondanza, con becero e sprezzante livore, gli “alti e nobili valori”, non abbiamo visto, né vedremo, mai.

 

Dibba documenta con incontrovertibile cura, le bugie, gli inganni, le strategie e le narrazioni mediatiche belliciste, le “truffe semantiche” come le chiama lui, ordite a tavolino da una informazione, in larghissima parte, asservita, e funzionale al sistema. Quelle che, grazie ad un doppio standard diffuso e ormai platealmente sdoganato, cambia anche i termini degli eventi, da usarsi su giornali e tv, a seconda di chi ne sono gli autori. Invasioni o aggressioni possono diventare così, con disinvoltura, operazioni di esportazioni (non richieste da nessuno) di democrazia, o di cosiddetta peacekeeping. Oppure “mercenari” che mutano in “contractors” a seconda del fronte. E un brutale genocidio di innocenti, propinato come una legittima operazione preventiva di difesa della sicurezza nazionale.

Di Battista sul palco

 

Da ridere. Se non fosse, ovviamente e amaramente, da piangere. Come certe ridicole acrobazie verbali, che trasformano nel volgere di poche settimane “armate rotte”, inoffensive e ormai allo sbando, in minacce reali, pericolosissime e imminenti, per la sicurezza dei sacri confini occidentali. Da contrastare, svenandoci anche economicamente, solo in un altro riarmo folle, che la Storia ha più volte insegnato, poi, come finisce sempre. O le formulette vuote da spiattellare alla bisogna. Come l’obiettivo di “due popoli due stati” senza capire neppure che significhi e, soprattutto, senza muovere un dito per cercare di perseguirlo. Siamo un Paese a sovranità limitata, a democrazia deviata. Niente di nuovo, come per tutti gli sconfitti divenuti sudditi.

 

Ma ci risuonano ancora nelle orecchie i discorsi in Parlamento, fieri, obiettivi, illuminati e coraggiosi, di grandi guide politiche del recente passato nel nostro Paese sulla questione palestinese. Come Sandro Pertini, o Enrico Berlinguer, e persino Bettino Craxi, oltre ad Aldo Moro che li pagò con la vita. Sulla statura morale e politica di molti loro successori, in confronto, meglio stendere un velo pietoso. Di Battista parla anche dell’accusa ricorrente di antisemitismo, brandito sempre come un’arma a difesa di ogni infamia commessa, secondo un principio che però non può valere mai negli episodi di islamofobia. Doppio standard, appunto, come detto. Con la politica sempre più succube della grande finanza, e le sue scelte suggerite ai premier dai consigli di amministrazione di pochi grandi fondi di investimento, che decidono delle sorti del mondo solo in nome del Dio Denaro.

Grazie alle endless war, guerre infinite, di cui hanno sempre bisogno per continuare a lucrare sulla pelle degli esseri umani. Quando possono venir considerati tali. E non vale per tutti. Come in Palestina. Dove gli ebrei applicano alla lettera, un secolo dopo, gli stessi dettami razzisti con cui Adolf Hitler farneticava nel Mein Kampf. Un popolo, quello palestinese, oppresso e bombardato regolarmente da settant’anni. Che si vuole cacciare dalla loro terra in spregio ad ogni accordo di pace siglato, e ogni favorevole risoluzione dell’Onu. Che da allora subisce provocazioni e prevaricazioni crescenti, ben oltre il confine del più inumano sadismo, per sollecitarne la reazione violenta delle frange più estremiste. Servono anche quelle. Servono a giustificare rappresaglie di massa sempre più sanguinose e inumane, che prevedono anche sete e fame, oltre alle bombe, per i civili inermi, come quella in atto.

 

 

Ma la dignità del popolo palestinese viene calpestata da ben prima del sette ottobre. In questo mondo alla rovescia dove sono i nostri presunti alleati, e non i presunti nemici, a sabotare infrastrutture vitali per la nostra economia, dove anche un Papa viene accusato di essere un propagandista sovietico, e dove i report e gli appelli di Amnesty International o Save the children sono considerati, o ignorati base, alla collocazione geopolitica dei Paesi interessati, le speranze di uscirne vivi sono ridotte proprio al lumicino. Ma già continuare ad indignarsi, come Alessandro Di Battista, può essere un bene. «Senza voltarsi dall’altra parte, di fronte al fango e al sangue del mondo…».


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