Che la figura del giornalista stia attraversando uno dei suoi momenti più bui, non è più notizia. Siamo abituati ormai a vivere tempi in cui la cronaca dà fastidio, l’inchiesta irrita, la domanda viene percepita come attacco. Ma in fondo ci siamo abituati: se il giornalismo non solleva dubbi, non scava, non interpella, allora che giornalismo è?
Ecco perché ci stupisce (fino a un certo punto) il tono della replica giunta dalla Diocesi di Ascoli Piceno, dopo la pubblicazione del nostro articolo sugli esercizi spirituali tenuti a fine giugno nel Centro Aletti di Roma fondato da padre Marko Rupnik, figura al centro di pesanti accuse di abusi sessuali (leggilo qui). Un articolo che non conteneva insinuazioni, ma semplici interrogativi. Leciti. Opportuni. Necessari.
Perché sulla “questione” (così la chiama la Diocesi) di Rupnik esiste una copiosa bibliografia online e non, non ultimo un servizio tv delle Iene andato in onda lo scorso marzo, così come sul fatto che il Centro Aletti né il suo vicedirettore padre Ivan Bresciani, braccio destro di Rupnik, abbiano mai preso le distanze dal fondatore.
Il comunicato della Diocesi non entra nel merito delle domande, ma riferisce di “toni allusivi”, arrivando ad augurarsi che Cronache Picene “non voglia vestire i panni di indagatore, inquisitore, pubblico ministero e giudice al tempo stesso”, impartendo lezioni di giornalismo, evocando “probabili calunnie” ed ipotetici “altri interessi” (quali?), e critica riferimenti a “blog di notizie nemmeno registrato come testata giornalistica”. Come se la libertà di stampa dovesse avere il placet ecclesiastico. Come se la verità potesse abitare solo dentro certi confini.
Curioso anche notare le proporzioni dei toni: si scrivono righe e righe su don Simeone, sul Centro Aletti, sul portale di informazione “Silere non possum”, ma quando si arriva a citare il caso don Bastoni, ecco che tutto si liquida in una riga scarna: all’epoca c’era un altro vescovo.
Sì, certo, c’era un altro vescovo (D’Ercole, come specificato nel pezzo), che poi ha lasciato la Diocesi anche a causa di questo fatto. Così come c’erano molti dei prelati che invece ci sono anche oggi. Non ci risulta che qualcuno di loro abbia mai detto qualcosa. Nessuna parola. Nessuna presa di distanza pubblica dalle nefandezze di don Bastoni, all’epoca viceparroco del Duomo, non un ruolo qualunque. Nessuna richiesta pubblica di perdono alle decine di famiglie che ai tempi si sono sentite — e a ragione — molto più che prese in giro visto che portavano i loro bimbi a fare catechismo da un uomo di chiesa indagato e a processo per pedopornografia, e che poi ha patteggiato.
Nel nostro pezzo abbiamo citato fatti, persino comunicati ufficiali della stessa Diocesi, con rigore e rispetto, partendo da padre Rupnik e dalla “sosta” al Centro Aletti per poi citare i fatti più eclatanti che hanno riguardato la Diocesi negli ultimi anni. Eppure ci si accusa di confondere le epoche e le responsabilità, quando ogni singolo passaggio è ben espresso. Se una domanda sul senso di recarsi in preghiera proprio lì è considerata fuori luogo, allora il problema non è chi pone la domanda.
E ora, diamo spazio alla replica integrale della Diocesi. Perché siamo giornalisti, e la verità – tutta – ci sta a cuore. Anche quando fa rumore.
“In merito all’articolo pubblicato da Cronache Picene in data 21 luglio 2025 dal titolo “Iniziativa sui generis della Diocesi: preti in preghiera nel centro dello scandalo Rupnik”, desideriamo brevemente replicare.
Sorprende a nostro avviso che un gesto semplice e silenzioso come un ritiro di preghiera di sacerdoti, in occasione del Giubileo, tenutosi in una casa utilizzata tutto l’anno per questa finalità da preti e laici, venga letto e raccontato con toni allusivi, come se avessimo altro da fare che servire il Vangelo.
Purtroppo, in un tempo in cui il clamore sembra avere più peso della verità, sarebbe opportuno cercare di comprendere il significato autentico dei gesti.
Per quanto riguarda il Centro Aletti e don Ivan Bresciani, predicatore di questo ritiro, ricordiamo che il processo canonico che sta per iniziare su don Marko Rupnik, accusato di abusi, non coinvolge né la sua comunità né nessun altro religioso del Centro Aletti: nessuna censura ecclesiastica è previsto che venga emanata nei confronti del Centro Aletti che pertanto può pienamente continuare la sua attività ed il suo servizio spirituale ed artistico. Alcuni sacerdoti del Centro Aletti sono ex gesuiti: sono stati temporaneamente incardinati in altre diocesi, tra cui quella di Ascoli Piceno, in attesa che si risolva la ‘questione’ relativa a don Marko Rupnik. Come gli stessi sacerdoti e diaconi di Ascoli e San Benedetto del Tronto hanno potuto apprezzare, don Ivan Bresciani è un bravo predicatore. Il Vangelo insegna che le colpe (eventuali) dei padri non ricadono sui figli; così fino a prova contraria, non dobbiamo ostracizzare il Centro Aletti e i suoi sacerdoti.
Analogamente, l’attuale Vescovo Palmieri non può certo rispondere per i fatti eventualmente imputabili ai suoi predecessori, che vengono confusamente inseriti nel testo creando l’idea che attengano allo stesso periodo temporale.
Riguardo al caso di don Francesco Simeone, è contestabile il fatto che si continuino ad alimentare falsità senza tener conto dell’unico comunicato ufficiale delle Diocesi nel quale, a suo tempo, si specificava che il ritorno di don Francesco nella sua Taranto era stato concordato tra i due vescovi Gianpiero Palmieri e Ciro Miniero e di cui il sacerdote (ricordiamo fidei donum nella diocesi ascolana) era stato informato fin dal 24 ottobre u.s.
Strano che chi ha firmato gli articoli abbia ascoltato sempre una sola parte senza mai minimamente interpellare la Diocesi. Siccome la stessa cosa si è ripetuta nella situazione attuale, ci chiediamo: se davvero si vuole illustrare la verità ai lettori, perché non verificare le fonti?
Fa infine sorridere la lode ad un blog di notizie nemmeno registrato come testata giornalistica che fa principalmente gossip, anche ecclesiastico, per alimentare la sua bolla di lettori. Ricordiamo che in questo blog molti articoli non riportano il nome di chi scrive i pezzi… e che quindi, oggettivamente, non viene allo scoperto.
Ci auguriamo che Cronache Picene non voglia vestire i panni di indagatore, inquisitore, pubblico ministero e giudice al tempo stesso, anticipando sentenze che, sempre oggettivamente, non le competono. La prudenza è sempre un valore, ma non può mai diventare alibi per la probabile calunnia. In proposito valgono sempre i principi della nostra Costituzione.
Non vorremmo che tutto fosse dettato da altri interessi che ci sfuggono e che esulano dal sacrosanto diritto di critica. Per questa testata, come per tutte le altre, le porte della Diocesi continuano ad essere aperte all’insegna della trasparenza e della verità.”
Iniziativa “sui generis” della Diocesi: preti in preghiera nel centro dello “scandalo Rupnik”
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