di Walter Luzi
Sere d’estate al mare. Leggerezza e svago. Anche no. Affettività negate, e male di vivere dei giovani, possono essere il tema per una serata diversa da struscio in centro e gelato in mano. Come dire: pugni nello stomaco per tutti. Ma sono tanti quelli che hanno scelto di venire a mettersi in discussione, sedendosi ad ascoltare il primo incontro del fitto programma settimanale de L’Avvenimento in piazza.
Sulla strada, come sempre ama fare Fides Vita, compagnia di vita e di amicizia, per le sue iniziative; luogo di incontri, cancelli aperti per tutti quelli che, magari, si aspettano risposte, ricette, su certi temi così spinosi, e che, invece, trovano solo domande, ipotesi. Qualcuno è venuto persino dalla Sicilia per ascoltare il monologo di Nicolino Pompei. Sambenedettese, classe 1964, ex insegnante di religione cattolica alle superiori, uomo in perenne cammino animato dalla fede. Uno di quelli che continua a cercare Cristo dentro ogni essere umano che incontra.
Il tema è molto sentito, e sempre attuale, purtroppo, con i tempi che corrono. Lo spunto per la riflessione arriva dalla lunga lettera che una ragazza romana di ventuno anni, Francesca, ha scritto e lasciato ai genitori prima di suicidarsi. La sconfitta più grande che si possa patire in una vita. Soprattutto quando una figlia non è la svalvolata di turno, ma una brillante studentessa universitaria, rampolla di una famiglia benestante molto unita. Ha un fratello. Un fidanzato. È bella, intelligente. Una maturità conseguita con il massimo dei voti, ed in perfetta regola con il calendario degli esami universitari. Come può andare ad impiccarsi nel cesso di una stazione una così.
«Ho avuto nella vita tutto il necessario – scrive ai genitori – ho avuto anche il superfluo. Ma mi è mancato l’indispensabile».
Pompei è disarmato, non ha formule vincenti, né ricette magiche da proporre all’uditorio silenzioso, attento, partecipe. Lui è sgomento, impotente, di fronte al dramma di una ragazza suicida, e al malessere diffuso, che è proprio della umana condizione, di una generazione. Che troppo spesso non vede esempi fulgidi nei vecchi, senza più entusiasmi e nuove sfide da lanciare. Né, tanto meno, tirando solo a campare, di sogni da inseguire. Una generazione che, a differenza delle precedenti, ha tutto senza essersi sudato nulla. Che ha scoperto e provato già tutto, ma senza brividi. Che è ritenuta al sicuro grazie solo da una iperprotettività tossica, esercitata, indiscriminatamente, dai genitori.
«…Credo che l’essere viziati e iperprotetti da tutto ciò che riguarda il mondo reale – ha scritto Francesca nella sua lunga lettera di addio ai genitori – sia tanto negativo quanto l’essere poco amati…».
Una generazione quella dei nostri giovani, che è senza modelli virtuosi, in ogni ambito, da seguire, da cui trarre ispirazione, spinta, motivazioni, fiducia. Che soffre di pigrizia e apatia, noia e malinconia, per prolungata mancanza di quella “soddisfazione del cuore”, di quella fiamma interiore che tutto può tornare ad illuminare. Cresciuta con l’assillo di compiacere le aspettative genitoriali, dell’alimentazione, dei bei voti a scuola, delle performances in ogni ambito, e nell’ansia trasmessa di schivare fatiche, sacrifici e cattive compagnie.
«…Avete fatto in modo che io e il mondo, io e la vita reale – scrive sempre Francesca – fossimo due cose perfettamente estranee, inconciliabili. Mi avete parlato solo di voi, non mi avete mai chiesto di me…».
Come sono sempre vive ed attuali, due secoli dopo, le inquietudini, le frustrazioni, di Giacomo Leopardi. Che nelle sue opere ha trasmesso tutta la propria infelicità, ma anche i suoi aneliti, l’amore disperato per una vita che per essere vera deve essere pienamente vissuta. Che non era un pessimista cosmico. Tutt’altro. E Nicolino Pompei, incurante dei suoi recenti e seri problemi di salute, impreca veemente contro i detrattori del nostro grande poeta conterraneo.
I nostri figli ci guardano, e, troppo spesso, sotto troppi aspetti, noi grandi non siamo un gran bel guardare. Presunti super eroi falliti, senza umanità, pieni di certezze farlocche, distratti, e incapaci degli sguardi e delle parole giuste al momento giusto. Quando ci vorrebbero. Quando potrebbero fare la differenza in qualsiasi rapporto. Avessimo qualcosa di nobile, di profondo, da trasmettere loro, ideali e valori fatti di azione concreta, slancio.
E fiducia, nonostante tutto, di poter riuscire a cambiare, o la forza, la determinazione almeno per provarci, quello che non va nella nostra società, forse sarebbe meglio per tutti. Cambiare sé stessi per cambiare il mondo. Il cuore al centro di tutto. Sempre. Comunque. Esserci è amore. L’amore che non dobbiamo aver timore di manifestare. Che può portare chiunque ad incontrare il Cristo vero negli altri, come è successo a Nicolino Pompei e ai suoi ragazzi. L’affettività è il problema assoluto. La capacità di riuscire a commuoverci di fronte alla bellezza, alla grandezza, all’infinito, e non smettere mai di interrogarci sulla felicità. Nostra, e delle persone che amiamo di più. Come i nostri figli per primi.
Si chiude con un canto che dice: «…non arrenderti al buio che le cose divora… ora è notte, ma il giorno verrà ancora… non avere paura, non fermarti e vai… se c’è qualcuno con te che non ti lascerà mai…».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati