Nella splendida cornice di San Pietro in Castello, un silenzio denso avvolge la sala quando sta per andare in scena “Romeo e Giulietta – Un amore al buio“: produzione del Laboratorio Minimo Teatro (col contributo della Fondazione Carisap), con un cast tutto ascolano, per la regia di Eleonora Balestra. Il buio completo che cala lentamente non è solo assenza di luce, ma una precisa volontà poetica. È un invito a percepire la storia attraverso i suoni, gli odori e l’immaginazione, abbandonando il primato della vista per affidarsi a tutti gli altri sensi.
L’idea che anima questo lavoro, proposto durante lo scorso weekend, è tanto semplice quanto rivoluzionaria: rendere il teatro accessibile anche alle persone non vedenti e ipovedenti, trasformando l’assenza della visione in un linguaggio nuovo. Fin dalle prime battute, si percepisce una direzione artistica audace e coerente. “Un amore al buio” non è una semplice riscrittura del testo shakespeariano, ma una geniale reinvenzione che interroga il significato stesso del vedere. L’amore di Romeo e Giulietta si fa qui sostanza pura: due voci che si cercano, si riconoscono e si perdono nell’oscurità, come se la luce fosse diventata un ostacolo alla verità dei sentimenti.
L’assenza della vista svela ciò che spesso l’occhio non coglie: la vibrazione delle parole, il respiro profondo, la paura, il tremolio del desiderio. L’elemento più suggestivo dell’intero allestimento è la disposizione spaziale della scena: le sedie degli spettatori e gli oggetti necessari alla rappresentazione sono disposti in un doppio cerchio concentrico, a formare, viste dall’alto, un grande occhio. Un occhio simbolico, che contiene il pubblico al suo interno e lo trasforma in parte integrante dello sguardo collettivo. È un’immagine di straordinaria potenza: il teatro che vede attraverso chi ascolta, un occhio che si apre proprio nel momento in cui cala il buio. La geometria circolare abbatte le gerarchie tra palco e platea, annulla la distanza, rende tutti – attori e spettatori – parte dello stesso organismo sensoriale.
Lo spazio di San Pietro in Castello amplifica inoltre la magia. Le sue mura antiche, il travertino bianco, e la volta alta risuonano come strumenti naturali. Ogni voce, ogni passo, ogni eco trova una sua profondità unica. I suoni diventano architettura, l’acustica si fa drammaturgia. A tutto questo si aggiungono gli odori: i profumi intensi per evocare il balcone dell’amata, l’aroma dolciastro dell’incenso per accompagnare la notte. È una vera e propria sinestesia teatrale, in cui ogni senso collabora alla costruzione del significato.
Con questa regia, Eleonora Balestra dimostra una raffinata intelligenza teatrale. Nel suo lavoro si percepisce una profonda conoscenza del testo e, insieme, il coraggio di tradirlo per restituirgli nuova vita. La sua «visione al buio» libera Shakespeare dalla gabbia del manierismo romantico e lo restituisce a un’essenzialità commovente. I due amanti non sono più icone perfette, ma corpi fragili, fatti di voci e tremori che vibrano da secoli e giungono fino a noi.
Gli attori, tutti bravissimi, affrontano con sensibilità e rigore la sfida di recitare per l’orecchio: dalla stessa Balestra ad Andrea Marinucci, passando per Marco Fausti, Eros Zambrini, Daniele Di Dionisio, Serena Valenti, Flavio De Angelis, Sara andreani, Chiara Misticoni e Moreno Mascaretti. Privati del gesto visivo, devono costruire l’intero immaginario con la parola, il ritmo, i rumori.
E riescono pienamente nell’intento: le voci di Romeo e Giulietta si rincorrono e si sfiorano come fili invisibili, capaci di far palpitare lo spazio. Romeo parla come se cercasse sé stesso dentro la notte; Giulietta risponde con una dolcezza che diventa resistenza al destino, e al contempo energia vitale. Attorno a loro, gli attori si muovono all’unisono come onde sonore di un unico strumento, creando una partitura corale davvero intensa e intima.
Quando cala il sipario e il silenzio torna a occupare lo spazio, nessuno si affretta ad applaudire. Per qualche istante, il pubblico resta sospeso, quasi a non voler rompere l’incanto. Poi un applauso lungo, pieno, sincero si diffonde nel buio. È un applauso che non celebra soltanto gli interpreti, ma un’idea di arte capace di includere e di toccare le corde più profonde dell’animo umano. È questo un teatro che non ha paura di spogliarsi della vista per ritrovare il senso profondo della presenza umana. Un’esperienza unica. Un teatro che non mostra ma rivela; che non si limita a rappresentare, ma fa vivere in pienezza un diluvio di splendore.
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