
Ascoli, San Benedetto e un derby anni ’60 con Paolo Beni e Carletto Mazzone
di Pier Paolo Flammini
Sarebbe sminuirlo, se si riconducesse tutto e solo al pallone. Una sfera di cuoio, ventidue calciatori in calzettoni e pantaloncini, e il pubblico attorno. Perché non è solo calcio e coloro che, da intellettuali della domenica, scrollano le spalle respingendo la passione popolare no, sono dalla parte del torto.
Ascoli-Samb è certo una partita di calcio, e qui è importante che tutti lo capiscano, soprattutto coloro che rischiano di esagerare anche con le parole, trascinando i più giovani e i più sensibili oltre il recinto del consentito. Ma è anche una partita che racchiude due storie che insieme ne formano una, che è la micro-storia provinciale due città e del loro intorno, ma è anche – e qui sta il fascino – la storia di un pezzo d’Italia, almeno quello al di fuori delle metropoli. E l’umanità ha bisogno di storie, che semplifichino e rendano espliciti significati altrimenti più oscuri.
Tutto è iniziato nel 1927, quasi cento anni fa. Ma dal calcio dei primordi (la Samb giocava alla Trappoletta, l’attuale Piazza San Giovanni Battista, prima di spostarsi al Littorio poi Ballarin, l’Ascoli al Campo dei Giardini, attuale Ferruccio Squarcia, prima di spostarsi al Del Duca) spostiamoci sulla storia e sull’evoluzione delle due città. Guardiamo indietro: nel 1861, primo censimento dell’Unità d’Italia, Ascoli è già una città di 21.600 abitanti, San Benedetto un borgo marinaro di 6.510. Nel 1931, quando la storia delle due squadre di calcio muove i primi passi, il capoluogo ha una popolazione numerosa quasi quanto l’attuale, 36.720 contro 17.189.
Tradizionalista e imponente Ascoli, Città delle Cento Torri, ricca di storia millenaria, segnata da uno sviluppo che diventerà impetuoso nel ‘900 San Benedetto, luogo che abbraccia la modernità come una liberazione (prima che tutto diventi post-moderno) segnata dall’arrivo della ferrovia nell’800, poi del Porto e dell’Autostrada. La Città delle Palme infatti sarà la città italiana con il più elevato ritmo di crescita della popolazione tra il 1951 e il 1971, passando da 23 a 42 mila (mentre Ascoli raggiunge il suo picco di 55 mila).
Le due città si equivalgono ormai come dimensione, la Riviera pesa quanto l’entroterra. E le vicende delle due formazioni seguono invece un percorso altalenante, se non fosse per l’unico periodo di relativo equilibrio, tra gli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Prima sarà la Samb a scrivere una delle prime epopee del calcio italiano: piccolo paesino in un calcio allora di metropoli e di centri di potere, conquistò la Serie B nel 1956 anche grazie a una celebre colletta degli armatori, unico centro tra Venezia e Bari ad arrivare tanto in alto. Poi arrivò Rozzi e il predominio rossoblù fu ribaltato, la Serie A arrivò al “Del Duca”, fino ai derby di Serie B e al declino societario rossoblù che si è susseguito dal 1990 in poi.
Ma torniamo alla società, che del calcio è uno specchio e da essa è specchiata. Negli anni ’60, nei derby tra Beni e Mazzone (segnati dalla tragica morte di Strulli in un incidente di gioco il 14 febbraio 1965) si incontrano di fatto due città e due culture molto diverse nonostante la vicinanza geografica. Mare e montagna, costa e collina, pesca, turismo e agroalimentare da una parte e industria, agricoltura e grandi gruppi familiari (Rozzi sarà uno di questi). Così anche le dinamiche sociali e politiche inseguono due strade distinte e l’appellativo usato da entrambe le tifoserie per offendersi (pesciaroli o pesciari vengono chiamati i sambenedettesi ad Ascoli i quali rispondono con pecorari, in realtà un po’ caduto in disuso) riflette la catalogazione in due mondi distinti.
Ascoli mantiene una sua patina distinta, tradizionalista, anche borghese e alto-borghese (mi è capitato talvolta di entrare nelle antiche abitazioni di importanti famiglie ascolane e di sentire tutto il peso della tradizione secolare, cosa che a San Benedetto, nel bene o nel male, non si percepisce), anche isolata politicamente dal resto della provincia per non parlare delle Marche. Le eversioni di quegli anni, qui, saranno nere. San Benedetto è più istintiva e seguirà il flusso del 1968 con la rivolta popolare seguita al naufragio del Rodi, nel dicembre 1970: e dalla pesca agli studenti la critica al vecchio mondo godrà di uno sviluppo senza argini a sinistra, con la proliferazione di Lotta Continua e un tributo di sangue e di vite spezzate a causa della lotta armata delle Brigate Rosse.
Riesce difficile immaginare, in altre parti d’Italia, come due città così vicine possano aver seguito sentieri tanto diversi; è un tratto peculiare marchigiano rispetto al già notevole ipercampanilismo del Centro Italia, più esacerbato che altrove proprio nel Fermano e nel Piceno ma qui, nel sud delle Marche, favorito da una polarizzazione perfetta, quella tra Ascoli e San Benedetto che nel calcio ha la sua principale vetrina di rappresentazione.
Una palla al piede, per certi versi, ma anche una ricchezza culturale, se vogliamo, che proprio in attesa del ritorno del derby manifesta tutta una serie di tic italiani che altrove sembrano oramai persi: il “pranzo della pace” con il Vescovo, misure di sicurezza e di limitazione all’accesso allo stadio mai osservate in altre città, una esacerbante discussione sui social che non conosce pausa. Ci vorrebbe un Monicelli (chissà se qualche giovane regista o anche il grande Giuseppe Piccioni non ci fa un pensierino) per una sua graffiante commedia all’italiana, ma ci sono anche pagine tragiche di dolori e morte, non collegate alla rivalità tra le due squadre, che si sono sedimentati e creato e separato, ciascuna con i propri lutti, le due comunità.
Ma torniamo indietro. Nell’ultimo derby, nel 1986, San Benedetto e Ascoli sono ancora città distinte, che si incontrano quasi esclusivamente nel periodo estivo, quando migliaia di ascolani trascorrono giornate o intere vacanze al mare di San Benedetto. Eppure era già iniziata una maggiore frequentazione rispetto ai decenni precedenti, per il lavoro – la Vallata del Tronto era diventata una lunga e importante zona industriale – e per le scuole superiori.
Oggi la realtà ci parla di due città molto integrate: certo, è soprattutto l’entroterra (quindi Ascoli) che scivola verso la costa (quindi San Benedetto e Grottammare ma non solo), con un’accentuazione seguita al tragico terremoto del 2016. Così negli anni ’20 c’è il sorpasso degli abitanti di San Benedetto su Ascoli, e il peso della Riviera in termini di popolazione e quel che ne consegue aumenta. Per paradosso, la rivalità tra le due città, prima che tra le due squadre, si riaccende proprio in questi ultimi anni, quando la Riviera chiede servizi adeguati alla popolazione e Ascoli difende quelli acquisiti, a partire dall’ospedale, proposto a metà strada ma rifiutato dalle due cittadinanze principali.
E tra Samb e Ascoli, invece di placarsi per via di ben quattro decenni senza incontri, la distanza crea a sua volta una frattura maggiore, che probabilmente solo i prossimi incontri potranno stemperare, perché l’attesa motiva la catarsi e soltanto dopo si arriverà alla comprensione che non c’è alcun “giudizio di Dio” da attendere, ma una sana e divertente analisi sportiva, semmai.
San Benedetto accoglie ormai centinaia se non migliaia di ascolani (lo stesso viceversa, con numeri ridotti però) di cui molti insigni rappresentanti politici, economici e culturali della Città delle Cento Torri. Si tratta ormai di una città unica che semmai ha in sé quartieri apparentemente contrapposti e in realtà conviventi in armonia e rispetto, per cui alcune limitazioni ed eccessi di prudenza appaiono stridenti rispetto alla vita di tutti i giorni.
In mezzo, la provincia picena e non solo (il Teramano e il Fermano e il resto delle Marche sono compresi), che si divide, a seconda delle simpatie, delle frequentazioni (o dell’andamento della squadra) fra Ascoli e Samb. Come una scelta obbligata, come una impossibile condivisione.
Paradossale e specchio delle due città e della loro evoluzione storica anche le proprietà delle due squadre. La Samb, si è già detto, per decenni rappresentò un unicum nazionale, con una compagine societaria che arrivò a un numero elevatissimo di soci ma che poi, al trapasso tra la Prima (gloriosa) e Seconda (confusa) Repubblica perde questa sua dote: arriveranno quindi avventurieri di ogni risma, fatte salve poche eccezioni, quasi tutti “forestieri”, e una sequela da record di non iscrizioni e fallimenti. L’Ascoli invece viene sollevata nel suo momento più buio da un mecenate di Montedinove trasferito in Francia, Del Duca, poi trova la figura del mecenate tra le sue mura, Costantino Rozzi, e riesce a mantenere una proprietà locale per decenni, anche dopo il fallimento del 2014 quando viene rilevata dal cavalier Bellini, scomparso poco tempo fa.
Alla vigilia del nuovo derby, però, la situazione si è capovolta: Vittorio Massi, presidente rossoblù, ha compiuto una sorta di seconda fusione cittadina dopo quella del 1923 attraverso il suo ex Porto d’Ascoli, e la città ha risposto con una pluralità di sponsorizzazioni e abbonamenti che costituiscono quasi un auto-sostegno interno cittadino, come ai tempi che furono. Invece l’Ascoli dopo Pulcinelli persegue nella pista romana, anche se il numero uno bianconero, Bernardino Passeri, ha radici di famiglia a Montegallo.
Che sia un per derby e che vinca il migliore. E che il Piceno, finalmente, sia un po’ più unito. Come i due santi protettori delle due città, vissuti nello stesso periodo, quasi un presagio del rapporto tortuoso degli ultimi decenni: Sant’Emidio da Treviri morì nel 303 o nel 309, il 5 agosto, mentre San Benedetto Martire il 13 ottobre del 304.
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