
L’adorazione dei pastori. Particolare della tela del Rubens alla Pinacoteca civica di Fermo
testo e foto di Gabriele Vecchioni
Il 25 dicembre si celebra il Natale, una delle festività più tenaci nel mondo cristiano.
È un evento carico di simbolismo religioso e un’occasione per riunioni familiari; al tempo stesso, è una celebrazione attesa con ansia da commercianti e gerenti di supermercati, per le sue implicazioni economiche.
La storia del Natale è però intessuta di tradizioni pagane, arrangiamenti culturali e delibere ecclesiastiche.
Questo articolo è un breve viaggio alla scoperta delle tappe che, dalle lontane origini, hanno portato questa festa fino ai nostri giorni, una storia che rivela una mescolanza di influssi che, spesso, travalicano le motivazioni religiose.
ORIGINI STORICHE, IL SOLE INVITTO – La nascita di Gesù, figura fondamentale del Cristianesimo, non ha una data precisa nei Vangeli. Nel sec. IV, durante il pontificato di Papa Giulio I (poi santo), venne ufficialmente scelto il 25 dicembre come giorno di Natale.
Il motivo fu prevalentemente politico: la Chiesa volle così fondere diverse pratiche religiose, cooptando le tradizioni pagane, ampiamente diffuse nell’Impero Romano.
La data scelta coincideva con i festeggiamenti dedicati al Sol invictus (Sole Invitto), celebrazioni dedicate al solstizio d’inverno che celebravano la rinascita della luce dopo i giorni con meno ore di illuminazione (solare) dell’anno: il Cristianesimo era ed è una religione che dà grande importanza ai simboli e l’idea di “festeggiare la luce” si accordava del tutto con l’idea di Gesù Cristo come “luce del mondo”.

Saturnalia di Antoine-Francois Callet (1783)
Inoltre, la data era vicina ai Saturnalia, ciclo di feste in onore del dio Saturno che prevedeva banchetti, scambio di doni tra parenti e conoscenti e decorazioni con ghirlande di foglie di sempreverdi, come l’agrifoglio (articolo precedente, leggilo qui).
Queste tradizioni festaiole sono rimaste intatte nell’attuale visione laica del Natale.
La cooptazione delle festività pagane offrì alla Chiesa il progetto sociale per integrare la popolazione in maniera soft, senza imporre radicali lacerazioni culturali.
Nello stesso periodo, il Cristianesimo ebbe il riconoscimento politico grazie a imperatori come Costantino I (che legalizzò la religione cristiana, con l’Editto di Milano del 313) e Teodosio I (che impose il Cristianesimo come religione ufficiale, nel 380). A questo punto, il Natale diventò una delle date liturgiche fondamentali e uno strumento importante di aggregazione culturale dell’Impero.

Presepe ricavato da una piccola zucca, tipico prodotto artigianale sudamericano
IL RACCONTO EVANGELICO, IL CONTESTO STORICO – Il vangelo di Luca racconta la nascita di Gesù in una umile dimora, con i pastori come testimoni dell’evento.
Proprio dalla presenza dei pastori nasce la prima contestazione della data del 25 dicembre. A Betlemme, luogo dell’evento, il clima di dicembre è rigido, con frequenti nevicate: questo rende poco credibile lo scenario proposto dei pastori che dormivano all’addiaccio («pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge (Lc 2,8)»). Più probabile che la nascita di Gesù sia avvenuta in primavera o d’estate, in uno spazio temporale compreso tra aprile e settembre.
Nei primi secoli del Cristianesimo, la devozione dei fedeli era focalizzata sulla morte e resurrezione di Cristo, e la sua nascita non era celebrata.
Solo più tardi, sotto i già citati Costantino I e Tedosio I (sec. IV), quando la presenza del Cristianesimo nella società si consolidò, il Natale diventò una data liturgica importante.

Istituzione del presepe a Greccio (Giotto di Bondone (sec. XIII, affresco nella Basilica superiore di Assisi)
SAN FRANCESCO E IL PRESEPE – Il presepe è la rappresentazione scenografica della nascita di Gesù Cristo, derivata da tradizioni medievali.
La descrizione dell’evento è assente nei vangeli di Marco e Giovanni e presente solo negli altri due (Luca e Matteo), Mentre in Matteo si parla di presagi esoterici (la stella, i Magi) e Gesù Bambino viene collocato in una casa e non in una stalla o in una grotta, in Luca l’ambientazione è più scenografica (la mangiatoia, i pastori, gli angeli).
Nei vangeli apocrifi (in particolare in quello denominato Pseudo-Matteo), la raffigurazione si arricchisce di particolari (il bue, l’asino) e viene ribadita la condizione di verginità della Madre, prima e dopo il parto.

L’affresco nella Grotta del presepe, a Greccio
Nell’anno 1223, San Francesco d’Assisi introdusse una tradizione che rivoluzionò il modo di commemorare il Natale: il “presepe vivente” che enfatizzava l’umiltà e l’umanità dell’avvenimento.
Sebbene esistessero già raffigurazioni della nascita di Cristo (una risalente addirittura al sec. III) queste non erano sacre rappresentazioni delle liturgie medievali e non potevano essere realizzate in chiesa. Francesco “chiese il permesso” di celebrare questa rappresentazione popolare a Onorio III (il papa che aveva approvato, pochi mesi prima, la Regola francescana) che concesse di officiare una messa all’aperto.
In realtà, la rappresentazione organizzata da Francesco non si può ancora considerare un presepe, almeno come lo intendiamo oggi. Mancavano, infatti, i protagonisti principali: la Vergine, San Giuseppe e Gesù Bambino; nella piccola grotta (ancora visitabile a Greccio) dove era stata allestita la scena erano presenti solo due animali, un bue e un asino, ai lati di una rustica mangiatoia sulla quale era stata deposta della paglia.
Ecco come Tommaso da Celano, compagno e biografo del Santo, descrive brevemente la scena: «Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino, Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme».
L’impatto emotivo e sociale di questo primo presepe fu enorme: in tutta Europa cominciarono ad apparire rappresentazioni che coniugavano la fede religiosa nell’evento prodigioso con le raffigurazioni artistiche, mediate dalle diverse sensibilità degli autori.
Una delle manifestazioni popolari più pregnanti, tuttora in essere, fu quella del presepe napoletano, una rappresentazione che unisce, fin dal sec. XVIII, arte e cultura popolare e sulla quale si basano i presepi moderni. Oltre ai personaggi biblici, il presepe napoletano integrò nella raffigurazione scene di vita quotidiana e così, intorno alla capanna/grotta della Natività apparvero case, contadini, mercanti e artigiani in scene di colore.
L’ “inventore” del presepe napoletano fu San Gaetano da Thiene (secc. XV-XVI), compatrono della città partenopea (in realtà, Napoli ha ben 56 santi patroni! Uno di essi è il marchigiano San Giacomo della Marca), che voleva mettere in evidenza il legame tra divino e umano; la tradizione si sviluppò, grazie anche al favore di Carlo III di Borbone (sec. XVIII) e il presepe si trasformò in uno strumento per preservare le tradizioni locali.
A Napoli c’è una strada, dedicata a San Gregorio Armeno (altro protettore della città) dove sono ubicate le botteghe degli artigiani che si dedicano all’arte presepiale: è possibile trovare, oltre alle rappresentazioni classiche, anche statuine di personaggi contemporanei come calciatori, cantanti, politici (è in vendita anche l’effigie presepiale di Trump!).

Uno dei simboli del Natale l’albero addobbato
IL NATALE OGGI – Il Natale conserva, oggi, molti dei suoi simboli tradizionali come il presepe, l’albero decorato (al quale Cronache Picene ha dedicato un articolo, leggilo qui) e l’occasione per riunioni amichevoli.

Santa Claus sulla slitta trainata dalle renne (AI)
Però… la presenza di lustrini e di regali (l’aspetto commerciale, cioè) oscura parzialmente il significato religioso della festa. Nei centri commerciali (e non solo) c’è, infatti, l’immancabile figura di Babbo Natale, traduzione dal francese Père Noël, spesso con la slitta e le renne, strumenti e animali a noi ignoti fino a pochi decenni fa.

A sx, San Nicola (Francesco Lazzaro Guardi, sec. XVIII); a dx, Santa Claus (AI)
Una breve digressione sulla figura di Babbo Natale. Abbiamo detto che è una figura “nuova” ma è vero solo in parte, in realtà il personaggio di Babbo Natale è il Santa Claus americano (Santa nella sua forma abbreviata), un nome derivato da quello di San Nicola (Saint Nicholas), vescovo cristiano dell’Asia Minore (e patrono della città di Bari) del quale si tramanda l’episodio del dono di tre sfere d’oro a delle povere orfane (ecco perché porta doni ai bambini).
Il colore rosso acceso del suo costume rimanda al manto episcopale. Quindi possiamo sovranisticamente dichiarare che la figura di Santa Claus è, in realtà, una restituzione culturale.
Per evidenziare l’avvenuta secolarizzazione (o, meglio, commercializzazione) delle feste natalizie basta notare che sempre più spesso si ricorre all’augurio di “Buone Feste” invece del “Buon Natale” per evitare che i non-cristiani siano emotivamente turbati (!) dall’augurio.

Presepe essenziale (chiesa di Sant’Agostino, a Grottammare)
CONCLUSIONI – Nonostante la commercializzazione dell’evento, la festa di Natale è una festa religiosa e dovrebbe essere un momento di riflessione e di unione: al di là dell’aspetto liturgico costituito dalla messa di mezzanotte e dal canto corale del Gloria, essa ricorda la nascita di Gesù Cristo e la speranza di un mondo più giusto, in una cornice di fratellanza universale.
Dal punto di vista antropologico (o sociologico… non sono un esperto), il Natale mostra la capacità dell’uomo di adattarsi agli eventi, di (re)inventarsi tradizioni e tramandarle nel tempo, mescolando aspetti religiosi (la liturgia) e sociali (le riunioni familiari, gli auguri). Tra le figure-simbolo del Natale spicca il presepe, immagine di umiltà e di umanità.
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