Nel riquadro, il dottor Remo Di Matteo
di Maria Nerina Galiè
Nel reparto Ortopedia del “Madonna del Soccorso” di San Benedettodall’1 gennaio a fine settembre, in piena pandemia, con la sala operatoria a disposizione solo tre mattine alla settimana e 12 posti letto, sono stati effettuati 643 interventi.
«Con questi mezzi – afferma il primario Remo di Matteo, alla guida del reparto dal 1 dicembre2020, come vincitore del concorso per il ruolo quinquennale – è stata affrontata un’altra estate, in una località balneare dove la popolazione aumenta in maniera vertiginosa».
Il reparto condivide i suoi spazi con Chirurgia (pure 12 posti letto) e Otorinolaringoiatria (4): «A breve sembra che avremo più posti letto per Ortopedia. Sarà separata da Chirurgia e Otorinolaringoiatria che invece rimarranno insieme».
Al suo arrivo, il dottor Di Matteo ha trovato un reparto con 8 posti letto. «Da marzo 2021 sono diventati 12. Ma le altre Ortopedie delle Marche – riferisce – ne hanno in media il 40% in più», sottolinea il primario che però, più che spinto dalla vena polemica, ha voglia di guardare avanti.
Auspica un reparto «con personale e posti letto adeguati al bacino d’utenza reale. La rivisitazione del concetto di ospitalità, una gestione definita del post acuzie».
Accoglienza e ospitalità per il direttore di Ortopedia del “Madonna del Soccorso” non sono concetti scontati: «Si tratta di migliorare la qualità percepita dell’utente, ma anche di agevolare e rendere più rapido l’accesso alle cure. Non dico che dobbiamo offrire un hotel a 5 stelle. Ma quando arrivano 10 pazienti, con tutti gli esami pronti per l’intervento programmato, non possono rimanere ore in attesa in un corridoio di 20 metri, oltretutto in comune con il reparto di Chirurgia e Otorino. Sento tante lamentele, che però spesso mi trovo a condividere».
Come si risolve?
«Con un po’ di organizzazione, che si otterrebbe dando maggiore autonomia ai direttori di reparto. Ma questo non avviene orami da un quindicina d’anni».
Torniamo all’estate appena terminata: la richiesta di interventi di ortopedia aumenta, di pari passo con la popolazione, ma anche della mobilità.
«Cresce il numero di traumi per cadute da scooter, bici o monopattino, giochi e attività sportive di vario genere. E continuano le fratture, come quelle del femore che colpiscono prevalentemente gli anziani. Alcuni di questi casi richiedono il ricovero. Per altri interventi, definiti urgenti differibili, il paziente viene dimesso e torna appositamente dopo qualche giorno. Otto, dieci giorni in media, ma siamo arrivati anche a differire di 15 giorni».
Uno dei motivi è l’utilizzo contingentato della sala operatoria.
«L’abbiamo a disposizione per tre mattine alla settimana. Spesso non basta ed allora c’è la “stanza delle urgenze”. Ma ci si deve mettere in coda perché è a disposizione di tutti i reparti ed ovviamente si segue l’ordine di priorità».
Dei 643 interventi effettuati dal reparto Ortopedia dell’ospedale della Riviera, 63 sono stati per protesi d’anca, 24 per protesi al ginocchio e 25 per ricostruzione del crociato: «Numeri importanti rispetto a prima – precisa l’ortopedico – ma è chiaro che, in una situazione come questa, resta ben poco spazio per la chirurgia elettiva. Quindi capita che i pazienti scelgano di operarsi altrove».
Il dottor Remo di Matteo immagina una struttura con «percorsi assistenziali post operatori. Faccio un esempio: a San Benedetto vengono fatti circa 230 interventi l’anno per fratture di femore a over 75.
Ormai, soprattutto in città o nelle zone costiere, non ci sono più le famiglie allargate. E spesso questi anziani non hanno dove andare subito dopo l’operazione. Molti vivono soli o con il coniuge altrettanto anziano, non in grado di fornire un’adeguata assistenza. Sarebbe invece auspicabile programmare il post intervento, in strutture di lungodegenza e riabilitazione».
Di Matteo, 43 anni, arriva dal Maceratese. Specializzatosi all’università di Chieti è approdato nel 2006 all’ospedale di Macerata. Nel 2017 è diventato primario del reparto Ortopedia di Camerino, dove è rimasto per tre anni. E’ lui a dire cosa lo ha portato in Riviera.
«Sono di San Benedetto. La mia famiglia è qui. Avanti e indietro, ogni giorno, stava diventando pesante. Ogni anno percorrevo 50.000 chilometri. Alla fine mi sono detto – le sue parole sono un po’ scherzose, un po’ no – penare per penare, meglio farlo a casa».
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