Il tavolo dei relatori: da sinistra Edmondo Bruti Liberati, Franco Elisei, Carlo Melzi D’Eril e Marco Tarquinio durante l’intervento di Glauco Giostra
“Presunzione di innocenza: legge bavaglio o argine alla giustizia-spettacolo?”. Su questo tema, reso quanto mai attuale dall’approvazione a dicembre del decreto legislativo noto come “Cartabia” si sono interrogati ieri a Fermo, nella Sala dei Ritratti di Palazzo dei Priori, illustri giuristi, avvocati e giornalisti.
Glauco Giostra
Il decreto vuole impedire che la persona sottoposta a indagini o imputata venga indicata pubblicamente come colpevole. Ma la declinazione normativa con cui si intende perseguire questo obbiettivo suscita più di una perplessità. Innanzitutto, il divieto riguarda sole le autorità pubbliche, mentre non ci sono riferimenti a giornalisti, avvocati o altri soggetti privati. Inoltre, assegna alla sola autorità giudiziaria il potere di divulgare, con comunicati o conferenze stampa, notizie sui procedimenti in corso. A rigore, dunque, sarebbe l’organo controllato a decidere quando e cosa far conoscere del proprio operato all’organo controllante – la collettività – attraverso i media.
Franco Elisei
Davanti ad una platea di addetti ai lavori (in presenza e online), dopo il saluto del sindaco di Fermo Paolo Calcinaro e la lettura di Teresa Valiani, consigliera dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, di un messaggio contro la guerra in Ucraina, ha aperto i lavori Glauco Giostra, ordinario di diritto processuale penale alla Sapienza, che ha definito l’intervento del legislatore «opportuno ma non efficace».
E’ intervenuto poi Edmondo Bruti Liberati, ex capo della Procura di Milano il quale ha sottolineato: «Fondamentale è la deontologia sia degli operatori di giustizia che di quelli dell’informazione».
Edmondo Bruti Liberati
A seguire Franco Elisei, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche: «La presunzione di innocenza per i giornalisti esiste già da tempo e c’è anche un Consiglio di disciplina che ne controlla l’applicazione. L’informazione non si ferma, se trova un muro troverà anche il modo di passare altrove».
Poi la parola è passata all’avvocato Carlo Melzi D’Eril, direttore della rivista “MediaLaws” che ha suggerito di «consentire ai giornalisti gli accessi agli atti farebbe venir fuori chi è capace».
Infine Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”: «Ci sono carne e umanità dietro ciò che scriviamo, dobbiamo sempre tenerlo ben presente».
(Redazione Cm)
Marco Tarquinio
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