di Luca Capponi
(video di Giandomenico Lupi)
Moreno Argentin. Uno dei miti del ciclismo. Campione del mondo 1986, in quel di Colorado Springs. Quattro Liegi-Bastogne-Liegi (più di lui, cinque, ne ha vinte solo Eddy Merckx), tre Freccia Vallone, tredici tappe al Giro, due al Tour, due volte campione italiano. Impossibile riassumere tutte le vittorie.
Argentin in corsa
«Nel suo palmares ci sono numeri da far rabbrividire. Da piccolo andavo in giro con la sua maglietta Gewiss-Bianchi» conferma l’assessore regionale Guido Castelli ricordando i titoli conseguiti nell’arco di una carriera partita nel 1980 e conclusasi a metà degli anni ’90.
L’occasione (ghiotta) di confrontarsi con uno dei campioni più amati delle due ruote, da quattro anni organizzatore della corsa professionistica Adriatica Ionica Race, è data dal sopralluogo che Argentin ha operato ad Ascoli per intavolare una collaborazione importante proprio con la Regione.
«Vogliamo affiancare le Regioni promozione dei territori -conferma il campione veneto-. Per farlo, utilizziamo l’attività sportiva dei professionisti, che è in grado di attrarre i media. Ovviamente senza perdere di vista l’aspetto tecnico e sportivo degli atleti che partecipano».
Pungolato da Castelli, all’interno delle sale dell’Hotel Villa Pigna, Argentin ha poi svelato aneddoti interessanti sulla sua lunga attività ciclistica. In primis, quale nel poker delle Liegi-Bastogne-Liegi sia la sua prediletta.
«Le Liegi vinte sono tutte belle, non riesco a sceglierne una -racconta-. Tutti ricordano quella in cui raggiunsi Roche e Criquelion negli ultimi duecento metri (era il 1987, ndr). Ormai ero spacciato, erano convinti di avermi tagliato fuori dalla partita perchè in passato li avevo sempre battuti. Fortunatamente all’epoca non c’erano le radioline altrimenti li avrebbero avvisati, quindi sono arrivato quasi come un falco negli ultimi metri e li ho saltati d’istinto. Nei metri finali mi scattava sempre non so che cosa, raddoppiavo le forze e riuscivo a finalizzare il risultato. Poi ci sono tante altre belle corse, ovviamente, diciamo che ho fatto la mia carriera, sono soddisfatto, non la cambierei con nessun altra».
Tra i racconti non può ovviamente mancare quello della vittoria iridata in Colorado, dove arrivò davanti a Charly Mottet e Giuseppe Saronni.
L’assessore Castelli con Argentin
«Anche al Mondiale fu una cosa particolare -continua Argentin-. Venivo da due stagioni in cui avevo tentato di vincerlo ma non ci ero mai riuscito, ciò nonostante il ct Martini mi avesse sempre spronato. Venivo poi da una caduta che mi aveva dato problemi ad una clavicola. Quindi non pensavo di riuscire a prepararmi adeguatamente. I miei compagni però evidentemente vedevano in me la gamba giusta, quella forza che mi poteva permettere di vincere il mondiale. Andai semplicemente in fuga. Ai tempi avevamo nazionali con molti avversari italiani forti, i vari Saronni, Moser, Visentini, quindi la concorrenza ce l’avevamo in casa, adesso è un po’ diverso. L’unica chance era anticiparli, per questo andai via d’istinto, a 70 chilometri dall’arrivo, con un gruppo di dieci componenti misti di varie nazioni, pensando che fosse la fuga giusta. Riuscii piani piano a staccarli tutti fino a rimanere solo con Mottet, che battei all’arrivo. Il segreto è stato l’azzardo di provarci e costringere i miei compagni forti a proteggermi. Certo, dovevo dimostrare di saper stare davanti, che è quello che per fortuna sono riuscito a fare».
«L’avversario più ostico? Sicuramente Sean Kelly, che mi batté alla Sanremo del 1992, un “cagnaccio” di quelli che non morivano mai, era meglio non averlo alle costole, quando era lì nei finali era difficile da superare -spiega-. Non mollava mai fino a dopo la riga dell’arrivo, questa è una caratteristica dei corridori top, che finché hanno una goccia di energia la spendono: lui era uno di quelli».
E a proposito di campioni, impossibile non chiedere un parere sul nuovo fenomeno del ciclismo su strada, il 23enne sloveno Tadej Pogačar.
«È forte, ha sicuramente qualche marcia in più rispetto agli avversari -conclude Argentin- All’ultima Milano-Sanremo ha probabilmente sbagliato come feci io, scattando tre volte sul Poggio e perdendo smalto. Mohorič è stato più furbo. Per questo trovo un po’ azzardati i paragoni con Merckx, che di Sanremo ne ha vinte sette ed è comunque riuscito a staccare gli avversari in una gara che è la più facile dal punto di vista altimetrico ma la più difficile da interpretare».
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