Simone Ferri (foto Facebook)
di Maria Nerina Galiè
Per Simone Ferri, il ragazzo di 22 anni precipitato dal tetto di un capannone a Monsampolo, è arrivato il tempo di riposare in pace. Il suo corpo è stato restituito alla famiglia, sabato pomeriggio, e ieri mattina, 30 maggio, per lui l’ultimo saluto nel cimitero di Castel di Lama, nel modo che lui stesso aveva scelto.
Tantissimi gli amici che hanno voluto rendergli omaggio, sia nella Casa Funeraria Damiani, dove era stata allestita la camera ardente, che a Castel di Lama, teatro di un commovente commiato, fatto di palloncini, fumogeni, commozione e incredulità, per una morte così prematura e assurda.
Per la giustizia invece continua il tempo di andare avanti, per capire le cause dell’incidente, se si poteva evitare ed individuare eventuali responsabili. Uno solo lo scopo della famiglia che, stretta nel dolore, si affida alle indagini: «Fare in modo che quanto accaduto a Simone non si possa mai più ripetere», sono le parole dell’avvocato Autilia Cavezza di Castel di Lama, nominata dalla famiglia per seguire le delicate fasi delle indagini.
Per il momento c’è un solo indagato, il responsabile della sicurezza dell’azienda che produce profilati in alluminio. Si tratta di un atto dovuto. A difenderlo è l’avvocato Mauro Gionni di Ascoli.
C’è tanto da lavorare per arrivare a determinare cause ed eventuali responsabilità. La Procura si sta muovendo su tutti i fronti. Sul campo, i Vigili del fuoco, i Carabinieri della Compagnia di San Benedetto e della stazione di Monsampolo e gli esperti del Servizio prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro (Spsal) dell’Area Vasta 5.
Poche le certezze per adesso. L’approfondita ispezione cadaverica, ma non poteva essere altrimenti, ha confermato che il ragazzo è morto per le lesioni riportate dalla caduta da quasi 10 metri di altezza.
Resta il dubbio sui motivi che hanno portato Simone a salire sul tetto. C’entra, sembra confermato, il recupero di un telefonino. Ma non basta a chiudere il cerchio.
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