Il limite mai netto tra la materia, la carne, la costrizione e la liberazione, il volo, l’infinito. Nelle immagini di un maestro, Mario Giacomelli, che in una superba location si trova a dialogare con l’anima affine di un artista come Osvaldo Licini. Proprio negli spazzi della Galleria d’Arte Contemporanea a quest’ultimo dedicata, dal 15 settembre al 6 gennaio, verrà esposta una trentina di opere di quello che è considerato uno dei più grandi fotografi del ventesimo secolo, nato a Senigallia nel 1915 e lì scomparso ormai 18 anni or sono.
Mario Giacomelli
In mostra le vintages del tipico formato 30×40 si alternano alle gigantografie dei paesaggi, passando per i provini di stampa come porta aperta sul mondo alchemico di Giacomelli, il quale forgiava il reale sotto l’azione degli acidi in camera oscura, lasciando emanare poesia dalle geometrie del reale, facendosi tutt’uno con esso. Il connubio tra anima e corpo, interiorità e mondo, è espresso in modo estremamente concreto eppur immaginifico dalle parole dell’artista, che riecheggiano in mostra.
Nelle sale della galleria Giacomelli è in dialogo libero con il suo “compagno di poesia” Licini: nello spaesamento, come piaceva a entrambi, nell’abbandono di ogni rassicurante ultima definizione, nella scelta artistica ed esistenziale di avviarsi verso una verticalizzazione vertiginosa che rompe i riferimenti cardinali e la prospettiva delle cose. Essenzializzare tutto: bruciare con i bianchi il superfluo, chiudere i neri per accendere l’incognita di un brulichio sotterraneo. Verticalizzare, per l’Infinito. Un infinito instabile e irrequieto, poiché non c’è strada già segnata, ma un filo teso sull’abisso. Un infinito di memoria leopardiana, tanto caro a Giacomelli e a Licini, che deve partire dalla terra, dalla costrizione, dal limite, dalla materia, per arrivare alla sacralità della liberazione.
E allora i paesaggi esposti sono quelli più materici e graffiati di Presa di coscienza sulla natura (degli anni ’80); e i ferri attorcigliati della serie Favola, verso possibili significati interiori (1983/84), accavallati gli uni sugli altri tra pezzi di cemento di un fabbricato industriale in distruzione, sono i segni di contorsioni cosmiche alla ricerca di una definitiva espansione. E le figure imponentemente dinamiche e indecifrabili, incontenibili, della serie Bando (1997/99), ispirata all’omonima poesia di Sergio Corazzini, sono le parole buttate là al primo che passa, amaramente messe al bando, perché esse corrono tra i crinali dell’ineffabile e restano sempre o troppo indietro o troppo avanti per poter riuscire ad acchiappare definitivamente l’essenza delle cose.
In mostra la figura umana non compare (a parte l’apparizione fugace quasi impercettibile dell’ombra dell’artista riflessa su un frammento di specchio tra i calcestruzzi). Ma eppure l’umanità esiste, vi insiste anzi, nella materia vibrante, e nella terra che si fa corpo. Ogni foto è la carne dell’Uomo.
In mostra anche la fotografia iconica della serie L’infinito (1986/88), ispirata alla poesia di Giacomo Leopardi, che l’Archivio Mario Giacomelli – Rita Giacomelli è onorato di donare in questa felice occasione alla Galleria d’Arte Contemporanea “Osvaldo Licini”, per la sua collezione d’arte permanente.
L’evento è curato da Katiuscia Biondi, direttore artistico dell’archivio Giacomelli, con il patrocinio e il contributo del comune di Ascoli. L’organizzazione è targata
Musei Civici, in collaborazione con le cooperative Integra Servizi e il Picchio e l’associazione Arte Contemporanea Picena.
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