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Fido, il cane simbolo di Astorara
Storie di terremoto e di neve
Foto e video

MONTEGALLO - Dall'animale che ha resistito cinque giorni senza cibo al coreano che, tornato in vacanza la scorsa estate, non sapeva nulla del sisma: «Perché non c'è nessuno in giro?»
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Il vicesindaco Pignoloni ricorda alcune fasi dell'emergenza neve

di Luca Capponi

(foto e video di Andrea Vagnoni)

Cinque giorni di isolamento completo, tra scosse e freddo. Senza cibo. Intorno, neve alta quasi tre metri, a coprire tutto il resto. Eppure il cane Fido ha resistito. Lo hanno ritrovato e salvato i mezzi di emergenza, lo scorso gennaio, durante l’incredibile nevicata cui seguirono anche alcune forti scosse di terremoto. Si trovava in una piccola frazione di Montegallo, Astorara, ed in breve è divenuto, anche lui, un simbolo. Lui come tanti. Uomini e animali, che in montagna vivono in ancestrale simbiosi.

Il mitico Fido attorniato dai bambini

Oggi, lungo la stessa strada che conduce ad Astorara e che attraversa anche le frazioni di Collefratta, Colleluce, Casale Nuovo, Colle e Interprete, l’inverno si fa ben sentire. La montagna, dall’alto, domina coi suoi canaloni innevati, da sempre letali in materia di frane e soprattutto valanghe, tanto che, spesso, nella stagione invernale il primo tratto della strada resta chiuso. «Bisogna stare attenti pure quando piove, occorrerebbe mettere dei cartelli, spesso i camminatori si avventurano quassù, ma col maltempo non è proprio il caso» spiega il pastore Sabatino, guardiano silenzioso di questi magnifici luoghi. «Ho perso una capra, la cerco da stamattina, non la trovo più…» dice preoccupato prima di andarsene.

Il pastore Sabatino

Poco più in là c’era la casa di Casale Vecchio, l’unica del paese che restò in piedi dopo la devastante valanga del 1934 e dove accadde un vero e proprio miracolo: quasi tutti gli abitanti si salvarono perché si trovavano lì a vegliare una bambina scomparsa qualche ora prima. «Ancora oggi le valanghe quando scendono non la sfiorano nemmeno», raccontano gli anziani. A darle il colpo di grazia, però, ci ha pensato il terremoto. La vecchia casa ora è solo un ammasso di pietre.

Le macerie di Colle

Simboli che resistono, simboli che cedono. La Storia questo insegna. E la Storia accavalla storie in una terra disgraziata. Come quella del rifugio Sottovento di Colle, inaugurato il 17 luglio 2016. Dopo un mese la scossa di agosto, dopo tre la botta di ottobre. Oggi a Colle non c’è più nulla. E nelle altre frazioni si latita, si rischia, si barcolla. Ma nessuno si arrende, tra zone rosse e paesaggi spettrali. Gente che magari viene solo per dare un’occhiata, per andare al cimitero, per respirare l’aria di prima. Consapevole che l’inverno è la stagione peggiore da affrontare. La scorsa estate, infatti, nel montegallese si sono rivisti anche i turisti, persino stranieri. Niente di paragonabile ai numeri pre-sisma, per carità, ma c’erano. E c’era anche un coreano, tornato qui senza sapere: «Perché non c’è nessuno in giro?». Non è dato conoscere in quale lingua sia stata formulata la domanda. Certo è che lo stupore del turista non deve essere stato poco quando gli è stato risposto che a cambiare le cose ci aveva pensato un destino, quello sì, ignoto e ignobile. Un destino a cui non ci si sottrae. Ma cui non si deve soccombere.

Il rudere di Casale Vecchio

Lo sanno bene Federico Rossi e Nicoletta Scopa entrambi bolognesi, ideatori di “Un fiore per Montegallo”. Anche loro a pochi mesi dal terremoto iniziarono a lavorare, ma all’idea di realizzare una piantagione di lavanda nei Sibillini. Obiettivo che non è sfumato (andare sul sito www.lavandadeisibillini.it per credere) e che dona al loro progetto tutto un altro valore. Quello di chi non si dà per vinto.

 

 

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