La dea dei cinema perduti

ASCOLI - Un viaggio nel tempo alla riscoperta dei luoghi che hanno segnato la storia della città e degli ascolani, alcuni dei quali sconosciuti alle nuove generazioni
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di Giulia Civita *

Sono sicura che ognuno di noi potrebbe raccontare di un film che gli abbia segnato la vita, un film con un messaggio e delle suggestioni che rimarranno dentro il cuore per sempre. Per me è stato “La Dea della città perduta”, lo vidi da bambina, un  pomeriggio di tanti anni, fa al Supercinema di Ascoli Piceno. Prima di parlare del film, mi piacerebbe però raccontare qualcosa del caro, vecchio Supercinema e di tutte le sale cinematografiche che hanno animato la vita culturale e mondana della nostra città, come pure la fantasia di noi spettatori.

Giulia Civita

Cominciamo col rivelare un fatto poco noto e sorprendente: a Roma, il primo cinematografo fu inaugurato l’11 marzo 1896 e soltanto un anno dopo ad Ascoli già si facevano dimostrazioni pubbliche di questa “fantasmagorica danza di ombre in movimento”. Tali proiezioni avvenivano nell’atrio del “Ventidio Basso” sotto la direzione del signor Augusto Leoni, un vero e proprio precursore di questa forma artistica appena nata ma già popolare. Tuttavia per godersi lo spettacolo più comodamente, dentro una vera e propria sala, si dovette aspettare ancora qualche anno, quando i fratelli Giuseppe e Giacomo Angelini  ne  aprirono una in fondo a via del Trivio: il locale si chiamava Edison e venne inaugurato il 12 marzo 1908 e, come riportava La Sveglia, un giornale dell’epoca, “Il locale appare vasto ed elegante, con due ordini di palchi, sala d’aspetto, buffet, ed è fornito di otto ventilatori e porte di sicurezza”. Stando quindi alle cronache del tempo potremmo quasi azzardare che quel lontano cinema fosse a norma di legge anche secondo gli standard odierni.

L’edificio, oggi ristrutturato, che per anni ha ospitato il cinema Olimpia

Poco dopo fu aperta un’altra sala cinematografica sotto i portici di Piazza del Popolo, l’Alhambra. Alla sua realizzazione contribuirono artisti come Romolo del Gobbo e Adelino Giorgi e divenne ben presto un ritrovo d’élite, frequentato per lo più da donne eleganti e raffinati dandy. Il primo locale, l’Edison, chiuse probabilmente nel  1911, dell’Alhambra invece le cronache ne parlano almeno fino al 1912 quando una nuova sala si aggiunse alle altre, arricchendo l’offerta cinematografica cittadina: il Filarmonici. Nato come teatro nel 1831 grazie alla volontà dell’impresario Pomponi, cominciò anche una produzione cinematografica con il film: “Il paese delle tenebre” affiancato ad una rassegna di brevi documentari sulla guerra italo-turca. Il Filarmonici poi, nel corso degli anni, fu dato in affitto a vari impresari, fino alla chiusura definitiva che avvenne nel 1990.

Come appare oggi la struttura che un tempo ospitava il Supercinema

Tornando indietro nel tempo bisogna ricordare il 17 maggio1914 quando, nei locali all’angolo di via del Trivio e via Ottaviano Jannella, venne aperto il locale più elegante della città, il cinema Roma, chiamato così perché si  affacciava su Piazza Montanara, oggi Piazza Roma. Più avanti, nel 1915, in via Trieste, in un edificio di nuova costruzione, ci fu poi l’apertura di un’altra sala per spettacoli cinematografici e teatrali “L’Olimpia” che rimase attivo fino al 1984 e che oggi, completamente restaurato, è adibito a sala convegni. Dell’edifico di allora ci rimane soprattutto la scritta “Carpe diem”, l’antico monito di Orazio che rimarrà sempre valido nei secoli dei secoli. C’era poi, come detto all’inizio, il Ventidio Basso, aperto il 18 novembre 1846 per ospitare spettacoli lirici, teatrali e di varietà e che divenne anche cinema il 20 dicembre 1924. Dopo il Ventidio aprirono il Supercinema, il Piceno e il Cinema Roma a Campo Parignano in una sala della Gil. Eccoci quindi tornati al Supercinema, che era la sala posta in via delle Torri dove io abitavo e il cui ingresso vedevo dalla finestra di casa. Un luogo per certi versi magico il quale, a noi bimbi degli anni 50 e 60, che conoscevamo solo le grigie pietre delle ruette e nessuno vero svago, ci diede la possibilità di viaggiare con la fantasia facendoci conoscere personaggi, realtà e paesaggi  che non avremmo mai immaginato. Il cinema: il  primo  maestro che ci abbia davvero riscattato dalle piccolezze e dalle angustie in cui vivevamo noi giovani ed ingenue creature, padrone solo delle vesti e di un grande cuore.

Il Teatro Ventidio Basso, un tempo anche sala cinematografica

Il Supercinema, proprietà della famiglia Merli, aprì nel 1935: era un ampio locale con  1.500 posti a sedere, galleria inclusa; c’era un grande ingresso con biglietteria e bar, e la sala poteva vantare un enorme schermo che, volendo, poteva essere tolto lasciando il posto ad un palcoscenico capace di ospitare spettacoli teatrali. I film più belli, i capolavori del cinema come  Ben Hur, Il Re dei Re o i anche i primi film “trasgressivi” in odore di scandalo (ricordo quelli di Chaterine Spak!) passarono tutti al Supercinema. Fondamentali erano poi i “quadri” che pubblicizzavano i film: opere d’arte che, attraverso poetiche illustrazioni, erano capaci di svelare il segreto di ogni trama, anche di quelle apparentemente più incredibili. Il locale divenne subito uno dei più frequentati dagli ascolani, anche perché vi si tenevano spettacoli di varietà e molto pubblico maschile accorreva per vedere le invitanti ballerine, sempre procaci e sempre sfuggenti. Scrive Arnaldo Marcolini nel suo libro “Caro Sergio”: “Quante volte, dopo lo spettacolo si rimaneva davanti al Supercinema, ad aspettare le ballerine per vederle da vicino. Solo per vederle, perché non avevamo i soldi per invitarle”. Celebri sono rimasti tanti spettacoli teatrali dove si sono esibiti grandi artisti, ricordo in particolare Mariangela Melato in una sublime interpretazione di Medea. Questo era il Supercinema, l’ultimo vecchio cinema cittadino, l’ultima sala vecchio stampo, quando si poteva entrare il primo pomeriggio sotto la luce del sole, sedersi dove più piaceva e vedere e rivedere il film fino allo sfinimento, tornando poi a casa, stanchi e sorridenti, accompagnati dai raggi della luna.

L’ex cinema Roma, oggi Multisala Odeon

Qualche anno dopo sono arrivate le multisale con i posti a sedere rigorosamente assegnati, i voraci masticatori di pop corn e in questo modo gran parte della magia della sala buia è sparita, quasi come un coniglio che corra a rintanarsi dentro il cilindro del prestigiatore. Alla fine di questo percorso storico eccoci di nuovo a “La dea della città perduta”, il film della mia infanzia. La pellicola è del 1965 ed è tratta da un romanzo di  Henry Rider Haggard intitolato “Lei o la donna eterna”. La storia è ambientata in Africa nell’800 e racconta di un esploratore e di una regina di una civiltà nascosta e misteriosa, il loro incontro e la tragica ma indimenticabile storia d’amore che li vede protagonisti e vittime. La regina si chiama Ayesha (interpretata da una sfolgorante Ursula Andress), mentre l’uomo è Holly (impersonato da Cristopher Lee, il più famoso Dracula cinematografico della storia). Ayesa possedeva il dono dell’immortalità e di una conseguente giovinezza e bellezza eterne, impossibile per Leo non cadere ai suoi piedi, allo stesso modo la Regina si innamora perché rivede in quell’uomo un amore vissuto secoli prima.

L’ex cinema Filarmonici

Come tutti i grandi amori che si rispettino anche questo non finisce bene: nel finale, al momento di diventare entrambi eterni ed eternamente innamorati, questo grazie al rito del passaggio attraverso le fiamme sacre di una divinità, succede un qualcosa che trasformerà l’atteso lieto fine in una tragedia senza redenzione. Lo scrittore Henry Miller, nella prefazione del libro di Haggard, definisce Ayesa una donna “più che reale: è super reale, disincarnata e insieme reincarnata, appartiene agli elementi eterni”, e poi aggiunge “Il capitolo in cui Ayesa si consuma nella fiamma della vita – uno straordinario pezzo di scrittura – è impresso a fuoco nel mio essere. E’ stato proprio in virtù di questo tremendo, lacerante avvenimento, che il libro è rimasto dentro di me per tutti questi anni. Nel breve spazio in cui Haggard descrive la morte di Lei, si passa attraverso l’intera gamma dell’esistenza”.

Il cinema Piceno, oggi Multisala

I temi di questo libro, come pure del film, sono più che mai attuali: il mito della giovinezza, la fiamma come una sorta di moderno laser che rende eterni, che cura e rigenera i tessuti, l’illusione della bellezza perenne, il sentimento d’amore che salva ma al contempo condanna, ed infine l’idea della vecchiaia e lo spettro della morte. Allo stesso modo la Regina, che nel film appare cattiva perché punisce i suoi schiavi in maniera cruenta, evoca e ricorda la donna di oggi che ancora e sempre deve difendersi perché troppo spesso considerata inferiore, maltrattata, violentata. Personalmente non ho mai dimenticato quel film, quei cinema, quegli angoli della città di quando ero bambina, e ancora oggi continuo ad essere alla ricerca di un luogo magico dove almeno i miei sogni e i miei ricordi possano vivere per sempre.

(* scrittrice e ricercatrice storica)

Nella foto sopra e in quella sotto: una recita di inizio anni Sessanta dei piccoli studenti della scuola elementare di Sant’Agostino, protagonisti sul palco del Supercinema. Già a quel tempo i bambini imitavano i calciatori, come si può vedere dai maschietti che indossano un completo bianconero dell’allora Del Duca Ascoli


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