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Qui dove sgorga l’acqua
e il silenzio è un mistero da capire
In memoria di Pescara del Tronto

ARQUATA DEL TRONTO - La frazione rasa al suolo dal terremoto non c'è più da tempo. E nessuno sembra ricordarselo, tranne nel giorno della commemorazione delle vittime. Il viaggio di Cronache Picene arriva nel luogo dove tutto è cominciato, simbolo maledetto di una montagna che rischia di morire
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Il vuoto, guardando dove sorgeva Pescara

di Luca Capponi

(foto di Andrea Vagnoni)

Quel silenzio lì non lo trovi altrove. E’ qualcosa di non facilmente descrivibile, che stringe il petto e l’anima. Quasi come se i pochi rumori d’intorno giungessero ovattati, schermati; poche auto o moto in transito, un cane che a tratti si fa sentire, un gattino che miagola sommessamente, l’acqua che qualche metro più indietro continua a sgorgare dalle sorgenti, come fa da sempre.

L’acqua che abbevera il Piceno

In molti si fermano a riempire bottiglie e taniche, perché qui la purezza c’è davvero, qui si abbevera quasi tutto il Piceno grazie alle sorgenti che alimentano l’acquedotto. Poco più in là, un cartello aveva il compito di raccontare Arquata e il suo territorio ai turisti; frazioni, strutture ricettive, sentieri, chiese. La maggior parte di quelle informazioni, oggi, non servono più a nessuno. Perché di ciò che c’è scritto lì c’è rimasto ben poco. E il simbolo maledetto di quel niente è Pescara del Tronto.

Una bici rosa per terra

Un paese che non c’è in un Paese, l’Italia, che dopo l’emotività iniziale ora assiste, in completo torpore, all’agonia di questi luoghi. La montagna che prima lottava contro lo spopolamento, ora combatte per respirare, giorno dopo giorno, per sopravvivere. Pescara invece no, è stato già detto e scritto, non rinascerà più dov’era prima. Il terremoto qui ha fatto il peggio che poteva, portando via vite senza distinzioni, bambini, anziani, donne, uomini. Ingoiando luoghi. E anche se poco è rimasto, quel groppo in gola inevitabilmente sale; una bici rosa stesa per terra senza voglia di rialzarsi, lamiere di una vettura che si stenta a riconoscere, una piccola costruzione in legno che ricorda alcuni dei nomi che caddero alle 3,36 del 24 agosto 2016. Sotto, il vuoto pneumatico che investe l’occhio dell’osservatore, una vertigine che annichilisce ancora, anche a tre anni di distanza, e che annichilirà sempre. Pescara che non c’è più.

In memoria

Angoscia e ricordi della notte che ha cambiato tutto si mescolano con la rabbia, con il pensiero che poco (o quasi nulla) si è fatto e che il futuro sembra una promessa sgonfiata, col fatto che tra pochi giorni tutti torneranno a parlarne, a ripetere l’elenco a memoria; Arquata, Accumoli le decine di frazioni di Amatrice ridotte a brandelli. E poi stop, altri 364 giorni di oblio e vergogna. Con buona pace dei morti e di quelli ancora vivi.
Forse, un giorno, ci sarà qualcuno in alto che riuscirà a comprendere davvero il significato del silenzio che ti prende lo stomaco quando arrivi a Pescara del Tronto. Ma senza telecamere, flash, interviste o proclami sui social. Forse da lì, da quel silenzio indescrivibile, si potrebbe provare a ripartire. E dall’acqua che poco più in là non smette di sgorgare.

 

Le foto

 

Un cartello racconta(va) Arquata e le sue frazioni

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