Enzo Titta (l’ultimo in piedi a sinistra) con il complesso di “Tony Amatucci e i 4 del ’39” nell’indimenticabile stagione estiva alla Lanterna di Giulianova Lido. Al centro, la mitica Mina
di Luca Capponi
«Sono nato nel 1939, un mese dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, oggi vorrei evitare la coincidenza di morire a causa della Terza…».
Al mitico Enzo Titta, decano della musica, non manca di certo l’ironia. 83 anni portati alla grande ed una vita intera immersa tra le note del pentagramma, lui che sin da bambino ha respirato l’aria del palco (il padre era baritono all’Opera di Roma, lo zio Ruffo, sempre baritono, si esibì in tutto il mondo) ma che è cresciuto da autodidatta fino a divenire musicista tra i più rodati e apprezzati del Piceno (e non solo): dall’esperienza coi “Titta” fino all’incisione dell’inno dell’Ascoli Calcio, dai live in giro per l’Italia al pianobar fino agli incroci sul palco con gente come Ornella Vanoni, Mina, Quartetto Cetra.
Col Quartetto Cetra
Proprio dai Titta si parte per questo viaggio affascinante tra i ricordi del maestro, un tuffo che è ripercorrere un’epoca che non c’è più, durante cui si arrivava anche a dormire…sotto al palco: «È vero, accadde in un paesino del profondo sud di cui non ricordo il nome, durante una delle poche feste di piazza dove ci siamo esibiti: era un luogo privo di alloggi, per cui prima di ripartire fummo costretti a trascorrere alcune ore di sonno sotto il rudimentale palco su cui ci eravamo esibiti».
«Il nome “Titta” fu suggerito per reciproca stima dall’amico musicista Sergio D’Auria, a somiglianza verbale con il suo complesso di allora “I D’Auria” -racconta-. Si tratta di un passaggio che nasce da lontano, formato da tutte le mie precedenti esperienze musicali, a cominciare dall’Orchestra di Fisarmoniche degli anni ’50 del maestro Alessio Morganti, con la quale ho fatto tournée anche fuori provincia, nel Napoletano ed in Sicilia, come elemento di prima fila insieme ad altri fisarmonicisti, gran parte appartenenti alla scuola del succitato maestro».
«Poi negli anni ‘60 come pianista ed arrangiatore militai prima nel complesso “Tony Amatucci e i quattro del ’39” che nell’estate del 1960 suonò l’intera stagione alla “Lanterna“ di Giulianova Lido, affiancando nomi noti come Mina ed Il Quartetto Cetra -va avanti Titta-. Fummo anche ospiti di una serata in diretta alla Rai dove con l’amico chitarrista Nazzareno Fazzini proponemmo due pezzi all’armonica a bocca in diffusione nazionale. Successivamente entrai a far parte del gruppo molto noto di Nino “Dale e i Modernist” di cui aveva fatto parte anche Ivan Graziani».
«Tornando ai “Titta”, nacquero all’inizio degli anni ‘70 -è la prosecuzione-. Il quartetto era composto, oltre che da me, dal cantante/chitarrista Antonio Romani, dal bassista/chitarrista Nazzareno Fazzini e dal batterista Enrico Luzi. Riscuotemmo molto successo, ricordo il Carnevale al Circolo Cittadino e i live al Teatro Ventidio Basso, partecipando anche a concorsi nazionali radiofonici. In un secondo momento inserimmo poi il secondo tastierista-cantante Claudio Bachetti facendo ballare per molti anni il dancing estivo “La Rocca” di Civitella del Tronto fino ad ospitare per una indimenticabile serata di Ferragosto, con ulteriore formazione allargata comprendente il sassofonista/trombettista Pino Mannella, fino a 1.500 persone. Il repertorio era molto variegato, passavamo dal folk al rock e riarrangiavamo ogni brano, da un classico come “Parlami d’amore Mariù” fino ai pezzi del momento dei Beatles. L’atmosfera di quei tempi era molto gioiosa, priva di rivalità, imparagonabile alla situazione odierna».
«Negli anni abbiamo cambiato formazione diverse volte, avvalendoci di elementi come il sassofonista/cantante Detto Mariano, il bassista/ cantante Bruno Chelli, il chitarrista/cantante Roberto Buondi ed infine l’indimenticabile batterista/presentatore Mario Massi con esibizioni in particolare al night club ” Il Gattopardo” e al dancing estivo il “Ragno Blu” di Monteprandone -continua Titta-. Questa formazione ebbe per la prima volta anche un valido mixaggista, Rodolfo Bastiani, che con la sua regia migliorava dal vivo le performance del gruppo. Altri locali estivi da ricordare sono il dancing ”Riva Fiorita” di Porto San Giorgio, dove suonammo con il cantante/chitarrista Fausto Pietrzela».
«Concludemmo la nostra esperienza nell’estate del 1982 esibendoci per l’intera stagione al Caffe Florian di San Benedetto -ricorda-. In tutte le formazioni la mia impronta fu abbastanza innovativa pur seguendo l’evolversi delle mode musicali del momento. Eravamo apprezzati soprattutto per l’originalità degli arrangiamenti, la raffinatezza nelle esecuzioni oltre alla fantasia nelle personali interpretazioni, non tralasciando mai una particolare cura nella qualità dell’armonizzazione delle parti vocali, con un repertorio misto tra melodie e successi del passato e del presente».
«Mina? Non era ancora una star -prosegue il Nostro- ma aveva collezionanato i primi successi come “Tintarella di luna” e Il cielo in una stanza”, era una persona molto semplice e disponibile che si fermava a parlare con le persone, all’epoca non immaginavamo che potesse fare una carriera del genere e che divenisse un mostro sacro della musica italiana».
Dopo l’esperienza coi “Titta”, Enzo continua con la musica ovviamente, esibendosi nei pianobar fino al 2007 «rigorosamente senza basi», ci tiene a precisare.
Come ci tiene a fare delle precisazioni su una delle esperienze più entusiasmanti della sua vita, vale a dire la composizione dell’inno che da oltre 40 anni accompagna le sorti dell’Ascoli Calcio.
«Si tratta dell’unico vero inno della squadra, reso ufficiale dallo stesso Costantino Rozzi nell’aprile del 1979 in occasione di Ascoli-Juventus, vinta per 1-0 con gol di Moro deviato da Bettega -puntualizza-. Prima della partita fui premiato in campo ricevendo dal presidente una pergamena ed una medaglia d’oro in cui è inciso: “Al maestro Enzo Titta autore dell’Inno dell’Ascoli Calcio 1898”. Iniziai a scriverlo qualche anno prima, il 9 giugno 1974 in occasione di Ascoli-Parma, scrivendo le prime note sul retro del biglietto della partita che avrebbe portato per la prima volta in serie A i bianconeri».
Oggi l’inno viene diffuso al “Del Duca” dopo ogni match vittorioso del Picchio, con il suo inconfondibile adagio “Ascoli, Ascoli, Ascoli, del calcio l’università…”.
«Lo composi tenendo conto anche della storia cittadina, inserendo tamburi e chiarine della Quintana -conclude Titta-. Lo suonavo spesso alle feste, poi lo feci ascoltare a Rozzi che ne restò entusiasta. Con lui restammo sempre legati da un rapporto di stima e amicizia. Ripeto, si tratta di un vero e proprio inno e non di una canzone, cosa che non hanno neanche le squadre di Serie A, l’unico che sia mai stato ufficializzato dalla società e di questo vado orgoglioso. L’Ascoli mi ha dato grandi emozioni, ho seguito la squadra in mille avventure, persino sul campo di sabbia dell’Olbia, a fine anni ’50, tre giorni di trasferta per raggiungere la Sardegna e vedere la squadra perdere 2-0. All’epoca eravamo ancora in Serie C…».
Enzo Titta oggi
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